Il 14 novembre si è inaugurato il tratto di strada che da Benevento porta, dopo pochi chilometri, qualche galleria e alcuni viadotti, a San Marco dei Cavoti.
Dai nostri amministratori s’è alzata una flebile voce di protesta, della quale nemmeno l’eco si sentirà attraversato il ponte Setteluci.
Un piccolo passo avanti rispetto al vergognoso silenzio del barone martini (la minuscola è voluta), durante il Consiglio provinciale del 7 dicembre del 1861, quando un certo Achille Jacobelli di San Lupo, consigliere provinciale di dubbia fama e legato tristemente ai fatti di Pontelandolfo e Casalduni, definito dagli stessi conquistatori piemontesi che pur dovettero incensarlo “persona sempre stata affezionata al Borbone e che all’arrivo di Garibaldi si finse liberale ma che in sostanza non è
Se il buongiorno si vedeva dal mattino, quel mattino agli albori della nostra adesione alla nuova provincia di Benevento doveva essere davvero fosco.Eppure facemmo carte false per poter aderire alla nuova nascente Provincia. In uno scritto del 21 ottobre 1861, poco meno di due mesi avanti il primo schiaffo che prendemmo dalla Provincia, il canonico Francesco Catalano, omonimo del grande Don Ciccio Catalano fondatore della Chiesa della Beata Vergine del Carmelo, “A chies a don Cicc”, scriveva:”Quando il Dittatore Garibaldi creava con uno speciale decreto la Provincia di Benevento, uno dei primi Comuni, che corse volenteroso ad annettersi alla medesima, fu quello di Sambartolomeo in Galdo”.Una precisazione sul canonico Francesco Catalano. Il Clero meridionale in toto era schierato con i Borbone, noi a San Bartolomeo avevamo l’unico sacerdote che parteggiava apertamente per i nuovi padroni. Delle due l’una: o don Francesco era un temerario che a rischio della sua vita esprimeva a voce alta i propri ideali liberal-savoiardi, oppure era un paraculo fenomenale che con maggior prontezza dei suoi confratelli aveva visto dove si andava a parare. Egli così scriveva: “L’epoca delle menzogne non è più. Ne’ la storia della nuova Italia i posteri troveranno una pagina, ove si leggerà con raccapriccio che nera eredità d’inganni lasciava un governo brutale, quando fulminato da Dio, scrollava da ogni parte come un vecchio edifizio”.
(Il sottosegretario ai trasporti e infrastrutture Umberto Del Basso De Caro nel 2014).
Non attribuisco colpe ai politici di allora, i nostri commerci come ricorda il Falcone, erano tutti in direzione di Napoli. Non dimentichiamo che la città partenopea era la terza in Europa per popolazione ed importanza, nonché capitale del Regno. Se Napoli avesse mantenuto quella centralità, se non si fosse fatta una scelta nordcentrica, se insomma non si fosse massacrato il Sud, forse ora parleremmo d’altro. Noi andavamo in Capitanata solo per sbrigare le pratiche amministrative. Oggi si sono invertite le parti, i commerci, i cinema, i teatri, li troviamo tutti a Foggia ed a Campobasso, e a Benevento ci andiamo solo se costretti. Per pratiche amministrative.Non eravamo i benvenuti nella nuova provincia. I piccoli paesi ci temevano, avevano paura di essere fagocitati e non avevano tutti i torti. San Bartolomeo in quei sconvolgimenti dei tempi era più o meno un’isola tranquilla, quasi sicura, pertanto centinaia di persone benestanti vi emigrarono dai paesi limitrofi in cerca di sicurezza.
“Cento numerose famiglie emigravano desolate da Molinara, da Foiano, da Montefalcone e da Roseto innanzi al flagello barbarico, con cui quel tristo Avanzo dei Borboni percoteva la nascente vita di queste misere provincie; e Sambartolomeo le accoglieva tutte tra le sue mura con un affetto veramente italico, e con un disinteresse senza esempio”. Fa sorridere immaginare la trasformazione di San Bartolomeo da paese di immigrazione, a paese di emigrazione. Fortunatamente non avevamo leghisti e non ancora fratelli d’Italia, e accoglievamo questi “profughi” come si conviene ad esseri umani. La maggior parte dei piccoli paesini, nonché i paesi della Valle caudina guardavano con il fumo negli occhi la nostra presenza nella nascente provincia, il Catalano scrive: “Molte e virulenti assai furono le diatribe, che qualche discolo Comune ne blaterava alle spalle amaramente”.Centinaia furono i motivi elevati per non permetterci l’adesione a Benevento, ma tre furono i principali: “1. Dissero che Sambartolomeo era escentrico dalla cerchia del circondario. 2. Dissero che il torrente Fortore separava il capoluogo dal resto dei paesi dipendenti. 3. Dissero in fine, che Sambartolomeo era al di là dei confini naturali della provincia Beneventana”.
Ma forse anche il nostro don Francesco è ben conscio della nostra escentricità provinciale se chiude le sue argomentazioni dicendo: “Ma in fine se Sambartolomeo non ha, egualmente che tutti gli altri, il bel vantaggio di essere perfettamente centrale, ha però tale un’importanza economico-commerciale-strategica, da dover essere il solo prescelto, e nel grande interesse di tutti i paesi che lo circondano. Buon Dio! Come disconoscere tutto una volta quella imponente necessità, dalla quale tante misere popolazioni vengono sospinte a questo centro di risorse?”.Accorgendosi delle falle delle sue argomentazioni don Francesco chiude la sua prima arringa con parole che suonano canzonatorie nei nostri confronti e nei confronti di chi ci ha preceduto nella vita in queste lande, egli dice che forse siamo davvero escentrici, ma “…allorché una rete di strade Comunali-Provinciali e Nazionali congiungerà tra breve tutti i paesi d’Italia, si parlerà ancora di distanze e di escentricità?”.Sarebbe divertente una dichiarazione del genere se non fosse tragicamente dileggiante, 150 anni fa le strade ce le prometteva Cavour e si guardò bene dal realizzarle, 150 anni dopo le strade ce le promette il De Caro di turno e chissà se le costruirà davvero.Noi la realizzazione di quelle promesse ancora non le abbiamo viste, abbiamo però preso contezza della mediocrità di colui che promette rispetto allo statista unitario, insomma una cosa è esser presi per i fondelli da Cavour, un’altra dal Sottosegretario del Governo Renzi. Sempre presa per i fondelli resta, ma vuoi mettere la soddisfazione di esserlo preso da Camillo Benso Conte di Cavour.
D’altra parte basta guardare il ponte Setteluci per capire che con la piena del Fortore c’è ben poco da scherzare. Sono state necessarie ben setteluci per l’attraversamento e poi credo che il Falcone sia molto più obiettivo e meno propagandistico quando scrive, appena 10 anni prima, che “i ruderi di quattro ponti preesistiti lungo il Fortore fannoargomentare della rilevante condizione di quelle contrade in tempi remoti. Oggi non ve ne ha alcuno; cosa che è di gran danno ed ostacolo al commercio”.
È morto Cavour! Viva Cavour!
Bibliografia:
- Sambartolomeo in Galdo al Consiglio provinciale di Benevento di Francesco Catalano, Napoli 1861.
- Il Regno delle Due Sicilie Descritto ed Illustrato di Filippo Cirielli, Napoli 1856.
- San Bartolomeo in Galdo di Vincenzo e Alfredo Del Re, Tipografia “Auxiliatrix” Benevento 1982, pp. 44-45.