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1863: Sangue a San Bartolomeo in Galdo

Fra poco più di due anni, inizierà il 2027. E come direbbe Rocco Schiavone/Marco Giallini “Sticazzi”. Eppure se il resto del mondo può far propria l’esclamazione colorita del Vicequestore, noi di San Bartolomeo in Galdo dovremmo tatuarci tale data sull’avambraccio.

Nel 2027 il nostro paese festeggerà i suoi primi 700 anni. Li festeggerà in uno dei momenti peggiori della sua storia, con uno spopolamento galoppante e una socialità ridotta ai minimi termini. Un po’ acciaccato il nostro paese, ma è pur sempre il NOSTRO.

Noi di Sanbartolomeo.info abbiamo iniziato per tempo a fargli un regalo. La nostra digitalizzazione dell’archivio parrocchiale prosegue senza sosta ed alla digitalizzazione abbiamo affiancato anche l’indicizzazione dei registri, così da renderli fruibili a tutti. Non abbiamo i potenti mezzi di Family Search, soprattutto non abbiamo la disponibilità economica della società mormone, ma non per questo il nostro dono vale meno, regaliamo a SBiG gran parte del nostro tempo libero. Ricostruiamo episodi della sua Storia dimenticati, dalla battaglia di Ianziti durante la Seconda Guerra mondiale, al bombardamento del paese sempre durante il secondo conflitto, dalla peste del 1646 al colera del 1837 e molti altri ancora. Abbiamo scoperto solo di recente che la camera ardente per gli otto morti di quel tragico 5 ottobre 1943 fu allestita in Chiesa Nuova.

Oggi vorremmo ricordare l’eccidio di San Bartolomeo perpetrato dalla banda di Michele Caruso il 9 settembre 1863.

Foiano Valfortore il prossimo anno ricorderà la strage dell’Acqua Partuta del 13 giugno 1862, dove le forze nazionali persero circa 15 uomini.

Il giornalista Antonio Bianco uno dei massimi esperti di brigantaggio nella Valfortore darà alle stampe un libro dal titolo: Foiano Valfortore, l’eccidio dell’Acqua Partuta; commissionato dal Comune di Foiano.

L’invidia non è uno dei sette vizi capitali che ci appartiene, ma non possiamo nascondere l’ammirazione per l’Amministrazione Comunale di Foiano Valfortore guidata dal sindaco Ruggiero per il grande lavoro di riscoperta e valorizzazione della storia locale che da anni stanno portando avanti.

Noi non scriveremo un libro sull’eccidio di San Bartolomeo in Galdo, ma cercheremo di capirne di più su ciò che avvenne in quei convulsi momenti di Storia risorgimentale, dove gli ideali vennero messi da parte e la ferocia ed il sangue la fecero da padroni. Vi sono molti interrogativi che meriterebbero una risposta, bisognerebbe dimostrare alcune ipotesi e chissà un giorno verrà qualcuno più bravo e più fortunato di noi e lo farà. Noi ci limiteremo a raccontare i fatti e a sollevare determinati interrogativi.

La vulgata risorgimentale per secoli ha dipinto Michele Caruso da Torremaggiore come una bestia feroce assetata di sangue. E se ci limitassimo a leggere delle sue stragi dovremmo convenire con tale descrizione. Negli ultimi anni qualche anima buona è tornata ad affrontare con obiettività quella che è stata una vera e propria guerra civile fra italiani, dove c’era un aggressore (i piemontesi) ed un aggredito (i napoletani). Una guerra civile declinata in più modi: guerra contadina, guerra tra cafoni e borghesia agraria, guerra tra filoborbonici ed esercito piemontese, insomma come la si voglia chiamare fu una guerra vera e propria e non un problema di ordine pubblico come è stato rubricato per oltre un secolo.

Che qualcosa stia cambiando lo leggiamo anche sul prestigioso Dizionario biografico degli Italiani della casa editrice Treccani.

Sul Caruso la prestigiosa Casa Editrice intravede: “… Una feroce determinazione nel vendicarsi dei torti, dell’oppressione e dello sfruttamento esercitati dai possidenti; una intensa carica vitale estrinsecantesi nel coraggio fisico, nella resistenza alle fatiche e alla miseria e nel disprezzo della morte; un impulso incontrollato di rivolta che approdava a forme anarcoidi di “pandistruzione” prive di prospettive rinnovatrici”.

Ed è proprio quell’istinto alla distruzione, quando ormai tutto sembrava finito, che portò il Caruso ad alienarsi le masse contadine che fino ad allora l’avevano protetto. Quelle stesse masse che l’osannavano lo perdettero.

Caruso fece in tempo nei suoi anni di guerra a segnare col sangue le nostre contrade.

Non aveva più nulla da perdere il Caruso e non potendo più contare sull’ammirazione della popolazione, tentò di soggiogarli col terrore. Innumerevoli furono le stragi commesse dalla banda Caruso: Foiano Valfortore 15 morti, Castelvetere 18 morti di cui 10 donne, Baselice 15 morti, 10 donne, fino ad arrivare all’eccidio di San Bartolomeo in Galdo del 9 settembre 1863.

La dottoressa Luisa Sangiuolo nel suo classico “Il brigantaggio nella provincia di Benevento, 1860 – 1880” riferendosi alla strage di San Bartolomeo scrisse che Caruso entrò in paese e uccise tra guardie nazionali e villici 21 persone. Il numero è in discrepanza con quello calcolato dal Prof. Gianni Vergineo nel suo “La passione del Sannio nel Risorgimento nazionale”, l’indimenticato professore scrive che i morti furono 23. Noi nel nostro piccolo abbiamo tirato fuori dal cilindro degli archivi parrocchiali un altro numero, 22. La nostra ammirazione per il prof. Vergineo è direttamente proporzionale alla lettura dei suoi scritti, più leggiamo le sue opere e più lo stimiamo.

La professoressa Sangiuolo è per noi sconosciuta, ma non dubitiamo del suo lavoro. Non abbiamo pretese di verità, per esperienza abbiamo imparato che nei registri parrocchiali non c’è scritta la verità assoluta, ma una verità. Noi raccontiamo quella.

La verità che emerge dai registri parrocchiali ci narra che i morti durante il massacro perpetrato da Michele Caruso del giorno 9 settembre 1863, furono 21 ed a seguito delle ferite riportate dopo 16 giorni di agonia si ebbe un’altra vittima. Anche sui nomi non c’è corrispondenza, i registri parrocchiali ci dicono una cosa, la professoressa Sangiuolo ci dice altro. In realtà la discrepanza è minima. Noi li ricordiamo seguendo fedelmente il registro parrocchiale: Achille Mariella figlio di Baldassarre e di Rosanna Candiloro, aveva solo 30 anni; il cognome Mariella a SBiG è rimasto solo nella toponomastica; Pasquale D’Onofrio figlio di Giuseppe ed Anna Catalano di anni ne aveva 36; la ferocia della banda Caruso è testimoniata dalla terza vittima Angelo D’Andrea di Antonio e Rosaria Vespa che non avrebbe mai immaginato di terminare la sua lunghissima vita per mano di briganti, Angelo aveva 80 anni; Antonio Picciuto figlio di Vito e di Anna Palumbo di anni ne aveva 40; Antonio Circelli di Biase e Domenica Ricci era un giovane di 26 anni; Michele Pepe di Francesco e Delia Catalano di anni 40 non capì cosa stesse succedendo; Domenico Picciuto di Francesco e Saveria D’Andrea aveva 34 anni; Basilio Viesti di Domenico e Lucia Pacifico ne aveva 36; Michele Lauro figlio di Raffaele e Lucia Paradiso di anni ne aveva 38; Donato Vinciguerra di Giuseppe e Felicia Maggese di anni ne aveva 32; Giuseppe Forino era figlio di Michele e di anni ne aveva 39; Biase Iannantuoni di Giacomino, aveva 68 anni, forse riposava insieme ad Angelo quando la sua vita fu spenta da Caruso; noi non abbiamo riportato il ruolo di questi poveri cristi, secondo la Sangiuolo erano tutti arruolati nella Guardia Nazionale, ci sembra improbabile che un vecchio di 80 anni ed uno di 68 potessero arruolarsi, a parer nostro Caruso entrato in paese trucidò i primi che gli vennero a tiro, come Pasquale Ruggiero di Nicola, di anni 48, secondo la Sangiuolo era al lavoro nel suo pezzetto di terra quando ebbe la sfortuna di trovarsi sulla strada della banda Caruso. Mirate ci sembrano invece le esecuzioni di Domenico Del Prete di anni 35 Segretario di Pubblica Sicurezza e di Domenico Moro di 35 anni Ispettore del Registro di Bollo; Giovanni Guerra di anni 40 e Pellegrino Truise di anni 48 erano Guardie di Pubblica Sicurezza e soccombettero durante il combattimento; dopo circa 16 giorni a causa delle ferite riportate morì il giovane Michele Cinicolo figlio di Pietro di anni 30; morì anche il Regio Carabiniere Pasquale Mastrovita.

La Sangiuolo scriveva che Caruso decide di non entrare in paese, ma corse a sequestrare Don Giuseppe Iafaioli di anni 40 figlio di Nicola ed Isabella Ciufalo, don Michelangelo Pelosi di anni 40 figlio di Lionardo e Vittoria Catullo e don Angelo Maria Gisoldi di anni 38 figlio di Giuseppe e di Anna Ziccardi.

Se Caruso non entrò in paese, dove corse a sequestrare lo Iafaioli, il Pelosi e il Gisoldi? Li incontrò per strada mentre si ritirava? Ci sembra poco probabile. Aggiunge ancora la Sangiuolo che le famiglie Iafaioli e Pelosi pagarono un riscatto di 1400 ducati. Ci lasciano perplessi le modalità del sequestro. I sequestri lampo sono sempre esistiti, potrebbe rientrare in quella tipologia. Eppure restiamo dubbiosi, il Caruso in mattinata passò da Castelvetere in Valfortore e trucido’ 18 persone, arrivato a San Bartolomeo fece strage di altre 19 persone, ma se a Castelvetere erano quasi tutti inermi, comprese 10 donne a San Bartolomeo il Caruso e la sua banda furono costretti ad ingaggiare combattimento perché trovarono la resistenza di un carabiniere, un ispettore e due guardie di pubblica sicurezza. Avuta la meglio, nel tardi pomeriggio trovarono il tempo di rapire tre signorotti locali di chiedere il riscatto, attendere che gli venisse consegnato e poi li ammazzarono lo stesso. Ci sembra quantomeno una forzatura temporale.

Secondo la Sangiuolo il Gisoldi non pagò nemmeno un ducato di riscatto, furono solo le famiglie Iafaioli e Pelosi a racimolare i 1400 ducati che poi si rivelarono inutili.

Tra tanti galantuomini in paese, perché il Caruso rapì proprio questi tre? Caruso e la sua banda non erano di SBiG, come individuarono queste persone benestanti? E soprattutto perché una volta ricevuto il riscatto le trucidarono lo stesso?

Se non fosse un’idea inverosimile più che un rapimento a scopo di riscatto, le modalità sembrano di una esecuzione vera e propria.

E se fosse stata un’esecuzione, gli esecutori sono noti, ma i mandanti chi furono?

Oppure è tutto un nostro arzigogolio mentale e non c’è nessun mistero.

Ciò che resta però sono i 22 morti, altro tributo di sangue dimenticato di sanbartolomeani che col nostro lavoro di ricerca stiamo cercando di portare alla conoscenza delle nuove generazioni.

Un tributo di sangue versato dal nostro paese per un’Unità che ha perso il Sud e che ancora, a distanza di un secolo e mezzo, non è stata compiuta.

Buon compleanno SBiG!

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