Il grande psichiatra, assistito dal “medico santo”, muore invocando la misericordia divina.
Quando ci trovavamo a parlare della gloria di San Bartolomeo in Galdo, Leonardo Bianchi (S.anBartolomeo in Galdo, BN, 5 aprile 1848 – Napoli 13 febbraio 1927), la cara memoria di P. Silvestro D’Andrea (1) soleva ricordarci come egli, al contrario di quanto si potesse pensare, non era morto lontano dalla Chiesa; e raccontava poi che gli ultimi momenti di vita del grande medico erano stati confortati dalla presenza del suo alunno – ora santo – Giuseppe Moscati (Benevento, 25 luglio 1880 – Napoli, 12 aprile 1927) e che quindi egli era rientrato, sia pure in quegli estremi momenti, nel seno della Chiesa.
Normalmente di questo episodio non si parla nelle biografie dedicate a Leonardo Bianchi, che si soffermano sul la sua vita, i suoi studi, le sue scoperte scientifiche, le sue pubblicazioni, i suoi orientamenti e la sua prestigiosa carriera universitaria e politica. Della quale converrà qui ricordare, molto sinteticamente, le tappe principali, perché – s’intuisce – sono anche strettamente connesse alla sua vicenda spirituale e religiosa. Per questo fine, faremo ricorso alle parole del prof. Alfredo Zazo (2) .
“Rettore dell’Università di Napoli nel 1902-3 e nel 1911; socio di numerose accademie, dottore honoris causa dell’Università di Manchester, insignito di alte onorificenze, partecipò, sorretto da un’avvincente oratoria, alla vita amministrativa e politica. Fece parte dell’Amministrazione comunale di Napoli; nel 1982 fu deputato per il Collegio di San Bartolomeo in Galdo e nel 1897 rappresentò il Collegio di Montesarchio, informando costantemente il suo orientamento politico alle più alte idealità nazionali. Prospettò il problema delle carceri del tempo che definì scuole di delinquenza – pensiero sempre di grande attualità, ndr – e chiese l’istituzione di sanatori criminali per il recupero di delinquenti occasionali. Nel 1905 fu Ministro della P.I. nel ministero Fortis. […] Fu di nuovo ministro (Ministero Boselli) e gli fu devoluto il gravoso compito dell’assistenza sociale e sanitaria (giugno 1916 – ottobre 1917). Si recò sull’Altopiano di Asiago e “volle visitare la Brigata Benevento” per conversare con i soldati della sua Terra e incoraggiarli ad essere degni eredi dei Sanniti”. Senatore dal 6 ottobre 1919, non minor cura ebbe per i problemi sociali del dopoguerra. […] Moriva in Napoli nell’aula delle riunioni dell’Accademia napoletana medico-chirurgica, subito dopo aver “magistralmente discusso sugli stupefacenti come elementi di degenerazione umana”. (Ed anche in questo il suo pensiero, oltre che del tutto condivisibile anche oggi, risulta addirittura profetico, ndr).
Ma questa grande personalità fortorina, di assoluto rilievo nazionale, era anche un adepto importante della Massoneria, aveva abbandonato ogni pratica religiosa ed era giunto “perfino a tenere una conferenza contro la divinità di Cristo”. Cosa avvenne allora nella sua mente e nella sua anima nel momento estremo della morte?
A questo proposito, proprio il mese scorso, ho ritrovato storicamente documentato quello che per me era sì un caro ricordo trasmessomi da P. Silvestro, testimoniato però da lui solo oralmente. Ora invece ho potuto leggere la descrizione di quegli estremi momenti come sono stati narrati dal padre gesuita Alfredo Marranzini, uno dei più importanti biografi di S. Giuseppe Moscati (3) .
L’episodio viene ricostruito in un articolo apparso sulla rivista “Il Gesù Nuovo” dei Padri Gesuiti napoletani: “Enrico Caruso e Leonardo Bianchi assistiti da Moscati spirano confidando in Dio” (4) . Da esso spigoliamo, per i nostri lettori fortorini e sanniti, le parti principali riguardanti Leonardo Bianchi.
“Fino alla morte – scrive il Marranzini – Leonardo Bianchi, anche se molto impegnato come vicepresidente della Camera dei deputati, rimase sempre legato a Napoli, sua patria di adozione, ove abitava in via Museo 73 (ora via Enrico Pessina). Nel capoluogo campano godeva della stima e dell’amicizia di illustri colleghi, quali Pietro Castellino, Antonio Cardarelli, Giovanni Boeri e Giuseppe Moscati, che fu suo discepolo e lo visitava spesso con l’intento di riportarlo alla pratica della fede cristiana.
Nonostante l’età avanzata, Bianchi godeva buona salute e solo una volta, tornando in treno da Roma, avvertì un breve malore.
La mattina del 13 febbraio 1927 il prof. Bianchi si recò al teatro Politeama per ascoltare la conferenza dell’avv. Tommaso Marciano su Virgilio; dopo aver consumato un parco pranzo a casa, passò all’Università Federico II per assistere alla conferenza del suo allievo Cesare Colucci sul problema dell’alcoolismo e degli stupefacenti.
La tematica era particolarmente cara al prof. Bianchi, che se ne era occupato in molti suoi scritti. Perciò egli seduto in prima fila, appena il relatore concluse il suo dire, chiese la parola e, salito in cattedra, espose le sue tesi per una decina di minuti senza tradire il minimo sforzo. Aveva nell’aula dell’Accademia napoletana medico-chirugica – aggiungiamo qui un particolare riportato da A. Zazo nel suo Dizionario bio-bibliografico del Sannio – “magistralmente discusso sugli stupefacenti come elementi di degenerazione umana”. Al termine del suo intervento – riprendiamo a citare il Marranzini – scrosciarono gli applausi, ma l’anziano scienziato, mentre stava per avviarsi al proprio posto, fu colpito da un attacco di angina pectoris e improvvisamente si accasciò. Soccorso dai professori Moscati e Castellino, fu portato nella vicina biblioteca e adagiato su una poltrona; mentre molti clinici si stringevano intorno a lui, lo sguardo del moribondo cercava soprattutto Moscati, che era lì vicino al maestro, con l’animo in tumulto, profondamente teso verso il cupo interrogativo che sovrastava quell’anima. Moscati sapeva che Leonardo Bianchi da decenni non aveva voluto più chinare la fronte davanti al Cristo crocifisso e risorto. Che sarebbe avvenuto in quell’istante decisivo?
Ma ora quello sguardo, rivolto proprio verso di lui, aveva un significato che non si poteva fraintendere. Moscati disse immediatamente: “Chiamate un sacerdote”, ed egli, chinatosi sul maestro, trasse dal proprio taschino un piccolo crocifisso, glielo diede a baciare e gli suggerì la giaculatoria: “Gesù mio, misericordia!”, che Bianchi ripeté più volte come poté con fievole soffio di voce per un minuto, finché spirò. Il sacerdote presto sopraggiunto gl’impartì l’assoluzione e amministrò l’unzione degli infermi in formula breve.
“Dare un suggerimento così spiritualmente opportuno – scrive mons. Marini -, così profondamente pio, in mezzo ad un’adunanza di scienziati e di dotti, molti dei quali potevano ispirarsi ad altri principi…, fu certamente un atto di coraggio che, trascendendo la virtù ordinaria, si avvolge nei bagliori dell’eroismo”.
Suor Paolina, figlia della carità, nipote di Bianchi, premurosa chiede al prof. Moscati particolari circa gli ultimi istanti di vita di suo zio. Ecco come risponde Moscati:
“Si è avverato di vostro zio ciò che dice la parabola del vangelo, che i chiamati dell’undicesima ora avranno la stessa ricompensa di quelli chiamati alla prima ora del giorno. Sento anche ora l’impressione di quello sguardo che cercava me tra i tanti lì convenuti[… ]. E Leonardo Bianchi sapeva bene i miei sentimenti religiosi, conoscendomi fin da quando ero io studente. Gli suggerii le parole di pentimento e di fiducia mentre egli mi stringeva la mano, non potendo parlare… In formula breve gli fu anche amministrata l’estrema unzione […].
Non volevo andare a quella conferenza, essendomi da tempo allontanato dall’ambiente dell’Università; ma quel giorno una forza sovraumana, alla quale non seppi resistere, mi ci spinse”.
Il card. Alessio Ascalesi, scrivendo alla stessa suor Paolina, metteva in risalto tutta la portata di quell’episodio: “Vostro zio si è salvato, perché si è trovato accanto un missionario qual è Giuseppe Moscati”.
Molti testi al processo ordinario e apostolico, a cominciare da Eugenio Moscati, riferiscono con alta ammirazione il fatto.
Il prof. Bianchi, quale rettore dell’Università di Napoli, il 4 agosto 1903 aveva firmato il diploma di laurea di Moscati, aprendo la via al suo apostolato scientifico e ospedaliero; Moscati ha schiuso a Bianchi l’adito alla vita eterna in Dio. Nessuno avrebbe potuto prevedere che a distanza di soli 58 giorni, il 12 aprile 1927, martedì santo, anche Peppino Moscati sarebbe stato colto da morte fulminea nella sua casa di Via Cisterna dell’Olio; però vi era ben preparato” (5) .
Resta dunque assodato. Il grande Leonardo Bianchi si affidò anche lui, nei suoi ultimi istanti, alla infinita misericordia di Dio.
di Augusto Colucci
1). A Padre Silvestro il confratello Padre Davide ha dedicato un volume di foto e ricordi: Davide Fernando Panella, P. Silvestro D’Andrea – Il Cappellano, Foglianise (BN) 2000.
2). Alfredo Zazo, Dizionario bio-bibliografico del Sannio, F. Fiorentino, Napoli 1973, ad vocem.
3). Alfredo Marranzini S.I., Giuseppe Moscati. Modello del laico cristiano, Edizioni ADP, Roma 2003. Al Santo il Marranzini aveva già dedicato volumi e studi già in precedenza. Ne citiamo solo qualcuno: Giuseppe Moscati il laico santo di oggi. Scritti inediti, AVE, Roma 1978; Giuseppe Moscati un esponente della Scuola Medica Napoletana, Orizzonte medico, Roma 1980; Giuseppe Moscati modello del laico cristiano di oggi, AVE, Roma 1989.
4). Alfredo Marranzini S.I., “Enrico Caruso e Leonardo Bianchi assistiti da Moscati spirano confidando in Dio”, in “Il Gesù Nuovo”, 2009, 284-288 passim.
5). Come si sa le spoglie di S. Giuseppe Moscati riposano a Napoli nella splendida Chiesa del Gesù Nuovo. Lì sono allestite anche alcune sale-museo in cui sono raccolti mobili, strumenti, cimeli, libri, documenti appartenuti al Santo. Vi si possono recuperare subito volumi e scritti sul Moscati. Tra essi citiamo qui una biografia recente: Antonio Tripodoro, Giuseppe Moscati, Il Medico Santo di Napoli, Napoli 2006. Desideriamo però ricordare anche una bella ricerca sulle sue radici beneventane, un volume di Lauro Maio: San Giuseppe Moscati e Benevento sua città natale, Auxiliatrix, Benevento 1987.