Una fila di girasoli, simili a giganti dorati, si ergeva a ridosso della casetta in pietre e poi mandorli dalla corteccia increspata e imponenti querce secolari. Una casetta con la pavimentazione dâargilla ben lisciata, zeppa di bauli e bauletti, gomitoli di lana multicolore, barattoli di vetro con foglie e petali essiccati di diverse piantine, e tanti brandelli di vecchi abiti che si ammucchiavano nei cantucci⦠Il cigolio delle porte echeggiava nella casetta, le sedie erano in legno di noce, avevano alti schienali torniti senza lacche, ne tinture, di quelle per le quali solitamente si distingue la bellâ epoca antica. Mia nonna era una vecchietta esile dal cuore semplice, sorrideva sempre sia che stesse raccontando qualcosa, sia che semplicemente stesse ascoltando. Sul viso e nei suoi piccoli occhi neri era dipinta una tale bontà e una tale disponibilità ad offrire tutto quanto aveva di meglio.
Le rughe leggere erano disposte sul viso con una tale piacevolezza che un artista le avrebbe probabilmente rubate. In queste rughe sembrava possibile leggere tutta la sua vita luminosa e tranquilla. La nonna mi diceva sempre: âDobbiamo vivere nella gioia, alimentarla in noi stessi ed espanderla allâesternoâ, vivere nella gioia non vuol dire non vedere le brutture, vivere nella gioia vuol dire vivere nella consapevolezza estrema testimoniando nel mondo buio una diversa appartenenza dellâessere. La gioia è un linguaggio di sguardi ed è potentemente eversiva, poi aggiungeva âCerca le cose essenziali, vivi con semplicità le relazioni, cura gli affetti, ama la vita⦠valori essenziali per non smarrirsi in un mondo che cambia in continuazioneâ. Con lâimmaginazione rivivo i piacevoli momenti delle passeggiateâ¦Erano calde giornate di giugno, in assenza di aliti di vento. Il fogliame del bosco era gonfio di linfa, fitto e verde, solo qua e la cadeva qualche foglia ingiallita. I cespugli della rosa silvestre si presentavano coperti di fiori odorosi e nelle radure un mare di trifoglio da miele. La segale folta, alta, scuriva e ondeggiava, giunta ormai a metà maturazione, nei roveti i codibugnoli si chiamavano lâun lâaltro, nellâavena e nella segale le quaglie ora chiocciavano, ora trillavano, lâusignolo nel bosco solamente di tanto in tanto lanciava il suo canto e poi sâazzittiva. Un giorno vidi la nonna seduta sull’erba che masticava mughetti: âSono buoni?â le chiesi, âSono buonissimi per chi e’ affaticatoâ lei mi rispose, poi aggiunse “E stasera, per cena, mangeremo qualcosa di ancora più efficace per il batticuore, gli asparagi”. La nonna assaggiava del mughetto solo il fiore, anche perché le bacche rosse, che sono pericolose e tossiche, si formano finita la fioritura ed hanno un cattivissimo odore a differenza del fiore che anche a distanza emana una gradevole e penetrante fragranza. Le nostre nonne nella cucina e nella salute, fino a qualche decennio fa si aiutavano con utili rimedi, con la modernità molti di questi consigli sono stati dimenticati. Le nostre dolci nonnine tuttâoggi, ne fanno uso e funzionano ancora. Certamente qualche volta funzionano e qualche volta non riescono, ma câe sempre qualche altro rimedio pronto a sostituire quello che fallisce, cosi, si divulga il consiglio che centra lâobiettivo. La nonna la sapeva lunga a proposito di rimedi curativi⦠raccoglieva radici, bacche e fiori, con cui preparava intingoli e intingoletti. Nella sua credenza non mancavano mai i semi e i petali freschi o essiccati di papavero. Diceva lei con unâaria briosa e un poâ mistica âIl papavero tra i tantissimi fiori che crescono spontanei è sempre quello che fa più chiassoâ, voleva con questa espressione dire che tra i fiori era quello che richiamava maggiormente lâattenzione, e di certo aveva ragione, i suoi petali di colore rosso acceso, danno il sorriso al verde. Contiene tantissimi principi attivi, ha proprietà terapeutiche calmanti, decongestionanti ed espettoranti.
Lâinfuso di fiori è efficacissimo contro la tosse e il catarro, nonché contro lâinsonnia. Per favorire il sonno dei figlioletti vivaci le mamme di una volta spropositatamente gli preparavano lâ infuso di âpapà gnunâ , i papaveri ancora oggi crescono spontanei in questi posti ricchi di fascino. Piu’ frequente era però lâ impiego dell’ infuso di camomilla, bevuto anche per sedare i dolori intestinali. La natura, fra i tanti rimedi, fornisce anche quelli utili per la pelle, che dai nostri nonni la si voleva bianca e lucida, ritenendo la pelle scura e abbronzata un segno di popolanità e propria delle contadine. Le nostre nonne raccoglievano la linfa della vigna ancora verde in un vasetto ben pulito, per spalmarla poi, in modiche quantità , sulle macchie della pelle esposta a lungo al sole cocente. I chicchi ancora verdi dell’ orzo, stemperati nel latte, davano un liquido lattiginoso che veniva impiegato per togliere le impurità delle pelle, rendendola così più lucente. La lanugine che riveste la parte interna del baccello delle fave verdi veniva sfregata ogni sera sul viso per ravvivarne il colorito. La farina di fave mischiata con il latte tiepido rendeva più chiara la pelle, togliendo quelle antiestetiche macchie che si formavano dopo l’ esposizione al sole. Un ultimo cosmetico si otteneva nel seguente modo: si raccoglieva ed essiccava la pianta della malva in tutte le sue parti e si faceva bollire col decotto di piantaggine, con il liquido ottenuto si detergeva la pelle macchiata dal sole, risultando così più chiara e lucida. Oggi si ricorre sempre di più ai rimedi con le erbe, forse sarà una moda, forse semplicemente un’esigenza dovuta alla voglia di tornare alle buone vecchie cose di una volta. à comunque opportuno un consiglio iniziale, le erbe fanno sicuramente bene in moltissimi casi, ma infusi, decotti e simili rimedi vanno assunti con cognizione, documentandosi . Nei casi più difficili è bene rivolgersi sempre a erboristi, farmacisti o, perché no, a medici che non disdegnano di ricorrere a medicamenti alternativi. La semplicità della natura può a volte risolvere i problemi della salute, perché noi siamo natura, la natura è intorno a noi e il nostro bene è natura.