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sabato, 20 Aprile 2024

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I Galdi Longobardi

Continua il viaggio “l’insediamento di San Bartolomeo nel Medioevo” con i Galdi Longobardi Oggi non è possibile avere l’esatta cognizione della topografia dell’alta Valfortore durante la dominazione dei Longobardi ( secoli VI-X), allorché il ducato di Benevento fu diviso in tanti distretti amministrativi detti gastaldati e retti da gastaldi. E nell’ambito di questi gastaldati furono istituiti i “galdi” o “gali” ( da wald, gualdum, galdum, galum ), cioè comprensori di terreni abbandonati da secoli per le invasioni barbariche e pertanto incolti e densi di vastissimi boschi ( walde ) che i duchi affidavano ai loro gastaldi per l’opera di recupero e di bonifica. È così che ebbe inizio la vera ricostruzione del ducato di Benevento, quando cioè cominciò il recupero delle nuove terre, ormai abbandonate da secoli, con l’impiego di manodopera in condizione di semilibertà.
Il galdo comprendeva lavoratori addetti alla corte rustica (cortisani), all’allevamento ( vaccarii e caballarii), all’artigianato (carpentarii), nonché i servi coabitanti (condome) distaccati dal padrone alla coltivazione del fondo. Tutti erano generalmente chiamati gualani come appartenenti al gualdo. La bonifica iniziava con il disboscamento delle zone più adatte alla coltivazione (curtis) ed alla successiva costruzione di case per i lavoratori (fabrice) e di chiese per la comunità, che costituivano il primo centro di amministrazione locale, dove si prendevano anche le decisioni di interesse generale nell’adunanza del popolo. Una volta assegnate le terre coltivabili, il gualdo – per l’originale destinazione all’uso comune – costituiva un complemento delle curtes, un comprensorio agricolo autosufficiente, con tutte le risorse naturali utili alla produzione e con le strutture proprie dell’azienda, con scorte vive e scorte morte, come del resto era necessario in località poco accessibili e molto distanti tra loro. Queste aziende autonome costituivano, in definitiva, un centro di propulsione per i territori abbandonati e tendevano inevitabilmente ad accrescere dovunque l’area dello sviluppo economico. L’identificazione di questi “galdi” o “gali” non è facile.
Nel diploma con il quale Arechi II, principe di Benevento, nell’anno 774 dotava di beni il monastero di S. Sofia di Benevento, c’è un passo che riguarda la donazione di due chiese esistenti in Valfortore: la chiesa di S. Magno insieme con cento moggi di terreno circostante e quella di S. Giovanni insieme con vigne e terreni posti sulle due sponde del fiume Fortore : “ Necnon et ecclesiam Sancti Magni, que edificata est in galo nostro Noceto, et circa ipsam Ecclesiam largiti sumus in Monasterio Sancte Sophie terram modiorum centum… Seu et ecclesiam Sancti Johannis que fundata est in galo nostro Casa polluci; et ab ipsa Ecclesia largiti sumus in Monasterio Sancte Sophie territorio hoc est, ab ipsa Ecclesia in fluvio Fertore, ubi acinia flumen se iungit et de alio latere quantum clausum habere videtur; et vineas que ibidem posite sunt”.
Che la chiesa di S. Magno fosse posta nel territorio di San Bartolomeo in Galdo e precisamente nel tenimento di Castelmagno, appare dalle conferme successive dei possedimenti di S. Sofia ad opera dell’imperatore Enrico II nel 1022: “…confirmamus eidem Monasterio Ecclesiam Sancti Magni in Castello Magno”,e dell’imperatore Corrado nel 1038 : “…confirmamus eidem Monasterio S. Magni Ecclesiam in Castello Magno”. Per quanto riguarda invece la legislazione, i costumi, ecc., la popolazione dell’alta Valfortore è stata prima “romanizzata” e poi “longobardizzata”, come è provato da un notaio del luogo che ha messo in evidenza come le donne di modeste condizioni, nel XV secolo, affermavano di vivere secondo il diritto dei Longobardi –iure Longobardorum- ( il c. 204 dell’Editto emanato dal re longobardo Rotari nel 643: “ A nessuna donna libera vivente nel nostro regno sotto il regime della legge dei Longobardi sia lecito vivere nell’attuazione della sua volontà, cioè selpmundia, ma debba sempre restare sotto la potestà di un uomo o del re; né possa vendere o donare alcunché dei suoi beni mobili o immobili senza la volontà di colui nel cui mundio si trova”).
Segno quindi che le norme dei Longobardi ( relative al “mundio”, al “mundualdo”, ecc.) erano, a quei tempi, ancora ben radicate nell’animo e nelle consuetudini della gente della Valfortore. È lecito sostenere che anche la cittadina di San Bartolomeo in Galdo sia di origine longobarda, come è dimostrato dal suo stesso nome che accoppia due idee: una chiesa cristiana e un bosco. Il nome del Santo ci rimanda infatti al culto diffuso dal principe longobardo Sicardo che nell’838, portò in Benevento le reliquie dell’Apostolo, sottratte ai Saraceni dell’isola di Lipari; quindi è plausibile affermare che il paese ha tratto origine da una chiesa edificata nella zona nell’epoca longobarda. Il toponimo Galdo ci ricorda, invece, l’istituzione longobarda del “galdum”, unità economica agricola, ricavata dalla colonizzazione di un bosco (wald), con una sua corte rustica e le sue varie presenze umane di lavoro. Ma i Longobardi si sarebbero limitati a dare maggiore sviluppo ad un nucleo già esistente. Infatti la cittadina di San Bartolomeo in Galdo ha avuto origine dall’unione di quattro insediamenti rurali: Castelmagno, Ripa , S. Angelo in Vico e Fortore.

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