Tutto è iniziato il 21 aprile 2020. Stefano Boeri architetto progettista del Bosco verticale di Milano, rilascia un’intervista a Repubblica, dal titolo emblematico: “Via dalle città Nei vecchi borghi c’è il nostro futuro”.
L’architetto Boeri in piena pandemia predicava l’abbandono delle città e il trasferimento nei borghi, grazie al telelavoro. I borghi sotto i 5000 abitanti in Italia sono 5800, 2300 versano in stato di abbandono. Boeri chiedeva alle 14 aree metropolitane di adottare questi piccoli centri. Nel verbo adottare vi erano ricompresi: vantaggi fiscali, incentivi e tre puntini sospensivi. Inoltre aggiungeva che in moltissimi borghi ormai, ti danno casa ad un euro. Bisogna, secondo l’architetto, ripensare gli spazi cittadini e governare il fenomeno dell’abbandono delle città.
L’intervista è tutta qui, più slogan che concretezza. Non importa! Il sasso è stato lanciato e rotolando ha formato una grande frana. Sui giornali, siti internet, riviste patinate, è un fiorire di titoli che inneggiano all’intuizione di Boeri: “Per un week end o per cambiare vita: i piccoli borghi da vivere in tutte le stagioni – Il Sole24ore”, “Coronavirus: Fuga verso i borghi – Repubblica”, “Riabitare l’Italia – La Stampa”, “La rinascita dei borghi – Millionaire”, etc etc.
Torniamo per un attimo all’intervista di Boeri. Egli usa il verbo adottare. Adottare significa far proprio, seguire qualcosa, ma una città come Napoli ha le categorie per comprendere un paese come San Bartolomeo? Credo di no, ed allora nella testa di Boeri il verbo adottare assume il significato di far diventare SBiG come una piccola Napoli, una piccola Bari, una piccola Milano. Nulla di più errato, le differenze sono enormi ed appiattirle non salvaguardando la specificità dei territori è farvi violenza.
La parola adottare è sbagliata. Napoli e San Bartolomeo sono due realtà differenti e proprio di tale differenza deve tenersi conto, dovrebbe emergere maggiormente.
Bisognerebbe applicare una fiscalità dei luoghi, oggi sembra sia applicata al contrario. Un cittadino di SBiG ha una TARI molto più costosa di un cittadino di Milano o Napoli, le tariffe sull’acqua che paga un sanbartolomeano sono molto più pesanti di un milanese, rispettivamente 0,65 euro a metro cubo un sanbartolomeano, 0,60 euro un milanese, una piccola industria della Valfortore paga il megawatt di più rispetto ad una piccola industria veneta.
Forse bisognerebbe partire da questi numeri per rendere i borghi più attrattivi.
Inoltre, grazie a Carmine Paradiso, non abbiamo più il digital divide, ma abbiamo una carenza cronica di servizi sociosanitari, lesionato il diritto alla mobilità, gli aeroporti più vicini sono Bari e Pescara, per arrivare a Foggia con i mezzi pubblici ci vogliono due ore, e bisogna partire obbligatoriamente di mattina, per Napoli quattro ore, e per Benevento due ore. Finora noi di SBiG non abbiamo percepito la lesione del diritto alla formazione, abbiamo scuole dell’obbligo, un liceo scientifico e un istituto agrario, ma gli amici di Volturara non possono dire lo stesso, gli amici di Foiano nemmeno, Castelvetere idem.
Ed allora perché una persona urbanizzata dovrebbe trasferirsi a SBiG? Per ammirare i cinghiali che scorrazzano felici in paese, per avvistare un lupo, una poiana o il nibbio reale prima che l’eolico lo sfratti?
Non basta tutto ciò.
La desertificazione demografica con conseguente abbandono dei terreni e delle case sta creando danni irreversibili. I terreni franano senza manutenzione, le case crollano. C’è un patrimonio abitativo che si sta perdendo, migliaia e migliaia di case abbandonate che ci crollano in testa.
Non basta l’intraprendenza di alcuni sindaci e lo spot delle case ad un euro, la maggior parte delle volte delle vere e proprie catapecchie, per risollevare l’indice demografico.
Basta andare su un qualsiasi sito ove vi propongono il miraggio di una casa ad un euro e leggere, anche senza particolare attenzione, i descrittivi, perché a volte le foto non le inseriscono per decenza: “Breve relazione descrittiva dell’edificio: L’edificio si presenta con due piani fuori (terra e primo). Ha superficie in pianta di circa 20 mq a piano, e si presenta con parti di edificio già crollate ed un esterno che si notano gravi danni alle parti strutturali dei muri portanti. All’interno non sono presenti i solai di piano e né il tetto di copertura. Sono altresì da rifare gli impianti e tutte le rifiniture interne ed esterne”.
Quasi tutte le case ad un euro sono da rifare integralmente, con costi che vanno dai 1000 ai 2000 euro a metro quadrato. Per la casa descritta, ci vogliono dai 40000 agli 80000 euro. E dopo aver speso quella cifra ti ritrovi con una casa di 40 metri quadrati, in un luogo circondato da pali eolici, senza un presidio sanitario nelle vicinanze, senza la scuola da far frequentare ai tuoi figli, con una fiscalità eguale, se non a volte più esosa di Milano, ed una connessione che non ti permetterebbe di lavorare in remoto perché è più le volte che salta di quelle in cui funziona.
Difatti, la propaganda delle case ad un euro è rimasta tale, solo propaganda. Diverso il caso di Biccari, che descriveremo in fondo.
Quale attrattività potremmo avere?
La mia non è una geremiade, San Bartolomeo è un centro che non ha molti di questi problemi ed è più in salute di molti nostri vicini.
Ha un presidio sanitario efficiente: il PSAUT 118, ha scuole, ha superato il digital divide, finora non ha eolico che lo strozza, eppure è in gravissima sofferenza. Perdiamo quasi 100 abitanti all’anno, siamo ormai sotto i 4500.
San Bartolomeo è in una affollata compagnia, il deserto demografico colpisce anche paesi come Biccari e Troina, che hanno sindaci virtuosi e nelle loro azioni amministrative rasentano il miracolo. Fabio Venezia e Gianfilippo Mignogna gettano il cuore oltre l’ostacolo e con i pochissimi mezzi che hanno a disposizione creano futuro. Eppure anche i loro centri perdono abitanti. Biccari dal 2009 ha perso quasi il 9% della popolazione. A soli fini statistici, San Bartolomeo nello stesso periodo ha perso il 16%, 900 abitanti in dieci anni.
La direzione da prendere è quella abbozzata nella SNAI (Strategia Nazionale per le Aree Interne) pensata da Fabrizio Barca.
Occorre che lo Stato migliori i servizi alla persona, come mobilità, scuola e trasporti, servizi sanitari, sostegno alle attività economiche, artigianali e commerciali. Si ripensi ad un fisco diverso per le zone montane. La fortuna di San Bartolomeo nacque da una zona economica speciale ante litteram. Bisogna ricreare quelle condizioni. La volontà a parole c’è, i soldi anche, attendiamo i fatti.
In questi giorni si parla moltissimo di Biccari e dell’iniziativa del sindaco Mignogna di vendere case ad un euro. A seguito di un servizio sulla CNN si sono accorti del borgo dauno i giornali nazionali. Studio Aperto titola: “Case ad un euro così rivive Biccari”; La Gazzetta del Mezzogiorno: “Biccari vendita case ad un euro”; ANSA: “A Biccari case in vendita ad un euro”, dello stesso tenore moltissime altre televisioni e giornali più o meno importanti.
Sappiamo tutti che l’iniziativa delle case ad un euro è stata fallimentare, perché questa volta dovrebbe essere diverso? Perché gli articoli bisogna leggerli e non limitarsi al titolo. A Biccari si vendono case ad un euro, ma la maggior parte degli immobili in vendita non sono ruderi, ma case perfettamente abitabili con pochissima manutenzione. I prezzi variano dal rudere di un euro, a case che possono arrivare fino a 15000 euro. Insomma sul mercato andrà a prezzi estremamente favorevoli quella parte di edilizia abbandonata, ma ancora non usurata dal tempo, che potrebbe avere nuova vita.
La risposta all’appello del sindaco è stata clamorosa, 9000 richieste. Siamo positivi ed ipotizziamo che tutte le offerte di abitazioni, trovino una domanda e si realizzi la transazione.
Che genere di abitanti arriverà a Biccari?
In questi anni ho guardato con attenzione alla crescita demografica di San Giorgio del Sannio, circa 5000 abitanti in 40 anni, specularmente noi abbiamo perso circa 4000 abitanti nello stesso arco temporale. Eppure il paese confinante con Benevento non gode della mia invidia. L’impressione che si ricava dalla crescita tumultuosa di San Giorgio è che ciò gli abbia fatto perdere le proprie caratteristiche, sia diventato meno paese e più hinterland di Benevento. Esagerando, forse, lo definiremmo quartiere dormitorio del capoluogo.
Al contrario, noi, pur nella nostra sofferenza, abbiamo conservato i nostri stili di vita, i nostri modelli sociali. Ci aiuta in ciò la nostra felice posizione geografica.
Chi andrà a Biccari? Il cittadino desideroso di una seconda casa da aprire in estate, oppure giovani coppie e non, che vogliono cambiare il proprio stile di vita? Il rischio è che Biccari diventi come il Chianti, ove una marea di inglesi ha comprato casa, ma in sostanza, sia nell’economia che nella società di quell’angolo di Toscana quasi nulla è cambiato. L’inglese non si è mai integrato e vive in comunità separate dai locali.
Credo che a Biccari non si corra questo rischio, ho letto due sole richieste delle oltre novemila ricevute dal sindaco e denotano la voglia di chi scrive di contaminarsi nel luogo pugliese. Il primo è di una famiglia gallese che gestisce siti di cucina italiana e trasferendosi a Biccari potrebbe farlo direttamente dall’Italia e da una delle migliori cucine della penisola, quella pugliese; l’altra di un allevatore di cavalli belga che vorrebbe continuare ad allevare cavalli nell’appennino dauno. Gente dunque, che vorrebbe integrarsi nella comunità ospitante.
E poi le motivazioni sono diverse rispetto a chi si trasferisce in Chianti, molto più forti, e quasi trascendenti, perché qui la dolcezza delle colline, a differenza di quelle toscane, è stata devastata dall’eolico, e le case non sono affrescate da Piero della Francesca.
Chiudiamo con un po’ d’invidia e un augurio. L’augurio è che l’iniziativa del sindaco Mignogna possa avere successo, l’invidia è per i suoi concittadini.