Il dualismo è sempre stato il sale italico. Sanniti vs Romani, Scipione vs Annibale, Guelfi vs Ghibellini, Manfredi (di Svevia) vs Carlo (D’Angiò), Coppi vs Bartali, Rivera vs Mazzola. Nel borgo, non siamo da meno. Abbiamo avuto i Marcascianiani vs Agostinelliani, abbiamo i Marcascianiani vs “Giovani”, a cavallo tra XIX e XX secolo abbiamo avuto il grande dualismo tra don Ciccio Catalano e l’arciprete don Ernesto Saccone, don Ciro vs Padre Paolo. Dalle carte che la gentilissima Cristina Giuliani erede Catalano ha messo a mia disposizione è emerso un altro grande dualismo, che ha accompagnato il borgo per alcuni decenni, la disfida tra don Ignazio Saccone e il cav. Pietro Colatruglio.
Nessuno sa che il cav. Colatruglio è stato il sindaco più longevo dall’Unità d’Italia ad oggi.
Cav. Pietro Colatruglio
Egli ha ricoperto la carica di primo cittadino per ben 13 anni, sommando tre mandati. Marcasciano dovrà terminare la legislatura in corso per eguagliarlo. Egli è stato sindaco dal 1901 al gennaio 1902, dal maggio 1902 al 1908 ed infine dal 1920 al 1926, traghettò il paese verso il podestà fascista. Con Pietro Colatruglio si chiuse de facto, poiché il “re” divenne Mussolini, la nefasta monarchia sabauda, che tanto male ha arrecato all’Italia, con suo figlio Giuseppe, sindaco del borgo dal 1946 al 1952, si aprì un’era di speranza sicuramente migliore della precedente: la fase repubblicana della nostra giovane nazione. Giuseppe Colatruglio è considerato dalla maggioranza delle persone che hanno vissuto la sua epoca come il miglior sindaco di San Bartolomeo in Galdo, un piccolo sondaggio del sig. Furbesco ci dà conferma della popolarità del Colatruglio. Non possiamo concordare, solo per una ragione anagrafica, ma il viale alberato di Via Pasquale Circelli è certamente una delle eredità migliori che un’amministrazione abbia lasciato al paese, denota una sensibilità ecologica rara per quei tempi, e purtroppo anche per questi.Ignazio Saccone ha ricoperto la carica di primo cittadino per 9 anni, cumulando l’ufficio di sindaco e quello di podestà.
Avv. Ignazio Saccone
Quando non vi sono fonti certe, ci affidiamo al campo delle ipotesi, facciamo uso di un percorso induttivo, un’osservazione a posteriori, pertanto questa ricostruzione è forzatamente parziale e probabilmente rileva alcune inesattezze. Purtroppo il nostro Comune non conserva alcun archivio storico, per i ben noti fatti che lo videro incendiato due volte dai cittadini di SBiG. Ciò che non ha fatto il fuoco, l’ha completato l’incuria degli anni postbellici, con quella frenesia del nuovo che tanti danni ha arrecato al nostro paese, la scomparsa quasi totale degli scuri e delle porte di legno, la sostituzione dei portali in pietra con un marmo “funebre”, sono solo alcuni esempi, pertanto alcuni dubbi non potranno essere chiariti e alcune ricostruzioni non confermate, per ora, nei prossimi anni ci attrezzeremo per spulciare negli archivi di Stato e dar conferma alle nostre ipotesi.
Colatruglio fu eletto sindaco nel 1901, e salvo tre mesi, dal febbraio all’aprile del 1902, ove il Prefetto commissariò il Comune inviando il Regio Commissario straordinario il dott. Paolo Vagni, ha retto ininterrottamente le sorti del Comune fino all’agosto 1908.
Il Colatruglio vinse le elezioni amministrative del 1901 e le elezioni tenutesi nel 1902 susseguenti al Commissario Vagni. Ora entriamo nel campo delle ipotesi, supportate dagli avvenimenti che descriveremo, ma pur sempre ipotesi.
Il Colatruglio vinse le elezioni e il grande sconfitto dovette essere il giovane avvocato Saccone, non abbiamo le liste, è una nostra supposizione, molto veritiera, ma pur sempre supposizione. Anche il cav. Colatruglio era giovane, con i suoi 25 anni d’età, è annoverato ancora come uno dei sindaci più giovani di sempre, se non il più giovane. Il giovane sindaco Colatruglio governò abbastanza bene a giudizio di tutti, anche del Regio Commissario dott. Giovanni Conti, il quale nella sua relazione di fine mandato del 1912 è soddisfatto di poter scrivere che la lite intentata dal Comune nella persona del sindaco Pro tempore avv. Ignazio Saccone contro l’ex sindaco cav. Colatruglio, si è conclusa con la vittoria del Colatruglio e con la condanna in capo al Saccone del pagamento delle spese procedurali sostenute dallo stesso Colatruglio: “Durante il decorso anno si è definita anche questa lite intentata contro l’ex Sindaco Cav. Colatruglio, quale responsabile civile per la scomparsa dei materiali di risulta della demolizione dell’ex teatro. In questa lite soffiarono potentemente le ire di parte e sotto il manto degli interessi generali del Comune si volle recare ingiuria e danno ad un cittadino che ha speso parecchi anni della sua attività in prò del Comune non inutilmente, e per la sua posizione economica è al disopra di ogni sospetto”.
Non ci è dato sapere quale fosse il motivo di attrito tra il Saccone ed il Colatruglio, forse entrambi giovani ed ambiziosi, volevano avere il predominio civile nel borgo, o forse c’era stato uno screzio specifico. La questione è irrilevante, la realtà descriveva due giovani in non buoni rapporti.
Il Saccone vinse le elezioni del settembre 1908, ma governò pochi mesi, fino al maggio dell’anno successivo, poiché il Comune fu commissariato con l’invio del Regio Commissario straordinario dott. Emilio Severino.
In questi pochi mesi, che non lasceranno ricordo duraturo nella memoria del borgo, il Saccone cercò in ogni modo di vessare l’ex Sindaco Colatruglio. Il ricorso degli avvocati del Colatruglio, Mailler e D’Ariano presentato presso la II sezione della Corte di Appello di Napoli descrive il sindaco Saccone come persona “che non seppe esercitare la nobile virtù civile della moderazione e dell’equità amministrativa; nel vano intento di vessare il capo del partito contrario, cioè il precedente sindaco signor Pietro Colatruglio, ricorse al solito e abusato espediente di trascinarlo in giudizio”.
Riportiamo esclusivamente degli stralci del ricorso pro Colatruglio, non avendo purtroppo nulla che riguardi l’avvocato Saccone, e ciò ci duole moltissimo, perché anche il D’Ariano e il Mailler riconoscono la genialità delle tesi dell’avv. Saccone.
Il sindaco Saccone per poter vessare il Colatruglio, doveva in ogni caso trovare una sua mancanza o grave disonestà compiuta nei circa otto anni di governo, ma tutto quello che riuscì a trovare “compulsati gli atti di una lunga e attivissima gestione amministrativa”, fu una delibera consiliare del 15 febbraio 1903 la quale autorizzava la demolizione di un preteso teatro con il concomitante impiego dei materiali di risulta per la costruzione del pubblico macello.
Il pubblico mattatoio non fu costruito per la mancanza di fondi, il materiale di risulta fu però, impiegato per riparare diversi edifici comunali. Alcune precisazioni vanno fatte: la demolizione del teatro fu fatta d’imperio dal Colatruglio, non tenendo conto delle proteste dei cittadini. Il teatro non doveva essere un granché, se anche nella sentenza del Tribunale di I grado è riconosciuto come un “barraccone mezzo in fabbrica e mezzo in legno occupante una piccola parte del Palazzo comunale”. Vista la non eccessiva grandezza del Palazzo comunale, possiamo immaginare che il “teatro” dovesse essere uno dei più piccoli d’Italia, e contendesse il primato di teatro più piccolo del mondo alla bomboniera di Vetriano. Il pubblico mattatoio non fu costruito dal Colatruglio, non fu costruito dal Saccone e tutt’oggi ad oltre 100 anni di distanza, San Bartolomeo non ha un pubblico mattatoio. Nella relazione del dott. Conti stilata successivamente ai due mandati sindacali del Colatruglio e del Saccone, leggiamo come il Comune avesse adibito una stanza a macello, ma il medico circondariale il dott. Gialluca Palma nella primavera del 1911 ne aveva constatato la “deplorevole condizione” e suggerì la costruzione di un nuovo fabbricato. Il Saccone sindaco con deliberazione del 21 agosto 1911 stabilì di costruire un nuovo fabbricato da adibirsi a macello sulla via “che mena a Volturara”. Fox Saccone però, non fece redigere un progetto regolare, ma indicò soltanto l’ammontare della spesa in lire duemila. La Prefettura in mancanza di progetto e soprattutto per la mancanza di denaro per far fronte alla spesa, ritenne di non poter dar seguito alla deliberazione. Agli occhi dei cittadini la colpa per la mancata costruzione del mattatoio comunale non poteva che addossarsi alla matrigna Prefettura. Sono convinto che il Saccone con un po’ d’ambizione in più, avrebbe potuto aspirare a ben altre fortune politiche e non solo a governare noi villani. Duemila lire per la costruzione ex novo del mattatoio non si riuscirono a trovare, lire 1100 per migliorie riuscì a trovarle invece, nelle pieghe del bilancio il Regio Commissario Conti che con trattativa privata affidò i lavori a Liborio La Vecchia, il quale seguì i suggerimenti del valente dott. Gialluca Palma. Non avevamo un mattatoio in piena regola, ma una stanza dove macellare, più o meno nel rispetto delle poche norme igieniche del tempo.
Il Colatruglio non poté durante i suoi mandati costruire il mattatoio per mancanza di fondi, e dunque, i materiali di risulta li adoperò per la riparazione di altri edifici comunali ma, il Saccone una volta eletto addebitò all’ex sindaco l’ammanco del materiale di risulta, ben sapendo che era stato utilizzato per il bene della collettività. L’avv. Saccone cercò di ottenere dal Consiglio Comunale l’autorizzazione per trascinare in giudizio il Colatruglio, ma il Consiglio Comunale nella tornata del 10 novembre 1908 si espresse in modo contrario alla proposta del sindaco. La seduta pubblica, ma a scrutinio segreto, vide dieci voti contrari, nove voti favorevoli e una astensione. Il Saccone dovette dunque, rassegnarsi alla sconfitta non potendo perseguire giudizialmente il Colatruglio. Nel vocabolario del Saccone però, la parola: rassegnazione, non esisteva. Il voto del Consiglio Comunale certificò la venuta meno della maggioranza e accelerò la caduta dell’Amministrazione. Dopo la breve parentesi commissariale si tennero nuovamente le elezioni, questa volta il Saccone, non vinse, ma stravinse. Fonti dell’epoca rilevarono che il “Saccone ebbe facile vittoria per la completa astensione degli avversari ormai stanchi di una serie di lotte sterili ed infeconde, come tutte le competizioni personali”; traduzione: gli avversari non furono in grado di coalizzarsi contro il Saccone e furono da questi travolti.
La vittoria diede nuova linfa al Saccone, che non aveva mai abbandonato l’idea di trascinare in giudizio il Colatruglio, nel ricorso leggiamo: “Allora il Saccone, nominato di nuovo sindaco ed imbaldanzito della vittoria riportata, non seppe mettere da parte i suoi personali sentimenti di rancore contro coloro che pur poteva considerare come indifferenti, e riprese l’idea sempre carezzata di trascinare in giudizio il Colatruglio e con questi –naturalmente- il povero Comune”.
Occorreva superare la resistenza del Consiglio Comunale, che seppur composto da fedelissimi del Saccone, erano pur sempre consci che trascinare il Comune in una “sanguinosa” causa giudiziale sarebbe pesato soprattutto sui cittadini del borgo, in gran parte miserrimi e in gran parte emigranti. Ricordiamo anche che il Comune era stato dissanguato dalla causa intentata dall’Arciprete Saccone e che costò alla stessa comunità di SBiG l’esorbitante somma di lire 90000.
Probabilmente l’avvocato Paniz che fece votare al Parlamento l’ordine del giorno riguardante la bella marocchina Ruby, quale nipote dell’egiziano Mubarak, aveva letto la biografia del Saccone. Il Sindaco fece convocare dalla Giunta Municipale, composta dagli elementi a lui più devoti, una tornata straordinaria del Consiglio Comunale, e qui il colpo di genio, il Consiglio Comunale non era chiamato ad autorizzare il Sindaco ad intentare lite contro il sig. Pietro Colatruglio per l’ammanco dei materiali di risulta derivanti dalla demolizione dell’ex teatro, ma era stato chiamato a trattare il seguente ordine del giorno: “Provvedimenti per il materiale dell’ex teatro”. È una dicitura alquanto generica e molto sibillina, un capolavoro del “nulla” politico. Il Consiglio si radunò, non sotto la presidenza del Sindaco, altra intuizione felice, poiché egli poteva ben essere identificato come avversario acerrimo del Colatruglio, indisponendo gli elementi più “neutri” del Consiglio, ma sotto la presidenza dell’assessore Donato Reino, pur sempre un fedelissimo del Saccone. Costui fu presente per tutta la durata del Consiglio esprimendo anche il proprio voto.
Fu un vero e proprio bliz, il Saccone e il Reino non sentirono il dovere di dichiarare che la deliberazione consiliare del 10 novembre 1908 aveva negato al Saccone l’autorizzazione ad agire contro il Colatruglio.
Il Saccone intervenendo con la sua grande favella in Consiglio fece credere ai consiglieri che l’autorizzazione fosse già stata espressa nel 1908 e che non si passò alla fase esecutiva solamente perché l’Amministrazione era stata disciolta. A scrutinio palese e all’unanimità i consiglieri deliberarono sulla lite da intentarsi al Colatruglio, pensando di dover semplicemente confermare un atto della precedente Amministrazione. In realtà confermarono un atto della precedente amministrazione, ma quella delibera negava l’autorizzazione ad agire. Considerando la nuova deliberazione del Consiglio come un’autorizzazione, il sindaco Saccone il 15 novembre 1910 convocò davanti al Tribunale di Benevento il signor Pietro Colatruglio affinché questi venisse condannato a pagare in favore del Comune di San Bartolomeo in Galdo la somma di lire tremila per l’ammanco dei materiali derivanti dalla demolizione del teatro. Tremila lire era una richiesta sproporzionata, se pensiamo che un fabbricato nuovo da adibire a mattatoio comunale richiedeva la somma di lire duemila.
Il Tribunale di Benevento dopo aver esaminato la questione rigettava la domanda e “condanna il sindaco Saccone a soffrire in nome proprio le spese nei rapporti del Colatruglio, delegando a tal uopo il giudice estensore”.
I giudici vagliarono i documenti allegati dal sindaco Saccone: la delibera consiliare del 15 febbraio 1903 nella quale il Colatruglio e la sua giunta deliberavano la demolizione del teatro “o barraccone come in prova definito”, col concomitante impiego dei materiali di risulta per la costruzione di un pubblico macello; la delibera del 22 novembre 1903 con la quale gli stessi amministratori respingevano un reclamo di alcuni cittadini per vedere mantenuto il teatro stesso; una terza delibera del 10 novembre 1908 con la quale l’amministrazione Saccone esprimeva parere negativo sull’istituire un giudizio contro il Colatruglio, infine una quarta delibera del 28 dicembre 1909 con la quale 19 consiglieri all’unanimità confermavano la delibera del 10 novembre dell’anno precedente. La volontà del Consiglio è quella di non cercare la lite con il Colatruglio e il Saccone compie un abuso di quella rappresentanza consentitagli dal n. 9 dell’art. 149 del Testo Unico 21 marzo 1908 n. 269, mettendosi al di sopra di tale volontà.
Non pago della sentenza di rigetto “che merita di essere pienamente approvata per i nobili ed alti sensi di giustizia e legalità che la informano” e della condanna a sostenere le spese di giudizio, il Saccone, ormai privato cittadino, dopo aver perso le elezioni del 1912 vinte dalla compagine guidata dal cav. Angelo Catalano appoggiata dal Colatruglio, propone appello in secondo grado con atto del 29 agosto 1912 chiamando nuovamente in giudizio il Colatruglio, ma anche il sindaco pro tempore del Comune di San Bartolomeo il cav. Angelo Catalano.
Cav. Angelo Catalano
L’avvocato Davide D’Ariano è molto tagliente nei confronti del Saccone, nell’illustrare l’assoluta insussistenza dei motivi d’appello addotti dall’ex Sindaco, esprime un poco lusinghiero giudizio nei suoi confronti: “Se l’appello prodotto dal Saccone avverso la sentenza del Tribunale di Benevento si spiega da un punto di vista soggettivo, perché esso rappresenta l’estremo conato di sfuggire alle giuste ed inevitabili conseguenze di un arbitrio commesso durante la creduta onnipotenza sindacale, l’appello stesso non si può in nessun modo giustificare dal punto di vista giuridico”. L’amara riflessione che faccio dopo aver letto il giudizio deleterio sul Saccone, riguarda le figure dei sindaci che si sono succeduti per oltre un secolo, quasi tutti sono stati colpiti da quella “onnipotenza sindacale”, dimenticando il ruolo di servitori della popolazione di San Bartolomeo in Galdo.
Torniamo all’oggetto di questo scritto. Il Saccone fondò il suo appello su ben quattro motivi, ma due sono contigui. Conviene analizzarli singolarmente, per apprezzare la finezza (vana) giuridica dello stesso. Il primo motivo riguarda «La deliberazione che autorizzava il Sindaco a stare in giudizio esiste ed è quella in data 28 dicembre 1909, nella quale nel modo più chiaro si dice di voler far causa al Colatruglio». Non possiamo leggere direttamente la delibera, ed è un peccato, perché il D’Ariano scrive che “una deliberazione più contraddittoria ed ambigua di questa non si saprebbe immaginare; ma come avremo occasione di dimostrare di qui a poco, la contraddizione e l’ambiguità non fu causale, ma scientemente voluta e preordinata proprio dall’attuale appellante avv. Saccone nel vano intento di poter giustificare in caso di bisogno il suo scorretto procedere”.
La delibera del dicembre 1909 presenta una gravissima contraddizione (voluta) tra i considerandi e il dispositivo. Il Consiglio Comunale nella tornata del 28 dicembre dichiara esplicitamente di riportarsi alla precedente deliberazione del 10 novembre 1908 (la delibera che ha negato al Saccone di trascinare in giudizio il Colatruglio), affermando che essa avesse già autorizzato la lite contro il Colatruglio e che purtroppo non si è potuto procedere perché dopo pochi mesi è stata sciolta l’Amministrazione. Saccone e alcuni suoi fedelissimi vorrebbero che la delibera del 28 dicembre avesse vita autonoma, ma in realtà è una delibera per relationem, che fa riferimento alla delibera del 1908, confermata con il voto del 1909.
Per essere più chiari, secondo la logica sacconiana la conferma di una deliberazione che non accorda l’autorizzazione a compiere un dato atto giuridico (la lite con il Colatruglio), significa senz’altro accordare l’autorizzazione a compiere l’atto stesso. L’odio del Saccone per il Colatruglio doveva avere ragioni personali, tanto più profonde e velenose, quanto più infondate, come purtroppo succede ancora oggi nei piccoli comuni.
Sebbene tra i due non scorresse buon sangue, per usare un eufemismo, nei quasi 7 anni di amministrazione Colatruglio il Saccone non riuscì a trovare una sola irregolarità, una sola mancanza, una macroscopica disonestà del Colatruglio stesso. L’unico appiglio fu il mancato uso del materiale di risulta per la costruzione del mattatoio comunale.
Il Colatruglio doveva godere della stima anche dei suoi avversari, lo dimostra il diniego di intraprendere un’azione giudiziale contro di lui, votata dal Consiglio Comunale in chiaro dissenso con il loro sindaco nel 1908.
Lo sapeva anche il Saccone il quale dovette ricorrere all’espediente che abbiamo descritto, quando poteva benissimo far ritirare la delibera del 1908 e farne approvare una identica ove si deliberava di citare in giudizio il Colatruglio, “Ma il Saccone sapeva benissimo che la maggioranza consiliare non lo avrebbe seguito su questo terreno, perché essa nel suo buon senso, avendo conseguito il potere, non aveva più nessuna ragione per molestare un gentiluomo come il Colatruglio superiore anche all’ombra del sospetto e così alieno del potere che si era completamente astenuto dalla lotta; anzi essa aveva l’interesse contrario di non prendere l’iniziativa di una persecuzione giudiziale, la quale avrebbe avuto l’effetto di richiamare alla lotta un gentiluomo che era molto meglio lasciare in pace”. Il secondo motivo di appello recitava: “Se mai il Tribunale avesse avuto dubbio sull’interpretazione della volontà del Consiglio comunale consacrata in quella deliberazione, non doveva che richiedere una novella più esplicita deliberazione, uniformandosi così alla costante giurisprudenza che nei casi di assoluta mancanza di deliberazione non fa che concedere un termine al Sindaco per esibire detto documento”.
Anche questo motivo di appello viene confutato agevolmente dall’avv. D’Ariano. Una sentenza della Cassazione di Torino del 1909 stabiliva che fosse perfettamente logico e giusto nella mancanza assoluta di ogni deliberazione favorevole o contraria del Consiglio comunale che il Tribunale richiedesse una nuova deliberazione al Sindaco per capire cosa egli effettivamente volesse.
Nel nostro caso, le deliberazioni non mancano, in realtà ve ne sono ben due, dalle quali risulta, come ha rilevato il Tribunale di primo grado, la categorica volontà del Consiglio di non avviare nessuno lite versus il Colatruglio. Non crediamo che il Comune l’abbia fatto per un riguardo nei confronti del cav. Colatruglio, o certamente non solo per quello, il motivo preponderante era di non dissanguare ulteriormente le esigue risorse di San Bartolomeo in liti pretestuose, soprattutto dopo la lite che vide consegnare all’arciprete Saccone, la esorbitante cifra di lire 90000 (ricordo che per un mattatoio nuovo la stima era di lire 2000, il più alto dirigente comunale guadagnava lire 1500 annue, costruire una strada come badricc, che poi non venne costruita, sarebbe costato lire 5000).Infine il Saccone non voleva proprio pagare le spese giudiziali al Colatruglio e avrebbe voluto addossare tutto al Comune, nell’ultimo motivo di appello scrive: “Il Tribunale ha, non a proposito, applicato l’art. 221 della legge comunale e provinciale che riflette le obbligazioni sorte fra l’Ente e gli amministratori, il che dimostra che nei rapporti col terzo è sempre il Comune responsabile”.
L’art. 221 stabiliva che gli amministratori che intraprendono una lite sono responsabili in proprio delle spese e dei danni cagionati dalla lite stessa, quando la deliberazione alla lite non è stata presa in conformità delle disposizioni legislative.
In questo caso il Tribunale ha riconosciuto che la lite intrapresa dal Saccone è pretestuosa e contraria alle disposizioni legislative, egli non era stato autorizzato dal Consiglio comunale.
Purtroppo non abbiamo la sentenza d’appello, ma crediamo che dovette arridere al Colatruglio. In mancanza di documenti la nostra supposizione si basa sulle carriere politiche dei due contendenti.
Il cav. Colatruglio dopo circa 10 anni, nel 1920, fu rieletto sindaco di San Bartolomeo e governò per altri sei anni. La carriera politica del Saccone subì un arresto che durò quasi vent’anni e dovette aspettare un cambio di regime, l’avvento dell’ancor più nefasto ventennio fascista, per tornare in auge. Fu podestà per oltre sei anni dal 1931 al 1937.
La figura dei Saccone meriterebbe una conoscenza migliore, poiché la loro sorte s’è intrecciata con quella del borgo per oltre cinquant’anni. Conoscendo loro, conosceremmo meglio la nostra storia, i nostri difetti e anche i nostri pregi.
Ringrazio nuovamente l’amica Cristina Giuliani erede Catalano per avermi messo a disposizione:
1. Relazione del Regio Commissario Avv. Giovanni Conti letta al ricostituito Consiglio Comunale di S. Bartolomeo in Galdo nella seduta del 12 maggio 1912.
2. Ricorso degli avvocati Francesco Mailler e Davide D’Ariano per il sig. Pietro Colatruglio contro il sig. Ignazio Saccone, Relatore l’Ill.mo sig. Cons. Perrone. Napoli, Stabilimento Tipografico del Progresso, Vico S. Anna dei Lombardi n. 2 a 4, Telefono 34-46, 1913.
Fotografia: Salvatore Picciuto e autori vari