C’è un bel libro sui Cassito di Jelardi e Miletti.
Una famiglia importante che ha conquistato molti meriti nei vari campi della conoscenza e nella società. Noi siamo stati colpiti da un suo membro, forse il più anticonformista, sicuramente a parer nostro il più interessante: Luigi Cassitto.
I Cassitto sono stata una nobile famiglia meridionale che ha vissuto per breve tempo anche nel nostro borgo. Dionisio Cassitto di Bonito, sposò la sambartolomeana Mariannina De Mattheis e generò otto figli, tra i quali Federigo, morì lasciando la giovane moglie e gli otto piccoli pargoli, ai quali provvide il ricchissimo nonno Matteo De Mattheis. Federigo sposò Carmela dei baroni Martini ed ebbe quattro figli, tra i quali Dionisio. Alla morte di Federigo, Dionisio sposò Antonietta Lembo di Baselice e si trasferì a San Bartolomeo nelle proprietà di famiglia. Morto senza figli, la proprietà passò ai Cilento che sono ancora proprietari dei terreni e del palazzo sito in via Leonardo Bianchi.
Questo breve excursus genealogico è servito per collocare i Cassito a SBiG. La persona che a noi interessa è un Cassitto bonitese, Luigi fratello di Federigo, nato a Bonito nel 1829. Giovane bohemienne e prolifico scrittore, i suoi scritti abbracciarono innumerevoli argomenti. Scrisse poesie d’amore dialettali, si cimentò in prose comiche, ma a noi interessano i suoi scritti politici che furono lodevoli, satirici e critici.
Luigi Cassitto, come quasi tutti i bohemienne, era un liberale convinto, un gran patriota. Entusiasta di Vittorio e Peppino, nonché di Camillo. Con gran giubilo descrisse l’insediamento del nuovo sindaco nel 1861 il cittadino Nicola Miletti patriota e liberale, insediatosi tra le grida festanti dei bonitesi sulle note dell’Inno di Garibaldi. Scrisse il Cassitto che da oggi in poi, era il 13 settembre del 1861, ci sarebbero stati “denare a li poveri e ttela a le sbenturate orfanelle” (denaro ai poveri e biancheria alle sventurate orfanelle).
Inutile dire che i poveri non videro un centesimo e le orfanelle si videro togliere dai “signori” anche quel poco di biancheria che avevano addosso.
Lo capì subito anche il Cassitto, che già nel 1863 a rischio prigione scriveva:
Fior di castagna,
di dir la verità non mi vergogno.
Il popolo è la mosca e Sella il ragno.
Fior di menta, fan credere che l’Italia ride e canta
E quella si dispera e si lamenta!
Fior di giglio,
per causa di una perfida canaglia
un popolo leone oggi è coniglio!
Fior di bieta
prima correa la piastra ben coniata
ed oggi corre carta per moneta!
Fior di nocella,
che possa in fronte aver proprio una palla
l’eterno tassator Quintino Sella.
Fior di cannella,
Caligola, Nerone e Caracalla
Furono cherubini in faccia a Sella!
Fior di lupino
Vorrei cavar l’anima dal seno
A Scialoja, a Minghetti e a D. Quintino!
Fior di cotogno
Solo perché appartengo a questo regno
Di me medesmo meco mi vergogno!
Sono rime caustiche dirette al peggior governo che si potesse immaginare. Sella ricordato per il pareggio di bilancio nella storia italiana, a scapito dei poveri cristi con provvedimenti vampireschi, tipo la tassa sul macinato, è paragonato ad un ragno che uccide le mosche, il popolo (le mosche uccise) che pagò l’unificazione fu quello meridionale.
Facevan credere che l’Italia unita fosse un paradiso, invece era un’Italia che si disperava e si lamentava.
Addirittura personaggi passati alla storia come folli sanguinari come Caligola e Nerone, paragonati a Sella erano considerati degli angioletti.
Chiude con due assunti molto forti, che scritti nel 1863, se fossero stati resi pubblici (gli scritti di Cassitto furono pubblicati solo anni dopo l’unificazione), gli sarebbero costati la vita: Avrebbe ammazzato volentieri i Presidenti del Consiglio post unitari: Scialoja, Minghetti e Sella, e sebbene avesse creduto nell’unità, ora si vergognava di appartenere a questo regno.
Nel 1876 alla morte di Marco Minghetti scrisse una poesia di saluto:
Perché fu porco
E non fu parco,
del Ministero cadde D. Marco.
Perché d’Italia fe’ un cimitero,
- Marco cadde
dal Ministero.
……………………
Si discute ora se i libri Carnefici di Aprile, o Le stragi e gli eccidi dei Savoia di Ciano, siano iperbolici, oppure veritieri, la risposta ce la dà un testimone reale, che visse quegli anni, don Luigi Cassito che scrisse che il Minghetti e chi l’aveva preceduto, avevano reso l’Italia un cimitero.
Il libro di Jelardi e Miletti merita una lettura, noi chiudiamo con un’ultima poesia di Luigino Cassitto sarcastica nei confronti dei savoia (la minuscola non è un errore) e dei loro governi, ma estremamente attuale.