I ringraziamenti di solito vengono inseriti alla fine di uno scritto, noi come sempre iniziamo con i ringraziamenti che questa volta vanno indirizzati calorosamente all’ing. Guerino Giuseppe Groppoli che ci ha permesso di leggere, insieme ad altri documenti, l’arringa conclusiva in Corte di Appello a Napoli dell’Avv. Cav. Guido Cocchia, difensore dei sigg. Giovanni Agostinelli e Salvatore Del Re, coimputati in un processo per tentato omicidio.
Noi eviteremo di schierarci con l’una o con l’altra parte, a distanza di un secolo sarebbe un esercizio superfluo, ciò che ci interessa dell’arringa dell’avvocato Cocchia è l’apertura di un sipario che ci permetterà di osservare la San Bartolomeo di un secolo fa.
L’arringa fu tenuta in Tribunale il 21 agosto 1921. L’avv. Cocchia evidenzia con ironia, quei molti vizi e poche virtù che hanno sempre contraddistinto l’homo politicus sanbartolomeano e i suoi seguaci.
La bravura dell’avvocato è quella di far coincidere la verità processuale con la verità oggettiva, ma esiste una verità oggettiva?
L’incipit dell’arringa del Cavaliere non è un inno alla speranza, ma un sollevare dubbi sulla Giustizia stessa, identificata con quelle aule ove si discuteva:
“Eccellenze,
Accade sempre così! Appena la verità ha varcato di un passo solo le soglie della “aule di giustizia” è perduta! Sopraffatta, contorta, dispersa in mille rivoli, deformata dall’azione dei più disparati interessi, esaminata sotto presupposti l’uno verso l’altro in antitesi stridente, giammai scende integra e pura nell’animo del Magistrato: e solo qualche rara volta, resta nella pubblica coscienza, a mostrare la profondità dell’abisso che, a traverso le istruttorie penali, si scava fra i fatti e le sentenze che presumono di accertarli!”.
Cosa aveva indotto l’avvocato Cocchia a delegittimare la Giustizia per svilirne le sentenze?
La vil pecunia! L’avv. Cocchia era il difensore dell’Agostinelli e del Del Re che in primo grado erano stati condannati per aver sparato colpi di rivoltella insieme con il canonico don Francesco Catalano e al sig. Salvatore D’Andrea all’indirizzo dell’On. Vincenzo Bianchi e dei suoi seguaci.
È evidente che il Berlusconi politico non ha inventato nulla di nuovo, la delegittimazione delle “aule di Tribunale” è di molto antecedente alla sua nascita.
Se delegittimare la Giustizia era la strategia dell’avv. Cocchia, bisogna però, descrivere i fatti che portarono sullo stesso banco degli imputati l’Agostinelli, il Del Re, il D’Andrea e il prete don Francesco Catalano.
Johan Huizinga ne’ L’Autunno del Medioevo scriveva che “Quando il mondo era più giovane…tutti gli eventi della vita avevano forme ben più marcate che non abbiamo ora”.
E l’orbe in cui vivevano i nostri personaggi era politicamente più giovane di quello odierno, gli attori si muovevano in un mondo politico turbolento e prossimo a feroci cambiamenti. Da poco meno di due anni Benedetto XV aveva abrogato il Non Expedit, la disposizione promulgata dalla Santa Sede all’indomani dell’Unità d’Italia, che proibiva ai cattolici di partecipare apertamente alla vita politica del nascente Regno d’Italia; Giovanni Giolitti mattatore della vita politica italiana per oltre un trentennio aveva raggiunto gli 80 anni, ma era ancora in sella a cavare le castagne dal fuoco ai Savoia; i socialisti occupavano le fabbriche e credevano ancora alle parole di Bombacci che predicava la rivoluzione dei Soviet anche in Italia; il direttore de’ Il Popolo d’Italia andava costituendo la sua ascesa che l’avrebbe portato a instaurare, lui si con un colpo di mano e non solo a parole, nel successivo ventennio una tragica dittatura, soprattutto per il Meridione. Ironia della sorte Bombacci e Mussolini nascono entrambi socialisti ed incendiari, entrambi si ritroveranno appesi a testa in giù al distributore di benzina in piazzale Loreto a Milano.
Gli echi di questa turbolenza non potevano non arrivare anche nel nostro borgo, capoluogo di circondario e sottoprefettura. Il nascente Partito Popolare affilava le sue armi issando il vessillo clericale e col suo “capo” don Francesco Catalano contribuì all’elezione del sindaco Pietro Colatruglio, comunisti e socialisti, maggioranza nel resto del paese, a San Bartolomeo non avevano ragione di esserci, fabbriche da occupare non esistevano e grossi latifondi nemmeno, i liberali di Giolitti cui apparteneva il Bianchi, vivevano una stagione decadente nel resto del Paese, ma a San Bartolomeo dominavano ancora la politica ed i fascisti erano ancora una minoranza, seppur già presenti nel borgo, tuttavia la battaglia fu aspra e sfociò nel gravissimo episodio di violenza che descriveremo.
Confermano quanto sopra le elezioni del 1921, susseguenti ai fatti che descriveremo. Il blocco giolittiano costituito dai Liberali democratici, i Democratici sociali ed i Democratici riformisti a San Bartolomeo raggiunsero il 67,6%, i Socialisti maggioranza nel resto d’Italia da noi si fermarono ad un misero 8,4%, i nascenti Popolari del prete Catalano si attestarono al 13,7%, il partito dei Combattenti reduci della Prima Guerra Mondiale si fermò al 5,4% ed i neonati Fascisti racimolarono un misero 2,2%. Poco meno di un anno e mezzo dopo il paese, come il resto d’Italia pullulava di camicie nere, per dirla con Flaiano l’italiano è velocissimo a correre in soccorso del vincitore, noi aggiungeremmo che il sanbartolomeano lo è molto di più.
I fatti si svolsero il 3 maggio 1921. Avrebbe dovuto essere una giornata di festa, visto la maggioranza giolittiana nel paese, ma fu ricordata per altro. Si attendeva la visita del candidato liberale alla Camera dei Deputati prof. Vincenzo Bianchi, figlio dell’illustre Leonardo.
Che la visita del candidato Bianchi, non fosse gradita a tutta la popolazione sanbartolomeana fu chiaro sin dalla mattinata. Il Consigliere di Prefettura Fusco depose: “Al ponte a sette luci… ci attendevano alcuni elettori del Bianchi. Che ci inculcarono la massima prudenza, perché avevano saputo che gli avversari di Bianchi volevano fargli dimostrazioni ostili!”.A Sud del paese in contrada Torre apparve una bandiera nera, il paese listato a lutto accoglieva il delfino illustre.
Il presagio di sventura non intimorì il Bianchi ed i suoi seguaci sanbartolomeani, tra i quali il più illustre era il comm. Angelo Catalano ed arrivati in paese sfilarono in corteo dal Circolo Frentano alla piazza principale del borgo.
La vista di tale corteo dovette essere davvero improponibile per il capo dei Popolari di San Bartolomeo don Francesco Catalano, che fece lanciare sul Bianchi ed i suoi accoliti delle pezzolle nere, la folla rispose lanciando urla ed insulti all’indirizzo del Catalano, ma questi e sua sorella Leonilde non erano persone facili ad intimorirsi e decisero di lanciare sul corteo dei vasi di fiori, la folla che seguiva il Bianchi si diradò, e qualcuno più scalmanato prese dei bastoni e li lanciò all’indirizzo del prete Musolino e di donna Leonilde. La misura era colma, il Catalano entrò in casa, afferrò una rivoltella e dalla loggetta sparò due colpi in direzione del Bianchi. La casa dei preti Catalano è l’odierna casa del mai troppo compianto maestro Ettore Vinciguerra con in più il grosso portone di fianco allo studio fotografico. I colpi partirono dalla loggetta che dà sull’angiporto Colabelli, il vicolo ove attualmente affaccia lo Studio dei dottori Rea.
I colpi esplosi dal balcone fortunatamente non colpirono nessuno, fermando la loro traiettoria, potenzialmente mortale, sullo zoccolo di Palazzo Landi, ove attualmente vi è il parrucchiere Angelo Bianco.
I testimoni parlarono di alcune detonazioni, due più flebili e altre più forti. Possibile che il Catalano abbia sparato con diverse pistole?
Sin da subito le acque cominciano ad intorbidirsi, eppure secondo l’avvocato Cocchia i fatti erano chiari, il prete don Francesco Catalano, soprannominato don Ciccio Battaglia o come abbiamo detto prete “Musolino” come il famoso brigante, esplose cinque colpi di rivoltella verso il corteo dell’On. Bianchi con l’intenzione di uccidere.
Il prete Catalano spara, la Giustizia lo punisce. Semplice, lineare, ma… forse non troppo lineare e nemmeno troppo semplice. Innanzitutto i colpi di rivoltella sparati dal Catalano furono due, gli altri furono sparati da altre persone.
Il prete Battaglia era rissoso, di dubbi costumi, con precedenti penali per aggressione al sacrestano e all’arciprete Saccone, era il colpevole perfetto, e probabilmente colpevole lo era davvero, ma all’avv. Cocchia era sfuggito che il prete Catalano era anche molto intelligente, e fin da subito innalzò una cortina di polvere sull’episodio che influenzò il giudizio finale del Tribunale.
I Regi Carabinieri accorsi sul luogo, si affrettarono a raccogliere le deposizioni dei testimoni. Benché l’avvocato Cocchia descriva le testimonianze univoche ed insospettabili, al Procuratore Generale non dovettero sembrare tanto univoche ed insospettabili, perché nel rinvio a giudizio per tentato omicidio in compagnia del prete Catalano c’erano anche Salvatore D’Andrea, Agostinelli e Del Re…
Per la foto del telegramma dell’On. Bianchi, si ringrazia la dott.ssa Tiziana Bisogno