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San Bartolomeo in Galdo
domenica, 24 Novembre 2024

Baselice 1914. Relazione di fine mandato. II parte

 Non iniziò un contenzioso con Foiano il Regio Commissario, non solo, ma durante l’anno di permanenza a Baselice non iniziò nessun contenzioso, dovette però cercare di difendere gli interessi del Comune dalle pretese del maestro Ruggiero. Costui citò Baselice per inadempienza, asseriva che gli constassero 480 lire per aver insegnato anche in una classe sdoppiata.
La legge a volte è assurda. La legge Casati prevedeva 70 allievi come numero massimo in una classe. A Baselice nel 1912 il maestro Ruggiero insegnava in una classe con 71 iscritti, uno in più del numero legale, pertanto, ex lege si doveva provvedere allo sdoppiamento. Il Commissario inizialmente non volle, adducendo l’assenza quotidiana di circa 15 allievi, ergo il numero di frequentanti reali era inferiore ai 70 previsti dalla legge, e purtroppo nei tanti paesi del Mezzogiorno la scuola era tenuta solo come rifugio per l’inverno e sicuramente in primavera, con l’inizio dei lavori campestri, il numero sarebbe sceso ancora.


Poiché lo sdoppiamento era imposto dalla legge, il Commissario pensò, di affidare l’insegnamento della classe sdoppiata alla titolare insegnante Riccio, aumentandole lo stipendio di 2/5, le famose lire 480 richieste dal Ruggiero.
Nemmeno questa soluzione fu praticabile, la classe da sdoppiare era del Ruggiero ed egli doveva insegnarvi. Nel gennaio 1913 si provvide allo sdoppiamento, con conseguente contratto allo stesso maestro. Egli reclamava il pagamento di lire 480, come se lo sdoppiamento fosse avvenuto ad inizio anno scolastico. Ma il Commissario adducendo che il compenso da liquidare doveva corrispondere solo al lavoro effettivamente svolto, e siccome la classe era stata sdoppiata solo il 2 gennaio, voleva dargli solo lire 336. Io credo che in linea di principio il Commissario avesse ragione, ma quanto sarebbe costato un contenzioso al Comune di Baselice? Penso molto di più delle 144 lire in più che pretendeva in più il maestro Ruggiero.
In ogni caso, tale problema rimase insoluto e il Commissario lo affidò alla nuova Amministrazione. Faccio una considerazione: se il Maestro era amico del neo sindaco Petruccelli, si sarà visto riconoscere seduta stante le 480 lire, ma se malauguratamente apparteneva o simpatizzava per la corrente opposta, quelle 480 lire le starà ancora aspettando.
Altro problema affrontato dal Regio Commissario fu il “Ginnasio Carusi”. Mi lancio nel campo delle ipotesi, non conoscendo i fatti, giocoforza vi saranno alcune imprecisioni in questa ricostruzione, che però, non intaccheranno la sostanza del problema.
Quando arrivò a Baselice, l’avv. Conti trovò funzionante il così detto “Ginnasio Carusi”, con pochissimi alunni, un istituto tisico, però difeso strenuamente dalle ultime Amministrazioni.
La difesa era interessata, vi era stato un lascito testamentario, che prevedeva l’istituzione del ginnasio. Niente ginnasio, niente eredità.
Ma nella scuola, mancavano professori diplomati, mancavano gli alunni, mancavano le suppellettili, mancava ogni mezzo per meritare l’appellativo di scuola.
Il Commissario la chiuse, e in attesa di tempi migliori, costituì un fondo cassa per impiantare in avvenire un Ginnasio degno di questo nome. In accordo con il Provveditore, una parte della rendita scaturente dall’eredità, la destinò all’erogazione di tre borse di studio di lire 400 per i giovani baselicesi poveri di mezzi, ma ricchi d’ingegno. Quando tutto sembrava pronto per l’assegnazione intervennero voci discordanti sulla destinazione da dare all’eredità. Tradotto, ed è facile anche immaginare chi si oppose: tre borse di studio ai poveri cristi no, riaprire un ginnasio che non è un ginnasio ove sistemare gli amici degli amici si.
Il Commissario avvisò coloro che si opposero che così facendo prestavano il fianco ad una impugnazione del curatore testamentario ed avrebbero corso il rischio di perdere una vistosa eredità. Ma anche in tal caso posso provare ad ipotizzare come andò a finire, visto il famoso broccardo medievale molto in voga dalla nostre parti: “Se non posso mangiare io, non dovrà mangiare nessuno”. Ed allora muoia Sansone con tutti i filistei, meglio perderla l’eredità che destinarla a tre poveri cristi.
Magari le mie conclusioni ipotetiche sono sbagliate, anzi vorrei augurarmelo, ma non bisogna dimenticare che sono state tirate a distanza di 103 anni e sulla base di poche righe. In ogni caso, nell’anno del Signore 2016 il ginnasio a Baselice non c’è.
Un grave problema che da oltre un secolo, ma acuitosi dopo l’Unità, affliggeva Baselice, ma un po’ tutto il Meridione, riguardava le pendenze e le usurpazioni demaniali.
In pochi mesi il Commissario non poteva risolvere un problema ancestrale, ma cercò di risolvere in modo esemplare, l’usurpazione del “Tratturo di Benevento”, così da indicare la via ai nuovi amministratori. Posso ben affermare che a San Bartolomeo il problema dell’usurpazione dei tratturi s’è riproposto fino a pochi anni fa. Ai “galantuomini” si sono sostituiti i nuovi imprenditori agricoli, sono cambiati gli attori, ma il problema è rimasto lo stesso. D’altra parte non me la sento di biasimarli, lo Stato dalle nostre parti ha quasi sempre mostrato la sua faccia peggiore, “brillando” per la sua assenza. Da 60 anni aspettiamo una strada e un ospedale, mi fermo qui, ma si potrebbe continuare.
Il tratturo di Benevento inizia dal “Fortore di fronte alla strada Coste di San Bartolomeo in Galdo, attraversa il latifondo del barone Petruccelli detto Campo Grande e per Toppo Clemente, Masseria De Lellis e sig.ri Ricci e Barbati, va a raggiungere la sorgente confinante col demanio Costa Racanelli”, ed ha una lunghezza di poco più di cinque chilometri.
Nel corso degli anni, addirittura sforiamo il secolo, pochi grandi proprietari, nell’ordine: il barone Petruccelli, i sig.ri Ricci e Barbati, la sig.ra De Bellis – Lembo, il cav. De Lellis e il dott. Del Vecchio, hanno ridotto il tratturo fino a farlo quasi scomparire, con grave nocumento non solo alla povera gente, ma anche a loro stessi, talché, quando nel 1896, anche su pressione dei poveri contadini, l’amministrazione comunale provò a risolvere la questione, chiamando a Baselice l’agente demaniale Salerno ed il perito Rossi, escluso il Petruccelli, furono tutti d’accordo a ridare al tratturo la lunghezza richiesta dal Salerno. Stabilirono un’unica condizione: che non vi fossero eccezioni, o tutti o nessuno!
Dovette intervenire l’on. Vincenzo Bianchi e far pressione sul Petruccelli, che alla presenza dello stesso Bianchi, invitò la popolazione all’apertura del tratturo. A questo punto … è meglio usare le parole dell’avv. Conti: “Ma non fu così: come l’infermo, a cui una piaga vergognosa e purulenta attossica l’esistenza, malgrado ogni desiderio ed ogni promessa di fermezza, si contorce e si dibatte all’avvicinarsi del ferro chirurgico, su cui pure scintilla la vita, così il maggiore interessato, all’ultim’ora, si dimenò per scongiurare se non il fatto in sé, la giusta ed equa gravezza che avrebbe dovuto avere. Senza accorgersi che dall’operazione demaniale sarebbe venuta nuova fonte di vitalità, nuova forza, alla già grande che aveva…”.
Benché perdurasse l’opposizione del Petruccelli, l’avv. Conti, nel frattempo nominato agente demaniale, poiché il Salerno era deceduto, cercò di portare a termine “la reintegra delle usurpazioni”. Il Regio Commissario non riuscirà a fare un bel niente, in primis perché fu rimosso dalla carica di agente demaniale, in secundis perché cominciate le operazioni di reintegra dovette interromperle poiché Baselice si diede un nuovo sindaco: il barone Petruccelli.
Giova però ricordare e apprezzare almeno l’impegno che lo accompagnò nel vano tentativo.
 Il Conti fece suo il lavoro che aveva approntato quasi quindici anni prima l’agente demaniale Rossi. Egli mirava a dare al tratturo la larghezza di 24 passi (m. 44,59). A tale conclusione era arrivato attraverso due ordini di fatti: la prova testimoniale e l’elemento storico analogico.
La prova testimoniale come riconosciuto anche dal perito Rossi, non aveva grande valore, poiché “le usurpazioni sono state graduali e poco sensibili anno per anno, ed il loro inizio rimonta ad epoche anteriori alla memoria degli attuali abitanti”. Non è cambiato molto, anche oggi può capitare che se confino con le terre demaniali (c.d. Tratturi), un anno aro mezzo metro, l’altro anno un altro mezzo metro e nel giro di 100 anni il Regio Tratturo da 100 m. di larghezza, si ritroverà dimezzato.
Il Salerno ed il Rossi diedero molta importanza all’elemento storico analogico.  Trovarono nell’Archivio notarile di Benevento un atto, il c.d. atto Bibbona del 12 gennaio 1799, ove si riportava la larghezza di un tratto del tratturo in oggetto (strada delle carrozze), e la larghezza era appunto di 24 passi (m. 44,59). Purtroppo il Commissario, non riuscì a trovare copia dell’atto e nemmeno l’originale, nel frattempo erano scomparsi dall’Archivio di Stato, ma trovò un nuovo atto dove si indicava la larghezza della strada delle carrozze nella misura, non di 24 passi, ma bensì, di 24 palmi (m.6). Coincidenza? Errore del Salerno? O qualcuno aveva fatto scomparire l’atto Bibbona e lo aveva sostituito con il nuovo atto?
Non si perse d’animo il Conti, e per evitare una figuraccia nei confronti delle attese della povera gente, ma soprattutto per provare ad imporre la forza dello Stato, decise in base a un fumoso esame dello stato dei luoghi e da avanzi dell’antico selciato che il tratturo dovesse essere di m. 20. Soluzione salomonica che portò all’attenzione dell’Ill. Regio Commissario ripartitore, che con sua ordinanza del 9 dicembre 1913 accolse le proposte del Conti.
Il Comune non aveva una lira per procedere alla reintegra e il Conti, poco meno di tre mesi dopo, dovette lasciare l’incarico di Regio Commissario, tuttavia iniziò le operazioni, che dovettero interrompersi a causa delle difficoltà dovute alla stagione invernale, le spese secondo il Commissario dovevano essere sostenute dai frontisti usurpatori. Non sappiamo se l’opera di reintegra fu portata a termine, possiamo solo fare qualche ipotesi, dovuta all’ennesimo monito del Conti: “All’amministrazione ed alla popolazione di vigilare ed eventualmente di denunziare i nuovi abusi, sperando di potere nella buona stagione continuare le operazioni incominciate tra tanto consenso della popolazione agricola”. Uno dei controllori, quello con più voce in capitolo, era la nuova Amministrazione guidata dal Petruccelli, il quale era anche uno dei controllati. Un po’ come il Berlusconi Presidente del Consiglio che avrebbe dovuto legiferare sul conflitto di interessi del Berlusconi imprenditore.
Abbiamo scritto del “Tratturo di Benevento” e delle poche famiglie usurpatrici. Ma le grandi famiglie di “signori” non furono le uniche ad approfittare dei terreni demaniali. L’usurpazione delle terre, e il non pagamento del canone demaniale riguardava centinaia di persone, chiunque poté, cerco di occupare un pezzetto di terra per sopravvivere, d’altra parte l’aveva promesso il nizzardo. Terre ai contadini, a Bronte ci avevano creduto e mal gliene incorse. A Baselice furono più furbi, riconobbero la proprietà dello Stato, si limitarono a non pagarne il canone.
Era un’entrata che alle casse comunali disastrate di Baselice, avrebbe fatto comodo e alla quale il Commissario Conti non volle rinunciare. Con deliberazione del 20 gennaio 1913 il Conti affidò l’incarico dell’accertamento ai periti Pasquale Fracasso e Giuseppe Marucci Pompeo.
Nel settembre dello stesso anno costoro presentarono i risultati al Commissario. Iniziò una vera e propria opera di transazione con contadini “buoni e generosi per indole, ma pervicaci nella difesa dei loro interessi” e signori “a cui non giungeva grata e gioconda l’avvertenza di dover pagare diecine, e per qualcuno, centinaia di lire in più”.
Il Conti fu soddisfatto, su centinaia di ditte, solo alcune non vollero transigere, ed uno non per cattiva volontà, “ma per momentanee e gravi contingenze finanziarie”. Facile immaginare quali furono le ditte che non vollero transigere e per le quali il Conti compilò un ruolo da mandare in riscossione.
L’opera di transazione prevedeva il pagamento dell’annualità corrente e delle cinque precedenti. Con tale opera il bilancio comunale si arricchì di ben lire 2500.
Il Conti era ben conscio che il suo lavoro sarebbe scomparso come neve al sole, appena avrebbe terminato il mandato. I nuovi amministratori avrebbero nuovamente rivisto i canoni, o magari non li avrebbero riscossi, o forse avrebbero effettuato “diminuzioni dipendenti da deplorevoli favoritismi e da utilità volontariamente assicuratesi”. Richiamò l’attenzione delle autorità a vigilare, ma sapeva bene che senza il controllo del popolo non si sarebbe ottenuto nulla, pertanto disse: “Ma la migliore, la più sicura difesa, il più efficace controllo deve esercitarlo la popolazione la quale deve partecipare un po’ più alla vita del suo Comune, all’esame dell’azione amministrativa che i preposti alla pubblica cosa esplicano, e deve contribuire, alzando la voce, ad evitare che si ricada nelle colpe del passato … Sta a voi, alla popolazione cosciente, che in breve numero di anni non si disperda il patrimonio assicurato, dopo tanti sforzi, per dare nuovo rigoglio al vostro bilancio; e ciò dico non per particolar desiderio di vedere mantenuto il vantaggio assicurato con l’opera mia – perché nel mio orgoglio non penso neppure a così meschine soddisfazioni – ma perché io desidero per questo vostro Comune a cui ho dedicato fervore ed entusiasmo, ogni più lieto avvenire, e perché dalle rinnovate forze finanziarie, auguro possa attingere la vostra popolazione nuova lena per percorrere le vie del progresso e della civiltà”.
Il Regio Commissario Avv. Giovanni Conti rimase a Baselice poco più di un anno, e quando andò via il suo saluto lo rivolse agli umili, che aveva provato a difendere dalle angherie dei più forti:Ma consentitemi – signori – che il mio saluto più fervido vada, memore e augurale, agli umili, per cui ho lavorato, per cui sono rimasto fermo al mio posto: a quanti su queste balze del Fortore conoscono le aspre, le dure battaglie per la vita, a quanti nobili e venerandi bagnano col sudore della fronte la terra sfruttata da un’agricoltura primordiale, a quanti sono cittadini onesti e dabbene e possano auspicare un migliore avvenire per questo vostro Comune.

E cosi sia”.

Ariadeno

 

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