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San Bartolomeo in Galdo
venerdì, 29 Marzo 2024

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ZIBALDONE SULLA PERLA DEL FORTORE Omaggio a San Bartolomeo in Galdo Parte seconda

PILLOLE DI STORIA ANTICA 2) La badia di Santa Maria del Gualdo in Mazzocca. Priori, abati ed abati commendatari. Giurisdizione civile e giurisdizione criminale, fino al 1513

A quei tempi le colline e le montagne dell’Alta Valfortore erano circondate da un immenso bosco secolare, il bosco di Mazzocca, uno dei più estesi dell’Italia meridionale, formatosi all’inizio della valle, circondato dai feudi di Molinara, Montefalcone, Foiano, Baselice, Porcara, Montesaraceno, Circello. A cinque chilometri da Foiano, sulle sommità del monte San Marco (1.007 metri), sorgeva il monastero di Santa Maria del Gualdo, fondato nell’anno 1160 dal beato Giovanni eremita da Tufara, primo priore; alla sua morte, il 14 novembre 1170, ne seguirono altri sei: Nathan, Giovanni, Benedetto, Pietro, Gentile e Matteo. Sulla fine del XIII secolo, sotto la guida di quest’ultimo, il priorato fu elevato da papa Bonifacio VIII alla dignità di abazia. Pertanto, da quel momento in poi, a seguire le sorti della badia fu un abate, ma a reggere la comunità dei monaci rimase sempre un priore. Questo cambio di potere non scalfì la parabola ascendente iniziata sotto i priori, quando il monastero raggiunse ben presto un grande splendore, sia per le donazioni pervenute da fedeli di ogni ceto sociale, sia per la protezione di papi, re e imperatori. Il monastero del Gualdo accrebbe il suo patrimonio e aumentò sempre più il suo prestigio.

San Giovanni Eremita da Tufara (Reliquario-San Bartolomeo in Galdo)

A quei tempi, la badia possedeva già: gran parte del bosco di Mazzocca (donato da Tommaso Figuerra di Foiano); varie grance, prima fra tutte il monastero di San Matteo di Sculcula, in territorio di Dragonara, in Capitanata; i feudi di Sant’Angelo in Vico (donato dal Fajardo col consenso della moglie Alvara), Castelmagno, Ripa de Altino, Foiano e Deliceto (donati dall’imperatore Federico II e dal figlio Corrado IV), Sant’Andrea Verticchio in diocesi di Larino (dopo una lite contro Roberto di Santo Salvo) e Frosolone (donato da Pietro Gentile, capitano generale del re Carlo II in Puglia e Terra d’Otranto); le chiese di San Basilio, Santa Margherita e San Tommaso di Molfetta, San  Pietro in Vulgano di Biccari e Santa Maria della Vittoria in Gambatesa. Quanto elencato costituiva il patrimonio accumulato all’epoca del settimo priore Matteo. Dopodiché entrarono in campo gli abati: Palermo, Martino, Nicola da Ferrazzano (il fondatore di San Bartolomeo in Galdo), Guglielmo, Nicola da Cerce, Arnaldo, Angelo di Gambatesa. Il patrimonio continuava a crescere. A dire di Fiorangelo Morrone, soltanto il primo abate Matteo (1300-1321) acquistò: nel 1307 metà del feudo di Baselice da Gervasio de Mastralibus; nel 1314 il feudo di Porcara da Ilaria de Sus e Filippo di Jamvilla; nel 1317-18 il feudo di Montesaraceno da Riccardo di Gambatesa.  

Siamo ai primi decenni del XV secolo, periodo di trasformazione dell’abazia in commenda. Gli storici ci raccontano che, mentre il bosco di Mazzocca – descritto da Lorenzo Giustiniani (1761-1824) «come uno dei più grandi boschi del regno e nei tempi andati, a cagione dei ladri, erano soliti far prima testamento coloro i quali dovevano passare» – diventava un rifugio di proscritti, banditi e malfattori con continue usurpazioni di beni, la vita del nostro piccolo feudo trascorreva tra un susseguirsi di padroni e ladroncelli e sparuti avventurieri di brevissimo transito con titoli di poco conto e vaga consistenza economica e morale, che con soprusi, angherie e ruberie di ogni sorta gestivano le terre e la gente della piccola Universitas (ovvero, tutti gli abitanti del feudo, ndr), in barba alle leggi del Regno e al rispetto altrui. Al vertice del nostro feudo si affiancavano due giurisdizioni: una criminale, l’altra civile. La giurisdizione criminale era di competenza di un signore laico di nomina regia che in seguito (dal 1533) passerà dall’uno all’altro signore, con il semplice assenso del viceré; quella civile, sulle cause di primo grado, era appannaggio del nostro monastero.

In seguito entrarono in campo gli abati commendatari (prelati secolari, talora vescovi o cardinali, che ricevevano in commenda, ovvero in affido, per lo più perpetua, un’abazia esercitando un vero potere di giurisdizione) e purtroppo, per la gloriosa badia, iniziò la parabola discendente. In merito, riporto un passaggio di Fiorangelo Morrone: «Naturalmente non sempre questi “commendatari” si preoccupavano del benessere spirituale e materiale del monastero e dei suoi sudditi. Non essendo tenuti a risiedere sul luogo, se ne stavano per lo più lontani dalla badia, ne godevano le vistose rendite, ne affidavano l’amministrazione a dei governatori, senza preoccuparsi del culto divino. Peraltro, titolari di sedi più o meno lontane, si sentivano estranei non solo agli interessi della badia, ma all’intero ambiente in cui essa sorgeva, con conseguenze negative facilmente immaginabili per una amministrazione così distratta. Quella della Commenda era una consuetudine diventata ormai regola: essa fu una delle piaghe più dolorose della Chiesa fino al 1800» (San Bartolomeo in Galdo, Immunità, Franchigie, Libertà, Statuti, Napoli 1994, pag. 32).     

a) Giurisdizione criminale Come già accennato, la giurisdizione criminale ­– su San Bartolomeo e su tutte le altre terre della badia del Gualdo – era di competenza di un signore laico di nomina regia «col mero e misto imperio, con podestà di spada e con le quattro lettere arbitrarie». In merito, ecco che cosa scrive Antonio Allocati in Lictere arbitrales o lictere de arbitrio: «Esse sono famose nella nostra storia giuridica, sono dovute a re Roberto e sono disposizioni eccezionali e temporanee o revocabili a beneplacito del re, con le quali si dà ai giustizieri e ai capitani del regno facoltà straordinarie di procedere in via sommaria, anche senza accusa e con la tortura, contro ladroni, assassini e altri rei di gravi delitti. Poiché possono punirsi con pene speciali e arbitrarie, o anche da potersi comporre in danaro ed arbitrio dei magistrati, esse dono dette “arbitrarie” nei registri della Cancelleria. Esse sono appena quattro» (Lineamenti delle istituzioni pubbliche nell’Italia meridionale, I, Roma, 1968, p. 55).
  

A quei tempi, dunque, la giurisdizione criminale nelle terre soggette all’abazia era affidata per il momento a capitànei di nomina regia. Questa la cronistoria. Siamo nel 1427: «Il nobile Damiano de Capitaneis di Novara fu creato dalla regina Giovanna II capitàneo delle terre dell’abazia di Santa  Maria del Gualdo in Mazzocca e precisamente di San Bartolomeo in Galdo,  Foiano, Porcara e metà Baselice in provincia di Capitania, nonché di Frisolone in provincia di Principato Ultra, a beneplacito della regina, con pieni poteri  giurisdizionali di mero e misto imperio e podestà di spada, in sostituzione di Giacomo Corbolo, che aveva esercitato tale ufficio in precedenza in nome del re Ladislao, prestando giuramento di amministrare la giustizia bene et fideliter» (Vedi Reg. Angioino 1343, 1. G, f. 158. Cf. Canonico D. Vito Summonte, Collezione di scritture antiche, 1802, f. 119t. pag. 34). 

Dopo la morte di Giovanna II (2 febbraio 1435) l’incarico di amministrare questa giurisdizione criminale fu concessa dal re di Napoli Alfonso I d’Aragona nel 1454 a Guevara de Guevara (famiglia di origine spagnola) «fino al termine della sua vita». Conferma di tale incarico ad vitae eius decursum venne allo stesso Guevara nel 1458 dal re di Napoli Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona (in carica dal 1458 al 1494), succeduto al padre Alfonso nello stesso anno. Infine, dopo Guevara de Guevara, ecco il turno di Alberico Carafa che il 10 aprile del 1478ricevette la nomina sempre dal citato re Ferdinando I (Ferrante) d’Aragona. (Èda ricordare che Alberico Carafa successivamente in data 17 ottobre 1485 riceverà dal medesimo re Ferdinando I (Ferrante), anche l’affidamento della badia).

b) Giurisdizione civile Gli storici ci tramandano che il primo abate commendatario risale al 1381 e si chiamava Elisarius de Zanvilla o Elsiarius de Zavilla. In seguito, il 27 giugno 1391 come Elisario (da cronotassi dei vescovi consultata su Wikipedia, ndr) fu creato da Bonifacio VIII arcivescovo di Taranto, ma continuò a reggere, anche da arcivescovo, la badia del Gualdo. Facciamo ora un salto in avanti di qualche decennio. Nel giro di un secolo abbiamo: dal 1411 il cardinale di San Clemente, Branda da Castiglione; dal 1429 un certo “cardinale di Novara” identificato in Ardicino de Porta de Novaria, chiamato volgarmente “Novariensis”; dal 1455 ebbe la nomina l’arcivescovo di Rossano Domenico di Lagonissa (ricordato per aver ricostruito in parte San Bartolomeo dopo il terribile terremoto del 1456); dal 1458Antonio de la Cerda, cardinale di San Crisogono; dal 1463 ecco Latino de Ursinis, cardinale di Santa Romana Chiesa, vescovo di Tuscolo e camerario del papa; dal 1478 il giovanissimo figlio del re, il cardinale Giovanni d’Aragona; dal 1485 è la volta di Alberico Carafa, allora conte di Marigliano, sicché questi venne a godere delle rendite di quel medesimo beneficio sulle cui terre già esercitava – come già riferito – la giurisdizione criminale fin dal 1478. A quei tempi possedeva, oltre a Marigliano, Motta, Baselice, Monteleone, Ginestra e Castello Vetere. Eccoci, infine, al 1498: abate commendatario era Alfonso Carafa, figlio quintogenito di Alberico Carafa e di Giovannella de Molisio (altri de Moulins, altri ancora de Molinis, ndr). In che anno egli sia stato investito della commenda non risulta (da recenti studi si dovrebbe dedurre che egli sia stato creato verso il 1491,ndr). Quel che è certo, però, è che egli fu l’ultimo abate commendatario della badia di Santa Maria del Gualdo di Mazzocca. Nel 1505 sarà creato vescovo di Sant’Agata dei Goti e patriarca di Antiochia. Nel 1512 sarà nominato vescovo di Lucera.

Cattedrale di Lucera – Navata centrale

In quel tempo, il territorio era completamente dissestato e desolato. I tre feudi di Sant’Angelo in Vico, Castelmagno e Ripa di Altino – di proprietà della badia – erano del tutto disabitati in quanto, come già sappiamo, da tempo i rispettivi abitanti si erano quasi tutti accentrati nel nuovo abitato di San Bartolomeo del Gualdo. Erano rimaste però integre le loro rispettive arcipreture con relative rendite. Per tale motivo, il 9 ottobre 1498 vennero annesse perpetuamente alla chiesa di San Bartolomeo, previo accordo tra l’abate Carafa e il vescovo di Volturara Giacomo de Turris. In merito, Nicola Falcone, nelle prime pagine della sua Monografia (Napoli, 1853) scrive: «La unione degli avanzi delle suddette terre [Castelmagno, Ripa e Sant’Angelo in Vico] con quella di San Bartolomeo avveniva nell’anno 1498. Era in quel tempo Vescovo di Volturara Monsignor Giacomo de Turris, Foggiano». Agli inizi del secolo XVI, anche il monastero di Santa Maria (o San Giovanni) del Gualdo in Mazzocca era in completo abbandono. Nel 1506 l’abate Carafa, temendo che il luogo potesse diventare del tutto inabitabile, concesse la chiesa e il monastero di Mazzocca ai Canonici Regolari della Congregazione del Santo Salvatore dell’ordine di Sant’Agostino, perché vi istituissero un loro priorato. Dopodiché, nel giro di cinque anni, dal 1506 a 1513, in varie riprese concesse al nuovo priorato tutti i beni sparsi posseduti dal monastero del Gualdo (Verticchio, Mazzocca, Porcara etc.), conservando per sé due soli feudi: San Bartolomeo in Galdo (con i territori di Ripa, Sant’Angelo in Vico, Castelmagno) e Foiano. Ebbe così fine la gloriosa badia di Santa Maria del Gualdo in Mazzocca, ed ebbe inizio la vita del nuovo priorato a Mazzocca e, contemporaneamente, anche quella della nuova badia di San Bartolomeo in Galdo.

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