Riportiamo un articolo di Gianvito Pizzi sul sottile filo rosso che lega due storie: i ragazzi del 1899 ed i lavoratori della sanità di oggi.
Vi sono delle strade delle nostre città, a ricordarli.
E quando ci si imbatte, nel leggere la targa, a volte nasce curiosità.
“Chi sono questi Ragazzi del ’99?”
Personalmente, a prescindere dagli studi storici, ho avuto modo di conoscerli sin da tenera età. Quando i pomeriggi d’inverno, sul far dei 13 anni, sedevo sul divano del nonno avido dei racconti della sua vita.
Narrava che a 17 anni, in luogo di essere dedito ad un lavoro o agli studi, era con un grosso fucile che teneva con difficoltà a due mani, al fronte di una guerra.
Si trattava della Prima Guerra Mondiale e mi spiegava come – catapultato in prima linea di combattimento – faceva scorrere grosse cartucce in una grande mitragliatrice, affidata ad un militare esperto che sparava.
E mi mostrava la medaglia di bronzo ed il titolo di “Cavaliere di Vittorio Veneto”, che aveva conseguito per quelle gesta. Cavalierato che aveva affiancato, nel suo tinello, a quello “del Lavoro”.
Mi diceva che era stato vittima, durante il viaggio al fronte, anche dell’influenza spagnola, e che era stato adagiato su di un letto d’ospedale senza più speranze.
Ma che dopo una settimana il suo corpo aveva reagito e ne era uscito vivo.
Li chiamavano “la classe di ferro”, ma erano ragazzini. L’Italia ebbe bisogno di quei giovanetti in una fase difficile della guerra, dopo una disfatta bellica, che è entrata nel linguaggio comune quando si vuole indicare una situazione di totale disastro: Caporetto…