La prima lettera pastorale del nuovo arcivescovo beneventano, Monsignor Felice Accrocca, si chiama: “Camminare insieme”.
[…] Premetto che non conosco ancora in modo adeguato la realtà dell’arcidiocesi; posso solo dire, in totale sincerità, di essermene subito innamorato: la bellezza e la ricchezza del territorio e del suo patrimonio artistico-culturale, l’alta qualità dei prodotti eno-gastronomici e artigianali, costituiscono potenzialità notevoli ai fini di una ripresa socio-economica capace di produrre nuovi posti di lavoro in un’area che va progressivamente spopolandosi. Potenzialità che però vengono mortificate dalla debolezza delle infrastrutture: tra queste, salta subito all’occhio la precarietà del sistema viario. Incredibile a dirsi, ma quella centralità che nei secoli passati ha fatto la fortuna di Benevento – posta com’era sull’Appia a metà strada tra Roma e Brindisi, quindi stazione obbligata per quanti si muovevano dall’Urbe verso l’Oriente e viceversa, e inoltre compresa tra due fiumi che garantivano il trasporto veloce delle merci – sembra essere ormai venuta meno, al punto che la città oggi non è facile da raggiungere. A ciò bisogna unire il disagio di un gran numero di piccoli centri: paesi belli e ben tenuti, che possono vantare anche produzioni di eccellenza, ma penalizzati dalle vie di comunicazione (come non pensare a San Bartolomeo in Galdo e ad altri centri del Fortore?). Il punto nodale, però, non è questo, ma un altro che gli si collega direttamente. Mi sono chiesto, infatti: perché la nostra gente assiste impotente a tutto ciò? Perché non fa sentire in modo adeguato la propria voce? Debbo premettere che, da questo punto di vista, ho trovato una continuità sorprendente tra il territorio beneventano e quello pontino. Anche la mia zona di origine, infatti, presenta evidenti carenze strutturali, anche lì si registra una debolezza non solo di proposta, ma di protesta. A Latina e dintorni la radice di tale comportamento va ricercata nella mancanza di un’identità comune; qui ho l’impressione che sia l’esatto contrario, vale a dire che un’identità fortemente marcata, non sempre capace di superare i limiti dei propri confini, rischia di accrescere il tasso di litigiosità e di paralizzare ogni azione comune. Alla fine, il risultato è lo stesso, sia di qua che di là: l’incapacità di fare sistema, di unirsi in un progetto comune, con la conseguenza che ogni azione – anche la protesta – diventa sterile e, malgrado i primi entusiastici clamori, con ben poche possibilità di dare frutto. Una piccola frazione è portata piuttosto a guardare al proprio interesse che non a quello dell’intero Comune e a perseguirlo anche a danno dell’interesse più generale. Si è spinti a salvaguardare le proprie prerogative anziché a fare rete con gli altri. Tali anomalie non risparmiano neppure la città di Benevento, che anche in conseguenza di una storia che per secoli l’ha separata dal territorio circostante, sembra faticare nell’assumere una funzione di guida. […]
Il testo integrale della lettera pastorale lo trovi qui