Degli scritti di G. Pepe ci resta quel tanto che basta per constatare la predilezione per le tematiche sia della filosofìa antica che contemporanea. Troviamo per lo più note e articoli di periodici: ” La coscienza come forma di apprensione” sulla Rivista di Filosofìa Neo-scolastica, 1915; “La filosofia religiosa di Epitteto” ancora sulla Rivista di Filosofìa Neo-scolastica, 1916; “L’arte e la fede di Giuliano l’apostata” su Vita e Pensiero, 1921. A partire dal 1928 al 1931 scrisse articoli sul periodico locale âVer Picenumâ, e contemporaneamente fondò un bollettino trimestrale âAll’ombra della Croceâ di cui fu direttore. Del periodico âVer Picenumâ ricordiamo un suo dialogo intitolato “Filosofìa perenne e filosofìa di moda”. Si tratta prevalentemente di scritti filosofici e teologici. Ma si conserva anche un suo opuscolo patriottico: un Discorso pronunciato il 12 settembre 1915 a S. Bartolomeo in Galdo in occasione di una cerimonia organizzata dal Comitato di Mobilitazione Civile a commemorazione dei soldati del paese caduti nella guerra contro l’Austria. Nel âdiscorso patriotticoââ¦Ciò che colpisce non è tanto il motivo della redenzione delle terre sorelle oppresse dal giogo austriaco, quanto l’ispirazione ideale della guerra, vista e sentita come un dovere della civiltà (greco-latina e cristiana) contro la “barbarie teutonica” . Nell’universo germanico egli vede la “ferocia gotica” mascherata da una cultura che idolatra lo Stato ed esalta la forza contro il diritto romano e cristiano, alleata di un’altra forza bruta, quella turca mussulmana.
“Ma contro questa burbanzosa cultura saprà reagire il possente genio italico, erede delle incomparabili glorie della sapienza, della poesia e dell’arte greca e dello spirito universalistico e retto degli antichi Romani; erede dei grandi geni del nostro Rinascimento, i quali nel quattrocento e nel cinquecento si enumerano non a decine soltanto, ma addirittura a centinaia e si chiamano giustamente immortali; -eredi di scrittori e di pensatori insigni, che vanno dall’Alighieri al Carducci, da Anselmo d’Aosta e da Tommaso d’Aquino a Giambattista Vico, a Rosmini, a Gioberti; -eredi dei meravigliosi ingegni che brillano sempre nel campo della scienza, da Galileo, Torricelli, Volta, sino al nostro contemporaneo Marconi” .
Tutti i personaggi citati, qui, diventano esponenti del âgenio italicoâ e dell’Occidente latino e cristiano, baluardo di civiltà contro la barbarie della âKulturâ germanica. Perciò i soldati morti per la causa italiana, i nostri eroi,
“non sono caduti soltanto per la grandezza della patria nostra e per consolidarne i naturali confini, ma anche per liberare il mondo civile europeo dalla minaccia incessante e pericolosa della barbarie teutonica elevata a sistema e legittimata e nascosta da tutta una vernice di cultura che noi, eredi dell’antica sapienza ellenica e latina, sapremo scrostare e disperdere al vento coi lucidi e ponderosi ingegni”.
La contrapposizione evidente di barbarie e civiltà , che permea l’intero discorso, torna ancora più forte nel saluto finale rivolto ai soldati caduti. Di essi si ricorda l’eroismo, la generosità e il coraggio nel difendere l’alta causa della libertà del diritto e della forza morale, dalle quali – ribadisce l’oratore – nasce il vero progresso e la vera civiltà .