Qualche tempo fa, il calcio si era messo in testa di scimmiottare la NBA creando una fantomatica Superleague. Una sorta di NBA in salsa nostrana dove avrebbero giocato molti superteam.
Era uno scimmiottare appunto, perché la NBA ha radici profonde e solide, poggia su centinaia di campionati minori e non è altro che l’apice di una carriera di un cestista.
Non esisterebbe la NBA senza il college, senza la DLeague, senza i play ground cittadini.
Il calcio degli ultimi anni è in mano a pochissime squadre. In Italia negli ultimi venti anni il titolo lo hanno conquistato tre sole squadre; in Germania 13 degli ultimi 17 campionati sono stati vinti da una sola squadra; in Francia il PSG ne ha vinti 7 degli ultimi 9; in Spagna 15 degli ultimi 17 titoli li hanno vinti due sole squadre.
Nella NBA da sempre esiste un meccanismo di riequilibrio delle forze in campo che permette a chiunque, con un po’ di fortuna e molta bravura di poter vincere il titolo. Certo, ci sono stati tentativi di costruire superteam puri, ma non hanno avuto molto successo, l’ultimo in ordine di tempo è il fallimento di Brooklyn con Irving, Durant e Harden.
Il meccanismo di riequilibrio dei valori in campo è chiamato draft, e grazie alle scelte, anche un team in teoria sfigato come Cleveland ha la possibilità di poter scegliere il secondo giocatore più forte di tutti i tempi Lebron James e vincere un titolo se riesci a costruirgli una squadra intorno, cosa fatta molto male dal GM di Cleveland, ma il titolo è arrivato lo stesso. Oppure, dopo anni di purgatorio puoi scegliere Michael Jordan, a cui aggiungi sempre dal draft Scottie Pippen e vinci 6 anelli.
Quest’anno in finale NBA sono arrivati due team, che hanno costruito sulle scelte le loro fortune.
Phoenix ha trovato nella tredicesima scelta del 2015 un campione mostruoso, capace di segnare 70 punti in una partita, quel Devin Booker futuro all star; un improbabile centro bahamense scelto alla numero 1 nel 2017 DeAndre Ayton e un ottimo giocatore come Mikael Bridges nel 2018, a questi tre ha avuto la fortuna di poter aggiungere il miglior play degli ultimi venti anni Chris Paul che ha un credito con la fortuna altissimo e il risultato è: finale NBA e grandi possibilità di vincere l’anello.
I Milwaukke Bucks hanno avuto la grande fortuna, ma anche l’immensa lungimiranza di scegliere uno smilzo giocatore greco di 18 anni e 7 mesi alla numero 15 del 2013, hanno avuto la pazienza di aspettarne la crescita e Giannis Antetokounmpo li ha ampiamente ripagati portandoli a disputare la prima finale per il titolo, dai tempi di Jabbar. Altra scelta fortunatissima è stata quella di Khris Middleton, tagliato dopo poche partite dai Detroit Pistons ed imbarcato da un GM visionario.
Christopher Emmanuel Paul meriterebbe il titolo che ha sfiorato in un paio di occasioni, meriterebbe il titolo che gli fu sottratto dal veto di David Stern di passare ai Lakers di Kobe, la fortuna dà, la fortuna toglie e sarebbe ora che la Dea bendata lo accompagnasse all’anello.
Milwaukee è squadra costruita bene, ha Giannis come punta di diamante.
Mai come questa volta non saprei per chi fare il tifo. L’anagrafe mi spinge ad avere una piccola preferenza per il “vecchio” Paul, ma Vinca il migliore.