Seppure il drenaggio delle risorse nell’ambito dello stesso Paese era iniziato da oltre 30 anni, Milano a fine ‘800 era una città come le altre del neonato Regno d’Italia. Ne condivideva la sorte di miseria e disoccupazione.
In questo contesto storico si innescò nella città la cosiddetta “Rivolta dello stomaco”, o i “Moti del pane”.
Su una miseria atavica, si innestò l’aumento del prezzo del pane, che in pochi mesi raddoppiò. La misura era colma, la povera gente scese nelle piazze di tutta Italia per protestare, ma il Governo del Regno non andò per il sottile e vi furono centinaia di morti in tutta Italia, i maggiori fatti di sangue avvennero però, a Milano.
Il Prefetto Antonio Winspeare, preoccupato dalla piega che stavano prendendo gli eventi e dall’ingrossarsi delle fila degli scioperanti, il 5 maggio 1898 convocò il Generale “Fiorenzo Bava Beccaris”. L’esercito si mise subito all’opera arrestando i capi degli scioperanti il giorno 6 maggio. Gli scioperanti si recarono presso la caserma Trotter per chiedere la liberazione dei loro compagni. La risposta dell’esercito fu una raffica di mitra che lasciò a terra i primi morti.
Il 7 maggio si pensò di organizzare uno sciopero generale di protesta. L’adesione fu imponente, i ferrotramvieri innalzarono barricate in tutta la città, a questo punto il Bava Beccaris decretò lo stato d’assedio.
Il Governò mobilitò 88 battaglioni di fanteria, circa 30000 soldati, 13 squadre di cavalleria, 9 batterie di campagna. Si ebbe un esercito in assetto da guerra contro 40000 civili, perlopiù donne e bambini che presidiavano le barricate.
Bava Beccaris diede l’ordine di usare i cannoni contro questa povera gente, fu una strage 81 morti e 450 feriti. La protesta era domata.
Da Roma si congratularono con il “macellaio di Milano” ed il re Umberto I lo insignì personalmente della Medaglia d’oro al Valor militare e la Gran Croce dell’Ordine militare dei Savoia. Il 16 giugno lo ricompensò ulteriormente con un seggio al Senato.
Facendo sfregio dei poveri morti Umberto I firmò la sua condanna a morte. L’anno successivo Gaetano Bresci uccise il re, e confessò che l’aveva fatto per vendicare i morti di Milano e per l’offesa della decorazione a Bava Beccaris.
A San Bartolomeo in Galdo invece, si decise di commemorare il Re Umberto I dedicandogli una delle piazze principali.
Mi chiedo se sia giusto continuare a intitolare Piazza Umberto I a colui che ha ultradecorato il “Macellaio di Milano” e non ad un benemerito di San Bartolomeo e della Valfortore quale Padre Antonio Dota o Gianni Vergineo, oppure il prof. Fiorangelo Morrone, o padre Egidio Circelli.