II tappa Castelnuovo della Daunia – San Severo
Don Raffaele Verrilli
Il sole delle cinque non brucia, ma per evitare di peggiorare la mia scottatura, prima di partire mi applico la crema solare, fattore di protezione 60, sono fototipo 1. Mi chiudo la porta del convento alle spalle, il paese è in silenzio, ancora dormiente. Si sente solo il ticchettio del mio bordone sull’asfalto. Prendo un sentiero che mi porterà sulla provinciale per San Severo. Ho tre litri di acqua, spero mi bastino. La discesa è agevole, l’aria fresca, le nuvole si addensano all’orizzonte, forse pioverà. Arrivo sulla provinciale 10, purtroppo non ho strade alternative da percorrere. Ci sono dei rettilinei lunghissimi. Le nuvole come per magia sono scomparse, il sole picchia forte. L’asfalto inizia a scottare sotto i piedi. Alle 11:00 non reggo più, decido di fermarmi sotto un ulivo. Aspetto che si frapponga una nuvola fra me e il sole. Tolgo le scarpe, per far riposare i piedi. Alle 13:00 le mie preghiere sono esaudite, una nuvola copre il sole, rimetto lo zaino in spalla e cerco di percorrere più strada possibile. Mi fermo all’ombra di una vigna o di un uliveto più volte. A due chilometri da San Severo termino l’acqua. Ormai potevo buttarci la pasta tanto era calda, ma non immaginate come sia desiderabile anche l’acqua calda quando il sole picchia sulla testa. Alle 15:30 entro in San Severo, la cosa che mi colpisce subito è l’immondizia accumulata ai lati delle strade. Faccio il mio primo, e fortunatamente indolore, incontro con dei cani randagi. Si limitano ad abbaiare ed a ringhiare, si avvicinano, sono pronto col bordone per vendere cara la pelle, forse capiscono, e desistono. Vedo un bar, la proprietaria è una signora anziana, ordino una bottiglietta d’acqua, una fanta e un chinotto, la proprietaria mi chiede dove sono gli altri, le dico che sono solo. Domando dove sia la parrocchia dell’Immacolata di don Raffaele. Me la indica, alle 16:00 sono davanti alla parrocchia. È chiusa, provo a suonare in canonica, ma non risponde nessuno, forse dormono. Mi siedo davanti al cancello e aspetto. Un signore mi dice che alle 18:30 ci sarà la messa. Verso le 17:00 esce dalla chiesa un sacerdote, è don Raffaele, apre il cancello elettrico che chiude il cortile della chiesa, mi vede e mi chiama. Mi domanda da quanto aspetto, gli dico da un’ora. Mi rimprovera, mi dice che avrei potuto chiamare don Girolamo il suo vice di cui avevo il numero. Non importa, ormai sono arrivato e aspettare un’ora sotto gli alberi non è faticoso. Mi fa entrare e attraverso la chiesa mi conduce in un appartamentino nuovissimo. L’ha fatto costruire appena diventato parroco. Don Raffaele ha una predilezione per i pellegrini e per i bisognosi. L’appartamento è davvero bello: due stanze da letto, un salotto-cucina, un bagno. In cucina c’è un frigo che contiene acqua, latte e biscotti. Don Raffaele è un grande sacerdote che fa sua la parola evangelica: “Bussate e vi sarà aperto”. Tolgo le scarpe, ho i piedi pieni di vesciche. Le scarpe non erano il massimo, ma probabilmente, a meno che non fossero state foderate di amianto, sull’asfalto a quasi 40 gradi, avrei riportato comunque danni. Faccio una doccia, metto i sandali e vado in farmacia a comprare acqua ossigenata. Compro anche qualcosa per cena e poi vado a messa in parrocchia. Dopo la messa don Raffaele apre l’oratorio, non si allontana mai un minuto, controlla i suoi ragazzi. Tutti sanno che San Severo è un crocevia dello spaccio. Alle 21:00 suona una campanella, tutti in cerchio per una preghiera e poi a casa. Saluto don Raffaele, lo ringrazio per l’ospitalità, vorrei fargli un’offerta, rifiuta. Rinnova la sua stima per i pellegrini a piedi, ricambiata moltissimo da parte mia, rappresentante pro tempore dei pellegrini.
Mangio un po’ di pasta, curo i piedi e alle 22:00 sono a letto. Alle 5 sarò di nuovo in piedi per la partenza.
III tappa San Severo – Convento di San Matteo in Lamis
Convento di San Matteo in Lamis
III tappa San Severo – Convento di San Matteo in Lamis
Mi sveglio verso le 4, fuori imperversa un temporale estivo. Speriamo smetta prima della mia partenza. Fortunatamente smette. I piedi non sembrano stare poi così male. Ho tre vesciche, una grande al piede destro, le altre due più piccole al sinistro. Se anche oggi ci sarà il sole, il tratto da percorrere sulla provinciale 10 sarà un calvario. Esco di casa alle 5:30, lascio le chiavi sul tavolo della cucina. Non dimenticherò don Raffaele, anzi mi riprometto di andare a trovarlo quest’autunno. San Severo è già sveglia, i forni sono aperti, alcuni bar anche. Non mi fermo, voglio percorrere più strada possibile prima che il sole inizi a picchiare. Il sole è coperto dalle nubi, chissà, forse oggi sarò risparmiato dai suoi raggi martellanti. Costeggio il cimitero di San Severo, attraverso l’autostrada su un cavalcavia, sotto di me vedo una fila di macchine, scendono al Sud per le ferie d’agosto. La giornata è fresca, io procedo spedito, i piedi non mi fanno male. Solo se mi fermo sento dolore al piede destro, ma è sopportabile. Resta assodato che questo è l’ultimo cammino che faranno le mie scarpe da trekking, al ritorno le pensionerò.
Davanti a me vedo il Gargano, alle 10:30 inizio l’ascesa verso San Marco in Lamis. Ci sono alcune curve coperte e sono costretto a spostarmi dall’altra parte della strada, compiendo un’infrazione al Codice della Strada, meglio una multa che rischiare di essere investito. La mia cartina indica un sentiero che mi permetterebbe di bypassare San Marco, provo a percorrerlo, mi accorgo che ieri notte è piovuto davvero tanto, c’è molto fango, provo ad andare avanti, ma il tracciato non migliora. Torno indietro e procedo sull’asfalto. Alle 12 sono a San Marco in Lamis. Mi fermo in un forno, compro della pizza e da bere. Alcune vecchiette mi si avvicinano e mi chiedono dove sto andando. A San Michele, rispondo. Ieri è passato uno della Svizzera, mi dicono. Un pellegrino che mi precede, chissà forse lo incontrerò a Monte Sant’Angelo.
Il cielo è sempre più nero. Il convento è a due chilometri e mezzo dal paese. Inizia a piovere. Tiro fuori l’incerata, ma preferisco fermarmi sotto un portico. Verso l’una smette. Ma il cielo è nerissimo. Mi dico che in mezzora sarò al convento, potrei provare ad arrivarci prima che piova. Lascio il paese che sta piovigginando, commetto un altro errore, non infilo l’incerata. Mi dico che la infilerò quando pioverà con più insistenza. Altro errore, infilare l’incerata durante un acquazzone è come mettere le catene durante una bufera di neve, non ci riuscirai mai. All’uscita del paese c’è una pensilina per l’attesa degli autobus. Manca un chilometro per il convento, lo vedo ergersi enorme davanti a me. Cos’è un chilometro, sono 15 minuti di cammino. Il cielo è nerissimo, ma finora la fortuna mi ha aiutato, perché dovrebbe piovere proprio adesso. Ritiro fuori l’incerata e la metto in mano. Decido di proseguire. Percorro duecento metri e il Signore decide di aprire le cataratte del cielo. Provo a infilarmi l’incerata, ma il vento forte e l’acqua la fanno volare da tutte le parti. L’unico ricovero era la pensilina lasciata poc’anzi. La cunetta diventa un torrente, l’acqua mi penetra in tutti gli indumenti, fortunatamente lo zaino è quasi impermeabile. Percorro a ritroso di corsa i duecento metri che mi separano dalla pensilina, ma arrivo bagnato come un pulcino. Decido di cambiarmi, col vento che tira, se non mi asciugo rischio una bronchite. Mentre continua a piovere, tiro fuori un pantalone e una maglietta e l’asciugamano. Mi cambio gli abiti bagnati sotto la pensilina. Il temporale dura quasi un’ora. Non esattamente un rovescio estivo. Alle 14:00 riprendo a percorrere l’ultimo chilometro. Arrivo davanti al convento e lo trovo chiuso. Riapre alle 15:00. Non voglio disturbare il sonno pomeridiano dei frati. Aspetto l’apertura. Il piazzale antistante il convento inizia a riempirsi di pullman dei pellegrini. Mi chiedono a che ora apre il convento. Indico un cartello grande davanti alla porta che riporta la scritta: “Apertura ore 15:00”. Alle 15:00 un frate anziano apre il convento, mi vede e chiede cosa voglio. Gli dico che ho parlato con Padre Mario e con il Padre Guardiano per essere ospitato, sono il pellegrino che arriva a piedi da San Bartolomeo in Galdo. Mi chiede di attendere, il Guardiano scenderà tra poco. Intanto arrivano dei fiorai per addobbare la chiesa, ci sarà un matrimonio alle 16:00. Dopo una mezzora scende il Padre Guardiano, mi presento e gli dico che sono il pellegrino proveniente da SBiG. Ho ancora i capelli bagnati. Mi chiede se posso aspettare fin dopo il matrimonio. Rispondo “Si”. Mi siedo in chiesa, nell’ultimo banco con il mio zaino e il mio bordone. Iniziano ad arrivare gli invitati. Alle 16:15 arriva la sposa. Il matrimonio termina alle 17:30. Finalmente il Padre Guardiano mi accompagna in una celletta. Anche questo convento, sebbene abitato da cinque frati, ha un piano totalmente disabitato. Io dormo in quel piano. Dopo la doccia, scendo nuovamente in chiesa e infine in biblioteca. Saluto Padre Mario che si ricorda di me, l’avevo incontrato in inverno, quando accompagnai una ragazza per un colloquio di lavoro come archivista. Conosco Gabriele Tardio, un antropologo che si occupa di ricerche sul Cammino dell’Angelo. Padre Mario mi dice che la cena sarà pronta alle 21. Vado in cucina per dare una mano a fra Matteo un anziano frate laico. Mi dice che è tutto pronto e andiamo a guardare la televisione insieme. Alle 21:00 suona la campanella. Ci riuniamo in cucina, il refettorio è troppo grande per 5 frati, un pellegrino e un sacerdote diocesano. Sono interessati al mio pellegrinaggio. Hanno tutti una certa età ad eccezione di Padre Antonio, un giovane frate, che raccoglie i dati dei pellegrini di passaggio. Anche loro hanno un debole per i pellegrini a piedi, ed infatti sono molto ospitali con me. La cena è frugale. Di giorno c’è una cuoca, ma la sera devono arrangiarsi. Dopo cena, recitiamo la compieta e alle 22:00 si va a letto. Padre Antonio è gentilissimo, vorrebbe prepararmi un panino e della frutta per l’indomani. Accetto solo una bottiglia d’acqua. Ci salutiamo, tornerò anche qui con la macchina.
“Terribilis est locus iste hic domus Dei est et porta coeli”
IV tappa San Matteo in Lamis – Monte Sant’Angelo
Alle 6:10 scendo in cucina. Trovo fra Matteo già sveglio che mi prepara un cappuccino. Lo ringrazio, mi dice di pregare per lui quando arriverò a Monte Sant’Angelo. Lo farò. Alle 6:20 sono sulla strada, alle 8:00 arrivo a San Giovanni Rotondo, le gambe girano, non sento dolore ai piedi, l’aria fresca di ieri è stata un toccasana. Non mi fermo a visitare le spoglie di Padre Pio, bypasso San Giovanni attraverso la sua variante, e proseguo fino a Monte Sant’Angelo. Percorro 15 km in tre ore. Succede sempre così, dopo i primi due o tre giorni il tuo fisico si abitua a questi ritmi e potresti arrivare a Gerusalemme (prima o poi ci arriverò). A dieci chilometri da Monte Sant’Angelo abbandono l’asfalto e salgo attraverso dei sentieri fin su al crinale. Un panorama mozzafiato, da una parte c’è la Foresta Umbra, in tutta la sua maestosa grandezza, dall’altra vedo il golfo di Siponto da dove s’imbarcavano gli antichi pellegrini diretti verso Oriente attraverso la via Egnazia.
C’è il mare, un pastore mi dice che quando non c’è foschia si riesce a vedere anche Bari. Cammino piano, sono in dirittura d’arrivo. Oggi è stata la tappa più lunga, ma non me ne sono accorto. Sotto di me vedo le case bianche di Monte Sant’Angelo, vedo il campanile angioino. Plano come un falco sulla grotta dell’Angelo. Non vado in albergo, scendo direttamente nella grotta. Sulla porta d’ingresso c’è la scritta “Terribilis est locus iste hic domus Dei est et porta coeli” (Terribile è questo luogo, qui è la casa di Dio e la porta del cielo). Sono finalmente arrivato. Sono felice, mi siedo sui banchi e resto senza parole e senza fiato per oltre mezzora. Mia nonna arrivò qui adolescente nel 1937, vide per la prima e ultima volta nella sua vita il mare, vide l’Angelo, vide la devozione popolare verso questo Santuario. All’esterno del Santuario i tempi sono cambiati, ma all’interno è tutto come lo videro gli occhi di un’adolescente oltre 70 anni fa.
Prima di andare verso l’albergo, voglio vedere il tau disegnato da San Francesco quando venne in questo luogo nel 1220 circa. Fa una certa impressione immaginare che quel graffito è stato vergato dal poverello di Assisi.
Il mio Cammino sul Gargano è finito, ricomincerò il Cammino più importante: quello della vita.
Buon Cammino a tutti, pellegrini! Ed allenatevi, magari il prossimo anno andiamo insieme a Gerusalemme.
La linea dell’Angelo
Ad Maiora Ariadeno