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Don Clemente Arricale, meridionalista! Conclusione

A tre anni dal terremoto del 1962, non era stata ricostruita una sola casa. Quelle dichiarate inabitabili dal Genio Civile erano state rioccupate dagli sfrattati. L’edilizia popolare, in auge negli anni ’60 in Italia, a San Bartolomeo contava un solo edificio con sei appartamenti. I lavori per la costruzione dell’ospedale, interrotti dopo il terremoto, non erano ancora ripresi, e noi sappiamo che a oggi continuano ancora, come una moderna tela di Penelope, drenando soldi pubblici e mortificando le popolazioni della Valfortore. La lucidità di analisi e la lungimiranza di don Clemente sono mirabili. È impietoso verso lo Stato, ma non è indulgente con il proprio borgo, scrive: “È tutto un paese da sanare subito per elevarlo dal suo secolare stato di miseria e di abbandono. Qui si è indietro forse di una generazione, in ordine al progresso, che è indice di civiltà”. È duro con la Cassa del Mezzogiorno perché “… almeno in questa zona, è risultata un fallimento, perché non ha accelerato l’esecuzione delle infrastrutture, premesse indispensabili per l’industrializzazione…”.

Non chiedeva la luna il rev. Arricale, ma solo strade che ci permettessero e ci permettano, di rompere quell’isolamento a cui sembra ci abbiano condannato. A distanza di 50 anni da questa lettera, sappiamo che la viabilità non è migliorata, nonostante i milioni di euro enumerati dai nostri rappresentanti sui social network.

Ma quale potrebbe essere la soluzione? Riporto fedelmente lo scritto del Reverendo. Dopo averlo letto, mi sono alzato in piedi e ho gridato, come faceva il pubblico dello United Center dopo aver visto giocare Sua Ariezza: MJ23: MVP! MVP! MVP! Anche voi al termine della lettura, non potrete trattenervi dal gridare: Don Clemente Presidente del Consiglio!

Ecco cosa scriveva: “Solo un intervento massiccio dello Stato può sbloccare uno stato di miseria e di abbandono secolare. Quello che più necessita a questa zona è la trasformazione agricola che solo il Governo può avviare e portare a soluzione. Non basta concedere contributi, che quasi sempre servono a tutt’altri scopi che quelli per i quali sono concessi. Occorre una maggiore serietà di controllo; occorre snellire le pratiche burocratiche per mutui a lunga scadenza (e per queste concessioni di mutui occorre rinunziare al criterio privatistico bancario, che arreca vantaggio a chi non né ha bisogno); occorre facilitare la nascita di cooperative. Spetta a funzionari governativi, competenti ed onesti, prendere iniziative, invitando e stimolando i contadini, spiegando loro i vantaggi, sbrigando per essi le pratiche necessarie, preventivando e coordinando tutta l’attività. Bisogna passare cioè dalla fase nebulosa del generico consiglio alla fase iniziale d’impianto e di concreta realizzazione. Costruire la casa colonica al contadino è umano, ma non è produttivo; metterlo in condizioni di costruirsela col proprio danaro, che gli viene da un razionale sfruttamento della sua terra, è non solo umano, ma anche produttivo. Solo se la massa della popolazione è avviata sulla strada della cooperazione, vi è speranza di una rinascita economica, poiché ad un’agricoltura razionale e meccanizzata, si possono affiancare industrie collaterali, che utilizzino i prodotti agricoli e dell’allevamento zootecnico, es. zuccherificio, caseificio, lanificio, ecc. Non basta la programmazione nazionale delle aree industriali, perché il problema locale sia risolto, come non è stata risolta la bonifica del Fortore programmata da decenni. Se dalla programmazione non si passa subito all’attuazione, il problema diventa sempre più grave e acuto. Stando a quanto mi risulta, in questa zona non è in atto alcuna programmazione industriale. Sarei ben lieto se il mio richiamo potesse essere smentito dai fatti, non dalle parole che lasciano il tempo che trovano, come le promesse elettorali. Per il progresso industriale della zona il Governo in collaborazione con la Provincia e il Comune potrebbe sollecitare e favorire mediante agevolazioni fiscali l’installazione di industrie italiane e straniere per risolvere il pauperismo locale. Basta pensare che per legge federale l’anno scorso in Svizzera tutti gli operatori economici sono stati obbligati a ridurre la mano d’opera straniera del 2% non per mancanza di capitali ma per arrestare la corsa sfrenata allo sviluppo industriale, condizionato soprattutto dalla mano d’opera italiana. Quanti imprenditori svizzeri troverebbero convenienza di venire nell’Italia meridionale…”.

San Bartolomeo è nato come zona no tax, la sua rinascita, come la rinascita di tutte le zone interne, non solo meridionali, potrebbe scaturire, come suggerisce il rev. Arricale, da una nuova zona a forte agevolazioni fiscali.

Don Clemente affronta anche il problema delle scuole. In quel periodo 1965, si era in attesa della nascita dell’Istituto Professionale per l’Agricoltura, nato, vissuto ed ora agonizzante. Il Comune in quel periodo chiese a S.E. il Ministro della Pubblica Istruzione l’emanazione del decreto di costituzione, con decorrenza 1° ottobre 1963, del Liceo Scientifico, ma al 1965 era ancora lettera morta. Sappiamo che il Liceo è nato ed attualmente gode di buona salute.

Il problema delle scuole era molto sentito dal rev. Arricale, ed in piccolo, ricalcava l’odierno problema che attanaglia tutto il Meridione. Non avere scuole superiori, era un doppio depauperamento per il paese, poiché gli studenti, circa un centinaio, erano costretti a studiare fuori paese: Napoli, Roma, Cerignola, Foggia, San Severo, Lucera, San Marco dei Cavoti, con la prospettiva di restarci a lavorare, non potendo tornare nel borgo. Fa un rapido calcolo don Clemente, 40000 lire mensili a studente, erano 4 milioni al mese che fuoriuscivano dall’esangue economia del borgo, ai quali si andava ad aggiungere il mancato ritorno dello studente, che apportava un danno maggiore alla possibilità di crescita del paese.

Ciò succede anche oggi con gli studenti universitari. Oltre ai soldi per la formazione, il danno maggiore è arrecato dal mancato ritorno di questi ultimi, che va ad impoverire ulteriormente il tessuto sociale e lavorativo del borgo.

San Bartolomeo è sempre stato maltrattato per quanto attiene ai collegamenti pubblici. Forse è a motivo del nostro essere “Margine”, in fondo, noi non siamo più Capitanata, ma non siamo mai stati e mai lo saremo perfettamente Campania. Siamo un luogo dall’identità incerta, ma condividendo il pensiero di un grande poeta, anch’io credo che le persone più interessanti vivano in questi luoghi, e la gente di San Bartolomeo ne è una dimostrazione. Oltre alla mancata costruzione della ferrovia, attesa da oltre un secolo, nel 1965 non avevamo un collegamento quotidiano con Napoli, mentre lo aveva Castelvetere, piccolo centro viciniore al nostro.

Chiedeva ancora il Reverendo, la posa di una cabina automatica del telefono, come erano posizionate nelle città e in alcuni paesi vicini.

Problema che si è riproposto anche oggi. Nelle città si viaggia con internet a velocità supersoniche, noi andiamo avanti a scartamento ridotto.

La luce elettrica era così a bassa tensione, che non riusciva ad illuminare decentemente le strade del borgo.

È indubbio che molto è stato fatto da allora, a volte male, a volte meglio, ma il “progresso” ha lambito anche le nostre zone.

Voglio chiudere facendo mio il saluto del Rev. Arricale ed i suoi auspici, anche se allora erano rivolti al penultimo Presidente del Consiglio Meridionale che abbiamo avuto, e gli auspici erano decisamente migliori, lo statista Aldo Moro, ed oggi abbiamo l’ex portavoce di Francesco Rutelli, Paolo Gentiloni:

Voglia gradire, signor Presidente, i miei ossequi ed i miei migliori auguri per la sua opera, nella speranza che il Governo, tramite Lei, ponga rimedio nei limiti del possibile a questa situazione di fatto abbastanza grave.

Con perfetta stima     sac. Clemente Arricale

 

Ad Maiora Ariadeno!

 

 

Foto: Silvestro Apicella

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