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Antologaia Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni settanta di Porpora Marcasciano

Antologaia Vivere sognando e non sognare di vivere: i miei anni settanta di Porpora Marcasciano

Ho sfogliato L’Eco di Bergamo e dopo aver letto ben 12 pagine di necrologi, ho avuto l’impressione di un déjà vu.

Ho preso un libro dallo scaffale ed ho letto: “E cominciò la conta, il necrologio: Marco, Sandro, Bruno, Antonio, Valerio, Ursula, Olga, Stefano, Marco, Ciccio, Roberta, Fabio, Alberto, Franco. Uno a uno, a volte lontani altre più vicini, i nostri amici venivano a mancare”.

La sequela di nomi corrispondono agli amici di Porpora Marcasciano, venuti a mancare a causa di un altro virus che ad inizio anni ’80 è apparso sulla scena mondiale: l’HIV. Virus definito dagli ignoranti di allora, la “peste gay”. La madre degli imbecilli è sempre gravida.

Il libro, che avevo letto qualche anno fa, è Antologaia scritto da Porpora Marcasciano, ed è uno spaccato di vita italiana che va dal 1973 al 1983, dieci anni intensi che vedono la nascita dei movimenti Lgtb in Italia, dieci anni fantastici che però vengono bruscamente interrotti dall’apparire dell’HIV, e per convenzione, un po’ come il crollo dell’Impero Romano d’Occidente è fatto risalire alla deposizione di Romolo Augustolo, chiusi con la morte di Mario Mieli.

L’epifania di Porpora avvenne nel 1973 “quando smisi di vergognarmi e compresi che tutto quello che mi era stato detto fino a quel momento era falso. Gli indiani non erano i cattivi, i comunisti non erano cannibali, gli anarchici non erano assassini e gli omosessuali non erano mostri, gli stronzi che vorrebbero fartelo credere sono invece autentici: stronzi, veramente stronzi”.

La sua poetica è fondata sul “confine, sul meticciato, l’incertezza, l’ibrido, l’esodo”, e forse ciò è derivato anche dal paese che gli ha dato i natali ed in cui è vissuto fino ai diciannove anni “… uno di quei posti da cui prima o poi si va via. Si scappa perché piccolo, perché al Sud, perché povero, perché in montagna, perché chiuso… Un paese sulle rotte dei pastori che seguivano la transumanza tra le montagne d’Abruzzo e le pianure pugliesi o quelle campane, un paese di confine che non mi ha mai dato un senso di appartenenza precisa, di questa o quella regione. Quando mi si chiedeva dove ero nato, solitamente tentennavo nella risposta perché, essendo il mio un paesino sconosciuto, dovevo dire in Campania, risposta esatta geograficamente ma poco corrispondente alla cultura del posto, dire Molise o Puglia era esatto per qualcosa e sbagliato per altro… Terra di confine quindi la mia, come pure sesso e genere di confine”.

Ho usato il maschile parlando di Porpora, ma avrei potuto usare indifferentemente anche il femminile, a lui si combinano entrambi i generi, o forse nessuno: “Non mi sono mai sentita maschio, né percepita come uomo, non per questo ho mai pensato di essere una donna, né di essere nata in un corpo sbagliato, ma piuttosto in un mondo sbagliato”.

Terminato il liceo, Porpora sentì il bisogno di evadere dal borgo, perché voleva conoscere il mondo oltre la nostra montagna, “quel mondo che da lassù appariva lontano, sconosciuto e affascinante. Da quel fuori che era il mondo arrivavano notizie, messaggi, impulsi, stimoli che facevano crescere il mio senso di non appartenenza alla realtà paesana”.

Eppure il distacco, seppur desiderato non è stato indolore, perché in fondo “…lì (a SBiG ndr) ci stavo bene perché anche al paesello qualcosa di molto interessante succedeva. La magia di quegli anni risparmiava pochissime zone del mondo e i suoi luoghi culturali”. Ed inoltre, “nell’orizzonte ristretto e conosciuto del paesino” puoi sempre contare nei tuoi momenti di sconforto o di angoscia, il paesino ti rasserena l’animo e non vi si rinuncia mai a cuor leggero.

Gli anni trascorsi fuori dal borgo scorrono via velocissimi, appaiono e scompaiono amici e amiche, e la storia personale di Porpora si intreccia con quella dei movimenti LGTB. Conosce Pino Simonelli che gli fa conoscere l’ambiente dei femminielli napoletani, la più antica comunità travestita del Mediterraneo, conosce l’intolleranza della polizia quando verrà arrestato nel 1981, solamente perché vestiva in modo “extravagante”, ricorderà la morte di Walter Rossi, il primo campeggio gay in Italia nell’estate del 1979, la manifestazione trans a favore della legge 164.

Un viaggio meraviglioso, interrotto bruscamente dall’apparire dell’HIV.

Ma per dar coraggio a chi crede che il coronavirus sia la fine del mondo, affermiamo, che dopo l’interruzione per il virus che s’è portato via moltissime persone, e molti amici di Porpora, la vita è continuata ed il viaggio di Porpora è ripreso e continua tuttora.

Un libro da leggere in questi giorni di immobilità. Una biografia che si legge come un romanzo.

Ad Maiora Ariadeno

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