Noi giovani del Fortore ci siamo e non ce ne andremo!
Pubblichiamo integralmente l’appassionato intervento della rappresentante d’Istituto del Liceo Scientifico “E. Medi” di San Bartolomeo, Maria Picciuto, pronunciato in occasione del Corteo rievocativo della Marcia della fame del 1957 svoltosi a San Bartolomeo in Galdo venerdi’ scorso, 14 aprile.
<<Buongiorno a tutti, oggi siamo qui insieme a ricordare quel che è successo esattamente 60 anni fa, ma soprattutto a rivendicare i nostri diritti e a ricordare alla nostra regione e a tutta l’Italia che noi del Fortore ci siamo e non ce ne andremo.
Quando ho pensato al mio paese e ai miei compaesani, ho pensato subito ad un termine: abitudine.
Ogni ragazzo che vive in questa terrà è costretto ad abituarsi, è importante riflettere su questo fenomeno. E’ imbarazzante la facilità con la quale ognuno di noi, dal più grande al più piccolo, riesca ad abituarsi a questa monotonia così facilmente. Non abbiamo perso tempo ad abituarci al non avere nulla. Ci siamo abituati alle nostre strade, ci siamo abituati al nostro ospedale, se così si può chiamare, abituandoci così tanto alla sua silenziosa presenza da non accorgerci che è diventata l’opera incompiuta più longeva d’Italia. Ci siamo abituati a farci portare via tutto, giorno dopo giorno. Ma in modo particolare vi siete abituati, mi rivolgo a voi un po’ più adulti, che avete potuto ammirare San Bartolomeo e gli altri paesi nella loro momento migliore, quando essi erano ancora pieni di giovani e di idee, a guardare questo spopolamento e restare inermi, fermi di fronte al fatto che ogni anno una classe intera di ragazzi continua a partire per non tornare. Eppure davanti a questo fatto ci ostiniamo a non accogliere le famiglie di immigrati che potrebbero portare linfa al nostro territorio.
Ci siamo abituati al fatto che ogni giorno le nostre attività peggiorano perché le persone a consumare sono poche e famiglie intere sono costrette a trasferirsi, magari all’estero, per una vita migliore. Ci siamo abituati a “farci i fatti nostri”, perché nelle piccole realtà è così che funziona, ognuno pensa al fatto suo senza farsi troppi problemi e ci ritroviamo spesso ad essere più divisi, senza alcun legame né all’interno né all’esterno del paese, permettendoci finanche il lusso di rimanere senza un’amministrazione! Infine abbiamo sviluppato la piacevole abitudine a dormire, sì a dormire, perché è questo che facciamo noi del Fortore, dormiamo continuamente, non ci interessa niente fin quando non riusciamo più ad avere il minimo indispensabile per vivere, come è successo qualche settimana fa con la strada Amborchia, battaglia che non doveva fermarsi lì, perché toglierci quel collegamento vitale è stato il colmo; ma non pretendere una viabilità decente in tutti i paesi e soprattutto nel collegamento con la provincia è molto peggio!
Basta accontentarci, basta cullarci pensando che non si possa fare nulla, perché ci sono tante cose da fare e ci sono tante cose che possiamo ottenere lavorando insieme. 60 anni fa queste persone partirono per rivendicare qualcosa che gli apparteneva: pane, lavoro, dignità e identità. Aspetti fondamentali che forse dovremmo riacquistare anche noi. Spero che il punto d’arrivo di questo percorso che parte con il messaggio che abbiamo voluto trasmettervi oggi, sia proprio questo: sentirsi reali cittadini del Fortore senza doverci vergognare e senza dover dare per scontato che sia un banale luogo dimenticato dal mondo, ma al contrario sentirci ricchi nelle proprie radici, ricchi nel poter vivere queste terre e poterne godere ogni giorno senza disprezzarle, ma imparando ad amarle, come ci ha consigliato il poeta Franco Arminio in biblioteca.
Dobbiamo riuscire a tenere alta questa speranza che ci unisce e ci permette di fare qualcosa per la nostra comunità. Grazie.>>
Foto: Andrea Coduti