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Sanbartolomeo 1832: l’Universitas ricorre contro la chiusura del Seminario

Un paese che non si ricorda del proprio passato è un paese senza futuro (Indro Montanelli)

Sanbartolomeo 1832: l’Universitas ricorre contro la chiusura del Seminario

Un seminario che “pel corso di 34 anni fu di profitto alla gioventù anche di remoti Paesi, di gloria al Sovrano, che l’avea fondato, d’ornamento alla patria de’ Ricorrenti, e d’invidia alle Provincie vicine, ed alle Cattedrali prive di Seminario, o di nulla fama; un sol Vescovo di Lucera distrusse arbitrariamente in un colpo, cui i Concilj, ed i Canoni della Chiesa danno la denominazione di Excessus Episcoporum”.

Fin dal XIV secolo la città di San Bartolomeo, posta nella Diocesi di Volturara e Montecorvino fino al 1818, viene scelta come residenza episcopale dai Vescovi di Volturara, nonostante la chiesa Cattedrale fosse stabilita appunto nella vicina Volturara. I motivi di questa preferenza a dimorare a San Bartolomeo, espressa ininterrottamente dai Vescovi di Volturara per 5 secoli, va ricercata nella presenza nel nostro comune di un Palazzo Episcopale o Vescovile (attiguo alla Chiesa madre, e che mancava a Volturara) di una Casa di educazione per i giovani chierici, di un Archivio di condizioni di vita migliori e di maggiore agiatezza, di servizi più efficienti. La predilezione per San Bartolomeo espressa dai Vescovi pro tempore venne sempre osteggiata dal comune di Volturara e dal Capitolo dei canonici della Cattedrale in quanto privava la sede titolare della presenza fisica del suo Vescovo. D’altro canto il clero afferente alla chiesa maggiore di San Bartolomeo (attuale chiesa madre) era corposo e articolato come quello di una vera chiesa Cattedrale nonostante la nostra chiesa madre formalmente fosse una “Collegiata”, ovvero una chiesa importante all’interno della Diocesi pur non essendo sede di cattedra vescovile. Il capitolo canonico della chiesa Collegiata di San Bartolomeo a partire dal XVI secolo era pressoché stabilmente composto da 4 Dignitari di nomina regia e da 17 Canonici di cui 4 Sacerdoti con funzioni officianti1.
1 Le figure di Primicerio, Sagrista maggiore, Tesoriere ed Arciprete, la tradizione voleva provenissero ognuna da una della quattro parrocchie dei feudi ormai andati in rovina di Castel Magno, Sant’Angelo in Vico, Ripa de Altino, dalla cui unione aveva avuto i suoi natali San Bartolomeo in Galdo; l’arciprete era invece espressione della nuova chiesa parrocchiale sorta sui resti di un’antica cappella rurale dedicata al culto di San Bartolomeo, adiacente alla rocca sannitica, l’attuale campanile. 

La chiesa madre di San Bartolomeo dall’atto della sua fondazione, come chiesa parrocchiale del nascente “Castello di San Bartolomeo” nel 1331, figura come “regal chiesa badiale” ovvero come una chiesa di patronato regio2, in quanto appartenente all’antica Badia di S. Maria in Mazzocca.
2 Il patronato regio è un sistema di organizzazione della Chiesa cattolica applicato in generale nelle terre scoperte dopo il XV secolo che prevedeva il controllo diretto sulle nuove chiese da parte dei sovrani di Spagna e Portogallo, i quali in cambio si occupavano però anche di evangelizzare i nuovi possedimenti. In particolare, nel caso di San Bartolomeo, essendo stato il borgo fondato in seguito a disposizione promulgata dal Re di Napoli Roberto d’Angiò, facendo seguito alla famosa supplica dell’Abate del feudo Mazzocca, e dunque avendo i monaci benedettini ricevuto dal Re l’autorizzazione a ripopolare un luogo totalmente devastato  (habbitatoribus totaliter derelictum) e spopolato da precedenti conflitti tra Papato e Saraceni accolti alla corte di Federico II nella vicina Lucera, accettavano che il Re assumesse il diritto di nomina dei Dignitari della chiesa Madre.

E qui va fatto un breve excursus sull’Abbazia di Santa Maria del Gualdo in Mazzocca. Il complesso monastico, situato storicamente in corrispondenza dell’odierna chiesa di San Giovanni in territorio di Foiano di Valfortore accrebbe notevolmente la propria importanza come centro culturale e di studio sotto la guida dei monaci dell’ordine di San Benedetto, in particolare nel corso dei secoli XIII, XIV e XV, divenendo il secondo centro monastico per importanza nel meridione d’Italia tanto da essere elevato al rango di Abbazia. In seguito ad un grave evento sismico occorso nel centro-sud Italia nel 14563, iniziò la parabola discendente dell’Abbazia territoriale di Mazzocca, che nei decenni precedenti all’evento nefasto aveva avuto modo di estendere i propri confini grazie alle donazioni dei signorotti locali e alle sovrane concessioni, tanto che la comunità monastica di Mazzocca, nel periodo di maggiore fioritura del presidio culturale, controllava un vasto territorio circostante l’Abbazia che andava da Gambatesa a Molfetta, confinando sul versante occidentale con i tenimenti dell’Abbazia di Santa Sofia di Benevento.
3 Il terremoto del 5 dicembre 1456 si verificò alle 3 del mattino e, con una magnitudo di 7.1, fu uno dei terremoti più forti mai registrati in Italia. Si ritiene che l’epicentro del sisma – avvertito anche in Toscana e Sicilia – fosse localizzato probabilmente nella zona di Benevento. Tra i centri più colpiti: Agnone (rasa al suolo), Ariano Irpino, San Giorgio del Sannio, Bojano, Grottaminarda, Isernia (1500 morti).

Il sisma del 1456 distrusse quasi completamente il complesso monastico, lasciando in piedi solo la chiesa abbaziale e qualche locale attiguo. La comunità monastica abbandonò in massa il desolato sito del magnifico complesso religioso ormai in rovina; vi rimasero pochissimi monaci, con a capo un Priore che si occupava solo degli offici religiosi e del sostentamento dei “fratres monasterii”4.
4 Secondo alcune fonti la sigla “fm” che rinveniamo sul portale monumentale della chiesa madre di San Bartolomeo, e anche sulla chiesa parrocchiale di Gambatesa (CB) oltre ad indicare “feudum Mazzoccae” potrebbe costituire un acronimo per indicare “fratres monasterii” ovvero una chiesa ricadente nella giurisdizione territoriale del frati benedettini di Mazzocca

La devastazione seguita al terremoto fece sì che l’Abbazia, quello che ne rimaneva a livello territoriale, alla stregua di un feudo ma con la particolarità di non avere a capo un feudatario secolare bensì un religioso, venisse data in commenda dal re di Napoli ad alti prelati quali Cardinali o Abati, che per l’appunto venivano definiti beneficiari di commenda o “commendatari”, ovvero depositari sia del mero titolo di feudatari della Badia Mazzocca, il cui tenimento ormai andava scomparendo, disgregandosi, ma soprattutto della corposa rendita proveniente dalle comunità dei fedeli (i vassalli) appartenenti alle chiese parrocchiali ricadenti nel suo territorio. Il declino post-sismico dell’Abbazia è così precipitoso che nel XVI secolo si parla ormai soltanto di “Badia di San Bartolomeo in Galdo” indicando la pressoché totale scomparsa del vasto territorio controllato dall’Abbazia di Mazzocca ed il perdurare in commenda del solo comune di San Bartolomeo, intanto divenuto il più popoloso della zona ed in grado di assicurare un’ottima rendita all’Abate o Cardinale commendatario di turno che quasi sempre viveva altrove (unica eccezione il Cardinale Antonio Maria Gurtler). La giurisdizione spirituale sulle comunità fortorine, precedentemente ricadenti nel territorio dell’Abbazia, veniva esercitata invece dalla Diocesi di Volturara e Montecorvino.  Questa situazione si perpetuerà fino alla soppressione della Diocesi di Volturara avvenuta nel 1818 in seguito alla promulgazione della bolla papale “De Utiliori” che avrebbe ridotto il numero e modificato la circoscrizione delle Diocesi esistenti nel Regno delle Due Sicilie, comportando la confluenza del territorio della Diocesi di Volturara e Montecorvino, ormai sede vacante dal 1808, nella Diocesi di Lucera suffraganea a sua volta della più importante Arcidiocesi di Benevento.
Fondazione del Seminario extra moenia di San Bartolomeo
Diverse testimonianze storiche riferiscono l’esistenza di un antico Convento dei Padri Agostiniani “posto su di un’amena collina a settentrione dell’abitato di San Bartolomeo, alla distanza di circa un mezzo miglio, nella contrada chiamata Difesa” di incerta data di fondazione, sicuramente successiva al 1600. A causa di una frana immensa che rendeva quasi impossibile l’accesso al convento dal paese e viceversa, i monaci furono costretti ad abbandonare il Convento e, avendo intanto ricevuto in donazione dagli eredi di una ricca donna di San Bartolomeo di nome Teresa Gizzi una Cappella consacrata alla Vergine del Carmine, sita in corrispondenza dell’odierna chiesa del Carmine, realizzarono nei pressi della Cappella un nuovo Convento agostiniano. Nel 1672 Don Angelo di Nicola Truglio, Sagrista Maggiore della Chiesa Madre di San Bartolomeo, con atto pubblico dona al Convento degli Agostiniani Calzati di via Costa intitolato a S. Maria di Costantinopoli (presso l’odierna scuola elementare), la maggior parte dei suoi beni materiali, a patto che vengano rispettate alcune condizioni precise: la principale è che il Padre Generale degli Agostiniani non dovesse mai far mancare almeno dodici frati agostiniani al Convento di San Bartolomeo.  Questa condizione, stabilita da Truglio, non viene mai rispettata, tanto è vero che appena 2-3 frati stabilmente risiedono nel Convento attingendo alle rendite elargite da Truglio, in quanto il Convento ha rendite così esigue da non essere autosufficiente. A causa di ciò, dunque dell’utilizzo improprio di un edificio così imponente ed ampio5, e delle condizioni di inappropriatezza in cui versava sul finire del XVIII secolo l’allora Seminario urbano di San Bartolomeo, posto all’interno delle mura del paese ed incapace di accogliere un numero via via maggiore di studenti provenienti dalla Capitanata e dalle province limitrofe, nel 1780 l’Universitas di San Bartolomeo insieme al suo Clero chiedono ed ottengono dal re Ferdinando IV delle Due Sicilie la soppressione del Convento degli agostiniani, e la creazione in loco di un Seminario per l’istruzione ed educazione della gioventù diocesana.
5 Alcuni decenni dopo la realizzazione del Convento degli agostiniani in via Costa la sua esistenza si era fatta illegittima a causa di una Bolla papale di Innocenzo X che prevedeva l’abolizione di tutti i “Conventi e Conventini che non avessero la dovuta Conventualità”. Per tale ragione la Real Camera della Sommaria di Napoli aveva già dismesso in una occasione il Conventino degli Agostiniani di San Bartolomeo, per poi riaprirlo nel 1763, in quanto mancante di rendite sufficienti per sostenere un numero minimo necessario di religiosi. (Foto dei primi del ‘900 di Via Costa e del cortile interno del Seminario, adibito a scuola elementare, Archivio Storico Fotografico Vinciguerra)

Dunque il Seminario viene creato con Dispaccio Reale nel 1784 ‹‹aggregando le rendite, e le fabbriche del conventino degli Agostiniani di San Bartolomeo in Galdo al nuovo Seminario››, grazie alla positiva opera di intercessione dell’ Abate commendatario Antonio Gurtler (nel 1791 finanzierà con 18.000 Ducati la realizzazione della magnifica fontana in marmo di piazza Garibaldi), figurando formalmente come accessorio della Real Chiesa Badiale, l’odierna chiesa madre, e affidato in tutela sia al Vescovo diocesano di Volturara, sotto la cui giurisdizione ricade la comunità di San Bartolomeo, che all’abate commendatario di San Bartolomeo, responsabile anche della giurisdizione criminale sulle terre dell’ormai ex feudo Mazzocca. Dunque come il re aveva il “giuspadronato” sulla chiesa madre così come l’aveva sul nuovo seminario quale accessorio della chiesa, facente “corpo” con essa. In poco tempo la scuola acquista grande fama per serietà dell’insegnamento e per il valore dei docenti. Fra i Superiori va meritatamente ricordato Padre Ferdinando D’Onofrio, Segretario Generale dell’Ordine dei Frati Minori e poi Vicario Generale della Osservanza Cismontana. Magnifici rettori furono: Giovanni Andrea Mastrocinque di Baselice, Simone Crispino di Fratta Maggiore, Vincenzo Palmieri di Colle, Ferdinando Caruso di Montefalcone. Tra gli abili maestri: Michele Massari di San Marco La Catola, Domenico Caruso di Baselice, Felice Natalizia di Roseto, Padre Alessio da Montefalcone, Nicola de Matthaeis di Alberona, Padre Ferdinando da San Bartolomeo6.
6 Si rileva la costante frequentazione del seminario da parte di alunni non diocesani provenienti da Sannicandro, Carpino, Ischitella, Cerignola, Troia, Gildone, Macchia, S. Elia, Pietracatella, Riccia, Gambatesa, Jelsi, Tufara, Castelvetere, Baselice, Foiano, San Marco dei Cavoti, Colle, Molinara, San Giorgio, Biccari ed in generale proveniente dalla vasta arcidiocesi di Benevento.

In occasione delle principali festività della Chiesa cattolica, della festività del Santo Patrono San Bartolomeo Apostolo, o nel giorno dell’onomastico del Vescovo oppure dell’Abate Commendatario, c’era l’usanza da parte dei giovani seminaristi di dare sfoggio in chiesa madre del proprio profitto negli studi recitando poesie, produzioni oratorie, sia in italiano che in latino. In queste occasioni si tenevano esercitazioni filologiche, teologiche e filosofiche tra gli studenti tanto da richiamare a San Bartolomeo dai paesi circostanti un vasto pubblico di persone e di parenti dei seminaristi. Gli studenti, fino al numero di 90, inoltre prendevano regolarmente parte alla rappresentazione scenica della Passione di Cristo, e intonavano il canto gregoriano nella chiesa madre nella Settimana Santa7.
7 Nel 1831 l’Arciprete di San Bartolomeo dichiarerà che i giovani di San Bartolomeo che si recano a studiare al Seminario di Lucera, dopo la chiusura dell’istituto di San Bartolomeo, sono 16, e che ogni famiglia dei seminaristi è costretta ad un esborso di 72 ducati per ogni anno scolastico (ovvero circa 3000 euro odierni).

Otto anni dopo la fondazione del nuovo Seminario, nel 1792, Don Lorenzo Rossi, discendente di D. Angelo di Nicola Truglio, muove ricorso al Seminario e dunque al comune di San Bartolomeo rivendicando i beni donati dal suo antenato al Convento degli agostiniani, intanto passati alla proprietà del Seminario con Sovrana determinazione del 1784, e quindi non in grado di soddisfare la condizione posta da Truglio nell’atto di donazione. Dando quasi per certa la vittoria del Rossi, in quanto la donazione del suo prozio Truglio effettivamente era stata distratta e convogliata dal Convento degli agostiniani, intanto soppresso, al Seminario, in parte disattendendo le volontà espresse in vita da Truglio, i rappresentanti del Comune di San Bartolomeo  arrivano a patti con lui, versandogli 2200 ducati (attualmente circa 100000 euro) per garantirsi la rinunzia di quest’ultimo ad ogni ulteriore diritto o ragione sulla donazione effettuata dall’avo Truglio. Questa transazione economica dunque conferisce piena legittimità alla fondazione del Seminario di San Bartolomeo e sancisce la sua appartenenza al Comune di San Bartolomeo.
Il nuovo Seminario fu inaugurato con gioja universale, ed in poco tempo acquistò fama; poiché ogni maniera d’insegnamento vi prosperava, diretto da professori dotti, ed in que’ tempi rinomati nella diocesi e fuori. Vi s’insegnavano con approvati metodi le lingue Italiana, e Latina, la Storia ragionata sulle lingue in generale: la filologia, l’eloquenza, e l’arte poetica: la filosofia in tutte le sue parti; le mattematiche; la Storia dell’Impero Romano, la Teologia Dommatica, e morale; e ‘l canto Gregoriano. V’erano inoltre le lezioni della Scrittura Sagra […] oltre delle istruzioni di civiltà, e di buona creanza.
Il seminario attraversa 34 anni di attività fiorente e di formazione a tutto tondo dei giovani della comunità locale e delle comunità limitrofe fino al 1818, anno della soppressione della Diocesi di Volturara. Nell’agosto del 1818, infatti, mons. Andrea Portanova, Vescovo di Lucera, dispone la chiusura del Seminario urbico di San Bartolomeo (definito solo formalmente Seminario diocesano nel Dispaccio che ne decreta la fondazione ma chiaramente di proprietà del Comune di San Bartolomeo) senza chiedere permesso al Re che ne aveva autorizzato la fondazione nel 1784.  Come se non bastasse il Vescovo Portanova l’indomani della confluenza della soppressa Diocesi di Volturara in quella di Lucera8, con atto deliberato sopprime il Seminario e declassa la chiesa madre di San Bartolomeo dal rango di regia chiesa badiale a semplice chiesa parrocchiale.
8 V’è da dire prima della Bolla “De Utiliori” non c’era paragone in quanto a popolazione residente rispettivamente nelle due diocesi di Volturara e Lucera. La diocesi di Volturara, che prima della fondazione di San Bartolomeo figurava come Concattedra con Montecorvino, città che andò completamente distrutta nel XII secolo, era composta da 11 comuni per un totale di circa 40.000 abitanti. La diocesi di Lucera, composta di soli 3 Comuni, contava circa 16.000 abitanti. 

Il 1832, 14 anni dopo la confluenza di Volturara e San Bartolomeo nella Diocesi di Lucera, il Comune di San Bartolomeo in Galdo, nelle persone dei suoi rappresentanti, indirizza un ricorso ragionato a Sua Maestà Ferdinando II delle Due Sicilie invocando giustizia contro la chiusura illegittima del seminario urbano di San Bartolomeo in Galdo da parte del Vescovo di Lucera. L’illegittimità si ravvisa nel fatto che la soppressione è avvenuta senza Sovrano Decreto, senza consultare i Ministri del Re, senza il beneplacito di Sua Santità il Pontefice, senza udire l’Arcivescovo metropolita, né il legato apostolico, ne l’alta commissione Esecutrice del Concordato e senza udire le parti interessate per cui mons. Portanova non aveva nessun titolo per decretare ciò. Peraltro il Consiglio Provinciale di Capitanata aveva espresso nel maggio del 1832 un sollecito affinchè il Ministro degli Affari interni del Regno ristabilisse il seminario a San Bartolomeo.  I ricorrenti, temendo il ristabilimento del seminario di San Bartolomeo, questa volta sotto il pieno controllo della nuova Diocesi di Lucera, che tanto si era prodigata per la sua soppressione onde garantire che le rendite venissero convogliate esclusivamente sul seminario lucerino, invocano il Re affinché il seminario venga commutato in Collegio Reale o Convitto, sotto la dipendenza della Commissione di Pubblica Istruzione e quindi, una volta per tutte, non più connotandolo come “diocesano”, ovvero appartenente alla diocesi.  Gli amministratori di San Bartolomeo chiedono infine che il Vescovo di Lucera restituisca tutte le rendite percepite da 14 anni a questa parte e la restituzione ad integrum di ogni fondo, e specialmente ”delle fabbriche e dei terreni danneggiati” dal suo atto deliberato del 1818. Inoltre si stabilisce che le rendite in favore del seminario di San Bartolomeo non possono essere in nessun modo distratte a vantaggio di quello diocesano di Lucera e ciò in forza del diritto di proprietà del comune sul seminario.
Dalla disamina dell’appassionato ricorso del 1832 si evince in maniera inequivocabile che il seminario di San Bartolomeo fosse “urbico” ovvero appartenente al comune e non già vescovile diocesano, dunque non passibile di soppressione o accorpamento da parte del Vescovo con il seminario della città di Lucera sede titolare della nuova diocesi. I ricorrenti avvalorano le loro tesi dicendo che anche Concilio di Trento aveva proibito formalmente di sopprimere o di unire seminari e case episcopali all’interno delle diocesi riunite dalla soppressione delle sedi di minore importanza, come nel caso della diocesi di Volturara appunto. I nostri antichi rappresentanti inoltre evidenziano come nel Regno delle Due Sicilie, in diverse diocesi, esistono più seminari episcopali e che la bolla De Utiliori per giunta non fa affatto riferimento alla soppressione dei Seminari delle Cattedre estinte e che annualmente i giovani di San Bartolomeo che necessitano dell’istruzione necessaria ascendono al numero di 50.
NOTE DELL’AUTORE
Corsi e ricorsi storici in questo lavoro di indagine storica ho rilevato con una certa curiosità, negli atti allegati al Ricorso Ragionato, che i ricorrenti riferiscono, presentando un documento ufficiale del 1818 anno della soppressione del Seminario, che la carica di Sindaco a SBiG fosse ricoperta da un “forestiero ammogliato in quel Comune privo di figli”. La mente è tornata subito alla vicenda del dimensionamento scolastico delle istituzioni scolastiche sannite di un anno fa, quando abbiamo rischiato seriamente di perdere la dirigenza del prestigioso istituto “E.Medi” di San Bartolomeo, che oggi, come è stato per il seminario due secoli fa, costituisce il presidio culturale più importante nel Fortore. Appunto l’anno scorso eravamo amministrati da un commissario straordinario, quindi da persona che, in quanto forestiera (come il sindaco del 1818), era lecito non avvertisse quell’amor patrio che a noi indigeni di SBiG ci spinge a proteggere e tutelare i beni immateriali della nostra comunità.

In secondo luogo non mi capacito di come un Ricorso, così ben strutturato e con motivazioni così forti, non fosse stato accolto. Fatto sta che il 1818 chiuse definitivamente i battenti il più importante presidio culturale nel Fortore (inteso in senso più ampio sulle tre province di Capitanata, Avellino e Campobasso; Benevento vedrà la luce come provincia più di 40 anni dopo) che aveva educato e formato tanti illustri cittadini. C’è da ricordare che in quel periodo non esistevano ancora i moderni Licei (1859) e le Scuole di avviamento professionale (1923). Probabilmente se i nostri amministratori di allora, in primis il sindaco Alessio Pannone – primo eletto Antonio Gabriele ed il secondo eletto Giuseppe Di Geronimo- si fossero attivati presentando un “Ricorso Ragionato” prima di far trascorrere la bellezza di 14 anni dalla chiusura del Seminario, oggi a SBiG parleremmo, a ragion veduta, dell’esistenza di un illustre Reale Collegio probabilmente tramutato in Convitto nazionale dopo l’unità d’Italia, della storia di quasi due secoli, insomma parleremmo di qualcosa che avrebbe chiaramente onorato e arricchito la nostra comunità. Ma parliamo di fantascienza. Invece dal 1832 in poi assistiamo sempre più disarmati alla spoliazione sistematica di quanto ci spetterebbe per diritto.

Notevolissimo anche il supporto dato dalle comunità circonvicine, da Biccari a San Marco dei Cavoti alla causa del ristabilimento presso San Bartolomeo del Seminario urbano ingiustamente soppresso, a dimostrazione di una unità d’intenti e di interessi che si è andata perdendo a partire dalla successiva unità d’Italia.

Fa riflettere il fatto che al ricorso fosse stata allegata la dichiarazione seguente presentata singolarmente dai comuni di Volturino, Alberona, Volturara, San Marco la Catola, Celenza, Roseto, Troia, Baselice, Montefalcone, Biccari, Tufara, Castelvetere, San Marco dei Cavoti:
“Il Seminario di San Bartolomeo fu considerato sempre urbano: le sue rendite furono sempre amministrate da particolar commessione creata tra’ Cittadini di Sanbartolomeo; la Cattedrale di Volturara non vi ebbe mai ingerenza: il Seminario fu di gran vantaggio a’ studiosi anche de’ remoti Paesi per la tenuità della spesa, per la celebrità dei Rettori e Maestri: la soppressione finalmenta è stata fatale alla gioventù di que’ Luoghi.”

BIBLIOGRAFIA:
– Donato Castellucci – Valfortore tra storia e memoria
– Catasto onciario del 1753
– Monografia di San Bartolomeo in Galdo – 1853
– Ricorso ragionato dei rappresentanti del Comune di San Bartolomeo presentato a sua maestà -1832
– Paolo Angelo Furbesco – Dai Longobardi all’Unità d’Italia
– Wikipedia – Voci varie

Fotografia Antonio Vinciguerra, Giugno 2017

 

 

Antonio Vinciguerra
Antonio Vinciguerrahttps://www.docenti.unina.it/antonio.vinciguerra
Farmacologo presso Università degli Studi di Napoli Federico II. Contro il pensiero unico. Per un nuovo umanesimo delle montagne.

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