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San Bartolomeo in Galdo
venerdì, 29 Marzo 2024

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San Bartolomeo in Galdo 1809 – 1830, quando era realmente la Perla del Fortore

Lo Stato italiano mediante un accordo con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi dell’Ultimo Giorno ha permesso la digitalizzazione di gran parte degli Archivi di Stato contenenti i registri anagrafici.

I mormoni hanno proceduto alla digitalizzazione per motivi teologici, lo Stato italiano ne ha beneficiato, risparmiando milioni di euro sulla digitalizzazione (che probabilmente non avrebbe mai fatto), noi abbiamo potuto consultarli.

Noi di San Bartolomeo dovremmo essere particolarmente grati ai Mormoni, ai Borbone di Napoli, all’efficienza degli impiegati comunali nel periodo preunitario.

Dall’avvento dei napoleonidi a Napoli fu reso obbligatorio stilare i registri di nascita, morte e matrimonio, pertanto per chi volesse, può consultare la storia di San Bartolomeo in Galdo nei registri anagrafici dal 1809 al 1860. Non manca un solo anno, i registri sono conservati in buono stato, la digitalizzazione è molto chiara.

Arrivò il 1860, ci vennero a liberare, passammo alla nascente provincia di Benevento e anche dal punto di vista della burocrazia demografica iniziarono i problemi. Gli impiegati comunali divennero meno solerti nell’inviare le copie dei registri in provincia, o forse furono gli impiegati provinciali a perdersi i registri, di fatto mancano nell’archivio di Stato di Benevento negli anni compresi dal 1861 al 1915 ben 29 anni di registrazioni. Nell’archivio di Stato sono conservati su 54 anni di nascite solo i registri di 25 anni. Sulle morti e sui matrimoni stendiamo un velo pietoso. Pertanto, le copie da inviare obbligatoriamente in Provincia, sotto i Savoia non furono mai inviate o forse furono smarrite.

Poco male direte voi, restano sempre i registri originali conservati in Comune a San Bartolomeo, ma anche qui le note son dolenti. Come forse non tutti sanno, il comune di San Bartolomeo in Galdo ha subito ben 3 incendi, due ufficiali e uno ufficioso.

Gli incendi ufficiali si sono avuti nel 1927 e nel 1943, l’ufficioso all’inizio degli anni ’90.

Non credo potrà farsi chiarezza sui due incendi che colpirono il comune di San Bartolomeo, le voci raccolte parlano di un impiegato infedele che nel 1927 diede fuoco agli uffici per coprire le malefatte commesse; nel 1943 fu la povera gente, che alla caduta del regime fascista sfogò in questo modo la rabbia e la miseria accumulate in vent’anni di dittatura, che sia vero o meno a noi poco interessa, il risultato non cambia, i registri anagrafici subirono una pesante furia iconoclasta. Nel dopoguerra si provò a ricostruire alcuni dei registri andati perduti, mediante i ricordi delle persone, il risultato è apprezzabile, ma insufficiente, all’anagrafe di San Bartolomeo in Galdo i buchi sono tanti.

L’incendio all’inizio degli anni ’90 si ebbe durante il trasloco dalla vecchia casa comunale in procinto di essere demolita, all’edificio che attualmente ospita il liceo scientifico. Per evitare di trasportare i cartigli, si diede ordine di bruciare tutto ciò che sembrava inutile. Mi dicono che il fuoco durò un giorno e fu bruciato di tutto, la storia di SBiG letteralmente andata in fumo.

Se le lacune sulla storia di San Bartolomeo in Galdo sono molte nel periodo postunitario, e potranno essere colmate parzialmente solo con eventuali archivi privati e soprattutto mediante gli archivi parrocchiali, per quanto attiene alla storia del nostro borgo dall’inizio ‘800 al 31 dicembre 1860 fonte inesauribile di informazioni sono i registri dello Stato Civile conservati all’Archivio di Stato di Lucera.

I registri conservati sono 414, noi ne abbiamo visionato appena 21, per questo motivo il nostro scritto non potrà che essere molto incompleto, e necessiterà di integrazioni continue, tuttavia è sufficiente per dare uno sguardo al paese come era all’inizio del diciannovesimo secolo.

Le conclusioni bisognerebbe tirarle alla fine di uno studio, ma noi, anche per partigianeria, possiamo affermare che San Bartolomeo era un grandissimo centro. Anche a causa della lontananza dai centri maggiori e soprattutto dalla capitale del Regno Napoli, a San Bartolomeo si sviluppano commerci, arti e mestieri in grandissima quantità e varietà, ma procediamo per gradi.

Come potete ben osservare dalla tabella, dal 1809 al 1860 si ebbero mediamente 260 nascite all’anno a San Bartolomeo, con un massimo di 350 nati nel 1858 ed un minimo di 217 nel 1817. Il 1809 fu il primo anno in cui fu istituito l’obbligo di registrazione delle nascite, pertanto, i 188 bambini nati, pagano il rodaggio di ogni nuova misura legislativa e risulta un dato impreciso.

In questo primo scritto, commenteremo i registri di nascita che vanno dal 1809 al 1830, proveremo a svelare la nascita di alcuni soprannomi che sono arrivati ai nostri giorni e sono tuttora in uso, vedremo l’affermarsi di una famiglia egemone nella San Bartolomeo che va dal 1850 al periodo fra le due guerre mondiali, vedremo i mestieri, i nomi delle strade, la costruzione di nuovi quartieri fuori dalle mura cittadine volute dall’abate Gurtler.

Teniamo a precisare che questo scritto non ha pretese di saggio storico, non abbiamo velleità in tal senso, ci limiteremo a rendere noto ciò che tutti potrebbero cercare in registri pubblicati sul web sul sito Portale Antenati.

Un’ultima postilla, un giorno, spero nemmeno tanto lontano, confido si riuscirà a digitalizzare quello che resta all’anagrafe del comune di San Bartolomeo, per una migliore fruizione e per renderlo disponibile a qualche studioso che voglia conoscere e divulgare la storia recente del nostro paese.

Iniziamo questo viaggio partendo dalla toponomastica del borgo.

Abbiamo censito 75 strade fino al 1830. Alcune conservano ancora il nome originario, è il caso di Strada Provenzana, Strada Mucciarello, Strada Gabriele, Strada Regina, Strada Colatruglio, Strada Perna, Strada Porta della Croce, Sportico Chiesa, altre sono scomparse, come Strada Mariella e Strada Rossi ove abitavano rispettivamente i possidenti don Angiolo Mariella e don Ignazio Rossi.

Le strade principali del paese, all’epoca esistenti, le odierne Corso Roma e via Leonardo Bianchi erano nominate semplicemente: strada Piazza, la nascente piazza Garibaldi, ricordiamo che fu costruita su ordine dell’abate Gurtler a fine ‘700, era nominata Strada Piazza con la fontana.

Il paese che si andava costruendo da Porta San Vito fino al Convento era nominato senza distinzioni: Borgo Nuovo. Solo nel 1825 all’interno del Borgo nuovo compare la prima distinzione ed è l’importantissima strada San Vito (badricc), nel 1826 compare la strada Convento e nel 1827 Strada Incoronata.

Di seguito pubblichiamo tutto le strade da noi censite al 1830. Ribadiamo che l’elenco sarà in continua evoluzione nei prossimi scritti:

  1. Strada Provenzana;
  2. Borgo Nuovo;
  3. Strada Gallo;
  4. Strada Mucciarello;
  5. Strada Piazza;
  6. Strada Muro rotto;
  7. Strada Paolozza;
  8. Strada del Marro;
  9. Strada Cerro;
  10. Strada Portella;
  11. Strada dell’ospedale;
  12. Strada Fiorilli;
  13. Strada Forno a Mascia;
  14. Strada Piazza nuova;
  15. Strada Sant’Antonio;
  16. Strada vinaria;
  17. Strada Colatruglio;
  18. Strada Segreta;
  19. Strada Macchio;
  20. Strada Saturnino;
  21. Strada Nuova;
  22. Strada Forno;
  23. Strada La Vecchia;
  24. Strada Colagrosso;
  25. Strada Porta della Croce;
  26. Strada Martini;
  27. Strada piazza con la fontana;
  28. Strada delli Santi;
  29. Sportico della Chiesa;
  30. Strada Braca;
  31. Strada Montagna;
  32. Strada Palumbo;
  33. Strada Petta;
  34. Strada San Vito;
  35. Strada Pepe;
  36. Strada Regina;
  37. Strada Longo;
  38. Strada Barone;
  39. Strada Largo del mercato;
  40. Strada Gabriele;
  41. Strada Perna;
  42. Strada Tomasini;
  43. Strada Faioli;
  44. Strada Nardone;
  45. Strada Petrillo;
  46. Strada Rossi;
  47. Strada Buccione;
  48. Vico Mariella;
  49. Strada De Nigris;
  50. Strada Mansolino;
  51. Strada Cifelli;
  52. Strada Mercatella;
  53. Vico Mattheis;
  54. Strada D’Andrea;
  55. Strada Di Geronimo;
  56. Strada Ruggiero;
  57. Strada Vadurro;
  58. Strada Monaco;
  59. Strada Spallone;
  60. Strada D’Onofrio;
  61. Strada Convento;
  62. Strada Incoronata;
  63. Strada Capobianco;
  64. Strada Tomasino;
  65. Strada Barone;
  66. Strada Cassetto;
  67. Strada Paradiso;
  68. Strada Buozzi;
  69. Strada Inforza;
  70. Strada cimitero;
  71. Strada Pozzo;
  72. Strada Mazzone;
  73. Strada Gisoldi;
  74. Strada di Paglietta;
  75. Strada Di Iura.

Dalla lettura dei registri, risulta che Strada Provenzana conteneva una gran parte della popolazione, Borgo nuovo era in continua costruzione, tanto che nel giro di pochi anni, si ricongiunse Porta San Vito al Convento e si iniziò a costruire oltre in direzione dell’Incoronata. Anche strada Mucciarello (ovviamente non solo il vicolo odierno, ma tutta la parte a ponente del borgo) era densamente abitata.

Gli amministratori dell’Universitas di San Bartolomeo in base al Decreto del 28 ottobre 1806 di Giuseppe Bonaparte dovevano essere estratti a sorte tra i proprietari che disponessero di una rendita annua proporzionata agli abitanti del comune. Estratti a sorte formavano il cosiddetto “decurionato”, costituito appunto da 10 persone, non necessariamente solo famiglie primarie, ma si teneva conto della contribuzione. Il decurionato, una sorta di consiglio comunale, votava per il sindaco e due eletti: I eletto e II eletto.

Riportiamo la lista dei sindaci dal 1810 al 1860:

1810 – Antonio De Matthaeis;
1811 – Domenico Tomasini;
1812 – Nicasio Ziccardi;
1813 – Francesco Braca;
1814 – Stefano Crialese;
1815 – Liberato Braca;
1816 – Liberato Braca;
1817 – Liberato Braca;
1818 – Carlo Domenico Marrucchella;
1819 – Carlo Domenico Marruchella;
1820 – Carlo Domenico Marruchella;
1821 – Giuseppe Ziccardi;
1822 – Giuseppe Ziccardi;
1823 – Giuseppe Ziccardi;
1824 – Antonio Crialese;
1825 – Antonio Crialese;
1826 – Giovanni Braca;
1827 – Giovanni Braca;
1828 – Giovanni Braca;
1829 – Giovanni Braca;
1830 – Giuseppe Colatruglio;
1831 – Giuseppe Colatruglio;
1832 – Alessio Pannone;
1833 – Antonio Gabriele;
1834 – Donato Colabelli;
1835 – Donato Colabelli;
1836 – Donato Colabelli;
1837 – Donato Colabelli;
1838 – Donato Colabelli;
1839 – Nicola Iafaioli;
1840 – Nicola Iafaioli;
1841 – Nicola Iafaioli;
1842 – Nicola Iafaioli;
1843 – Nicola Iafaioli;
1844 – Nicola Iafaioli;
1845 – Michele Catalano;
1846 – Michele Catalano;
1847 – Michele Catalano;
1848 – Michele Catalano;
1849 – Michele Catalano;
1850 – Donato Martini;
1851 – Donato Martini;
1852 – Donato Martini;
1853 – Donato Martini;
1854 – Donato Colabelli;
1855 – Donato Colabelli;
1856 – Donato Colabelli;
1857 – Lionardo Catalano;
1858 – Lionardo Catalano;
1859 – Lionardo Catalano;
1860 – Lionardo Catalano.

Come è facile notare dai nomi dei sindaci, il paese era in mano ai “grandi” proprietari terrieri, gente che basava la loro fortuna sul possesso dei terreni. I Braca prima di tutti, che ricoprirono la carica di primo cittadino per 8 anni. I Crialese ed i Ziccardi.

Ribadendo che le nostre ricerche sono incomplete, e si basano, per ora su pochi registri, possiamo però affermare che il primo sindaco laureato di San Bartolomeo fu Giuseppe Colatruglio dottore Fisico, primo cittadino nel biennio 1830-1831.

Dal 1839 al 1844 sarà sindaco di San Bartolomeo don Nicola Iafaioli, probabilmente benvoluto dai decurioni, perché il suo mandato sarà il più lungo durante il periodo borbonico.

Don Nicola era il padre di Giuseppe Iafaioli, rapito dai briganti nel 1863 e nonostante il pagamento del riscatto la sua esecuzione ebbe luogo ugualmente.

Nel 1845, quasi un passaggio di consegne, irrompe nella scena politica del paese la famiglia che fino all’avvento di Ignazio Saccone, ne terrà le redini sia economiche che politiche: i Catalano. Per cinque anni sarà sindaco don Michele Catalano, a cui succederà don Donato Martini e dopo il breve interregno di Donato Colabelli, sarà nuovamente un Catalano, questa volta Lionardo a traghettare il paese dai Borbone ai Savoia.

Negli ultimi venti anni della dinastia borbonica i Catalano insieme ai Martini si divisero le sorti politiche del nostro borgo.

Qualche tempo fa, alla morte della signora Caterina D’Andrea coniugata Martini, apparve un manifesto ove la famiglia Catalano partecipava al dolore che aveva colpito la famiglia Martini. Magari non c’entra nulla, vi sono nuovi rapporti di amicizia fra le famiglie, oppure testimoniava il rispetto e la stima che queste due famiglie conservano da quasi due secoli.

Un’ultima curiosità, due sole famiglie hanno avuto sindaci sia con i Borbone, che con i Savoia e nella Repubblica italiana: i Colatruglio e i Gabriele. Sindaci con i Borbone furono Giuseppe Colatruglio e Antonio Gabriele; sindaci con i Savoia furono Pietro Colatruglio e Nicola Gabriele; sindaci nella Repubblica italiana sono stati Giuseppe Colatruglio e Aldo Gabriele.

Quando abbiamo affermato che San Bartolomeo era un centro importante e non aveva nulla da invidiare a centri più grandi limitrofi quali San Severo o Lucera, l’abbiamo affermato non per partigianeria, ma a ragion veduta. Ciò è scaturito anche da un’attenta analisi delle professioni presenti nel borgo ad inizio ‘800.

Sappiamo che fino al 1818 San Bartolomeo era sede de facto dei vescovi di Volturara e Monti Corvini, era sede di un seminario, erano presenti due grandi abbazie: agostiniana e dei Padri della Compagnia di Gesù, un convento importante dei Padri francescani, vi erano gli uffici del Giudice di Pace, un’esattoria, ma è nelle arti e professioni che il nostro paese dimostra la sua autosufficienza. Se contadini e bracciali erano la maggioranza dei lavoratori, non mancavano professioni più ricercate. In una realtà prettamente contadina quale è ancora quella odierna, San Bartolomeo si distingueva per una molteplicità di professioni.

Vi erano alcuni vetturini, persone che trasportavano altre persone, una sorta di odierni tassisti o noleggiatori. Saverio Botte era uno dei vetturini che esercitava in paese.

I vetturini si distinguevano dai viaticali da ciò che trasportavano. Se i primi muovevano persone, i viaticali trasportavano merci. Ad inizio ‘800 importanti viaticali erano appartenenti alla famiglia Catalano, ma di ciò ci occuperemo con uno scritto a parte.

I viaticali trasportavano di tutto, granaglie, ortaggi, materiali edili, facevano la spola da e per la Capitanata e da e per Napoli, allora grandissima capitale del Regno di Napoli prima, delle Due Sicilie dopo il 1815.

Se trasportavano granaglie a Napoli, ne tornavano con manufatti preziosi, quali ad esempio entrambi gli organi a canne installati nelle chiese di San Bartolomeo, sia quello ormai perduto della Chiesa Madre, sia quello da restaurare della Chiesa Nuova, il busto argenteo di San Bartolomeo, le statue lignee dell’Immacolata e dell’Assunzione esposte nell’abside della Chiesa Nuova.

Tra i barbieri vi erano anche due cerusici, barbieri che avevano qualche rudimento di medicina, di solito praticavano i salassi con le sanguisughe raccolte nell’alveo del Fortore.

Vincenzo Guarino arrivò a San Bartolomeo come venditore di sale e dopo essersi sposato con una paesana divenne cretarolo, costruiva recipienti di creta.

I fabbricatori provenivano soprattutto dalle famiglie Passaro e Spallone.

Vi erano alcuni armigeri, soldati di professione sotto i Borbone, e due fucilari, costruttori/ venditori di armi. Pietro Cinicolo lavorava quale bardaro, colui che fabbricava le bardature per i muli, gli asini, ma anche i cavalli.

C’era una famiglia di fabbri/maniscalchi, i Sanginario, che hanno svolto la professione per oltre due secoli. Antonio Botte era ferraro.

C’erano tantissimi sartori, sarti che si occupavano di vestire la popolazione del borgo. I tavernari gestivano la mescita di vino in una taverna, ma non mancavano alcuni cafettieri, che somministravano questa esotica bevanda.

Pasquale D’Onofrio e Francesco Braca erano i medici chirurghi, si costruivano tini e botti, poiché abbiamo incontrato anche un tinaro. C’erano anche tre famiglie che svolgevano la mansione di cardalano.

Molti marramieri, falegnami che costruivano mobili e probabilmente anche i cori presenti nelle nostre chiese sono autoctoni.

Vie erano due agrimensori, geometri che misuravano i terreni delimitandone i confini, i sigg. Nicasio Ziccardi ed Ignazio Saccone.

Non mancavano nel borgo alcuni merciaroli, ed anche un carceriere. Anche se ci è capitato di incontrare persone detenute nelle carceri di Campobasso, Lucera, Napoli e nessuno nel carcere di San Bartolomeo. Di passaggio da San Bartolomeo durante la transumanza, ha partorito anche la moglie di Salvatore Lavellotto, pastore.

Quando i musicisti erano retribuiti e rispettati, don Antonio Codirenzi era l’organaro della Cattedrale.

Vi erano alcuni centemolari, mugnai che lavoravano con il centemolo, piccole macine per la molitura dei cereali.

Che San Bartolomeo fosse importante, lo deduciamo anche dalla presenza di un cappelliere, fabbricante di cappelli, ma soprattutto dalla presenza di un capelliere, fabbricante di parrucche, ancora in uso a fine settecento tra i giudici e la nobiltà. Pertanto, ne deduciamo che San Bartolomeo non era una realtà solo ed esclusivamente agricola.

Dal 1809 ai 1830 i due impresari di pompe funebri presenti in paese cambiano tre volte nome, inizialmente sono rubricati come libitinari, nome che si usava anche nell’antica Roma derivante da Libitina dea dei funerali, dopo pochi anni diventano beccamorti, per trovarli rubricati infine come Maestri di Terra Santa.

San Bartolomeo non era terra di emigrazione, ma di immigrazione, al Guarino venuto a vendere sale e stabilitosi in paese, si aggiungeva il maccaronaro Raffaele Sanno venuto da Napoli, l’orefice Pasquale La Civita proveniente da Agnone, oppure Giacomo Murano chincagliere napoletano. Citiamo questi a titolo esemplificativo, ma potremmo continuare. Benché realtà rurale, San Bartolomeo offriva davvero molto a chi voleva viverci. Sic transit gloria mundi.

A cavallo dei secoli ‘700-‘800 nel paese era attiva una ruota degli esposti, una ruota girevole divisa in due parti, una rivolta verso l’esterno e un’altra verso l’interno, ove si abbandonavano i neonati e purtroppo era anche usata frequentemente. Anche in questo caso ci limitiamo a qualche esempio: nell’anno 1811 furono abbandonati e depositati nella ruota, il piccolo Filippo Esposito. In realtà Filippo Esposito fu abbandonato di notte davanti casa del contadino Matteo Di Iura e da questi depositato successivamente e dopo la registrazione nella ruota. Poiché eravamo nel Regno di Napoli, al trovatello si assegnava il cognome Esposito o Proietti, ma sempre nel 1811 in ruota fu abbandonata una bambina alla quale fu dato il nome di Caterina Bonfiglio, ed altri tre bambini ai quali fu dato il nome di Antonio, Gaetano Belfiore e Giuseppe Fiordiliso.

Non era infrequente che i bambini venissero lasciati davanti casa di altre persone e non direttamente nella ruota.

Nel nostro borgo esercitavano il mestiere più antico del mondo quattro donne, tre erano “professioniste” venute da fuori come Lucia S. (il nome è facilmente rinvenibile nei registri, ma lo riteniamo superfluo), che proveniva da Ospitaletto in provincia di Avellino. Altra lavoratrice forestiera che per lavoro si era spostata nel nostro borgo, era Angiola A. che dopo aver partorito un figlio chiede alla nutrice di affidarlo a “chi si conviene”.

Vi era un ente comunale la Commissione Amministrativa degli Ospizi che provvedeva ad affidare ad una balia questi bimbi abbandonati in attesa di adozione e provvedeva per quanto possibile ad alleviare la sorte delle persone indigenti, che tuttavia, all’epoca non dovevano essere moltissime.

Curiosa la storia dello speziale/farmacista dott. don Giuseppe Gisoldi, laureato in Farmacia a Napoli e proprietario di una spezieria/farmacia. Circa 150 dopo la dottoressa Franca Sciarra, pugliese, laureata in Farmacia e vincitrice di concorso, venendo in visita alla sorella a San Bartolomeo in Galdo, conobbe il professore di francese Antonio Colabelli Gisoldi avo di quel Giuseppe Gisoldi speziale, che divenne suo marito e decise di aprire in loco la sua farmacia. A distanza di 200 anni, dopo la morte della dott.ssa Sciarra, una farmacia di San Bartolomeo ha nuovamente come proprietari i dottori Gisoldi, Giandonato e Giacomo, avi di don Giuseppe.

Nel nostro viaggio temporale nell’Archivio di Stato, abbiamo incontrato il calzolaio di Volturara Domenico Iarrapino trasferitosi a San Bartolomeo e convolato a nozze con Teresa Paradiso, è probabile che il soprannome Iarrapino appartenente ad una delle migliori famiglie del nostro paese sia stato mutuato dal calzolaio Domenico, come abbastanza probabile che altri soprannomi quali Fischino, Verdone, Rampone provengano da cognomi dell’800, abbiamo incontrato un Nicola Fischino, un Michele Rampone e un Francesco Saverio Verdone.

Il viaggio continua…

Ringraziamo la dottoressa Serena Del Buono per l’aiuto prestatoci nella comprensione dei testi.

Ad Maiora Ariadeno

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1 commento

  1. Carissimo Sergio, ho letto con molta attenzione il commento alla tua ricerca storica. Che dirti? sono contentissimo per aver scovato questi preziosi documenti che gettano vivida luce sulla San Bartolomeo che fu. E’ un passato che tutti dobbiamo conoscere per capire da dove veniamo.. Mettete al sicuro quanti più documenti possibili, poi arriverà lo studioso appassionato e saprà ben decifrarli… e potresti essere tu stesso!

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