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giovedì, 21 Novembre 2024

1921: quando la politica a San Bartolomeo si faceva a revolverate – Parte seconda

Salvatore D’Andrea fu rinviato a giudizio perché, fedelissimo del Catalano, esplose alcuni colpi di pistola verso i seguaci del Bianchi, ma Agostinelli e Del Re, perché entrarono nel processo?

Tradotto in carcere appena dopo l’esplosione dei colpi il prete Battaglia si dichiarò innocente e accusò di aver sparato i colpi di pistola i sigg. Alberto Carmine di Rinaldo e Antonio Catalano di Pasquale.

I difensori di Carmine e di Antonio Catalano tirarono in ballo l’Agostinelli ed il Del Re e contro costoro deposero i testi Mansolino, Ricci, Pizzuto e Palumbo.

In seguito a queste testimonianze il Carmine ed il Catalano furono prosciolti e rinviati a giudizio furono invece Agostinelli ed il povero Del Re, un giovincello di poco più di 15 anni che aveva come unica colpa l’essere un seguace del mefistofelico prete Battaglia.

In realtà le deposizioni che avrebbero dovuto accusare il Prete, non erano così univoche come affermava l’avv. Cocchia, anzi la maggior parte erano discordanti e il Cocchia le liquidò semplicemente ed erroneamente affermando che i testi erano subornati dal Catalano.

Ciò che successe all’altezza di palazzo Landi dovette sembrare “strano” anche all’On. Bianchi il quale decise di non costituirsi parte civile contro gli accusati.

Il Bianchi il giorno seguente l’attentato, scrisse un telegramma al Ministro dell’Interno del Governo Giolitti V, lo stesso Giolitti, censurando l’attentato ed elogiando la gente di San Bartolomeo che in modo quasi unanime riprovò l’atto delittuoso.

L’avv. Cocchia, censura il comportamento del Bianchi, ma non lo spiega.

Altra stranezza, fu che il Del Re e l’Agostinelli in primo grado rinunciarono a difendersi. Il Cocchia attribuisce tale rinuncia alla loro fiducia nella Giustizia e alla indubitabile colpevolezza del prete Musolino, pertanto costoro erano sicuri che il Catalano in primo grado sarebbe stato condannato e loro assolti. Così scrive: “(Agostinelli e Del Re) pensarono che, innanzi alla Giustizia, il delitto comune, non avrebbe mutato natura, sol perché commesso per odio di parte. Supposero che il Prete Battaglia sarebbe stato giudicato alla stregua del suo carattere, dei suoi costumi, dei suoi precedenti penali: e che l’abito non avrebbe influito sul giudizio, per tesserato o no che egli fosse, per popolari o no che fossero i suoi amici, i deputati della sua regione, i ministri dello Stato!”.

Ci sembra una linea difensiva molto debole. Ci fermiamo qua nel giudicare la strategia processuale del Cocchia, non sappiamo se Agostinelli e Del Re furono condannati, possiamo però affermare che il prete Catalano fu assolto. Deduciamo ciò dai registri delle celebrazioni della Chiesa del Carmine, ove quotidianamente il Catalano si recava per celebrare messa insieme a suo fratello don Matteo dalla fondazione della chiesa fino alla loro morte negli anni ’40. Dai registri non emerge nessuna assenza prolungata del prete Catalano.

L’arringa dell’avv. Cocchia è una fonte storica importantissima sulla San Bartolomeo di un secolo fa e dei suoi abitanti.

Egli censura il comportamento del sanbartolomeano, sempre pronto a seguire l’uomo e non l’idea o la dottrina. In quell’anno il 1921, era sindaco l’amico del Catalano don Pietro Colatruglio, di espressione Popolare. Eppure la stessa maggioranza, ora popolare che appoggiava il Colatruglio, era socialista quando appoggiava il sindaco Palumbo.

È oggetto di ilarità per il Cocchia l’attaccamento della plebe ai capi ai quali è concesso di percorrere in politica tutta la scala cromatica, di seguire “un giorno Caserio, un altro Marx, ed un terzo …don Sturzo senza vedere disperso uno solo dei molti gregari”.

Il prete Battaglia non odiava dunque, i liberali, ma odiava una persona, il Bianchi. All’indomani degli spari verso il Bianchi, con il Catalano tradotto in carcere, i suoi seguaci lo paragonarono a Davide Lazzaretti (Il Cristo dell’Amiata), ma come ben affermava l’avvocato Cocchia fra i due c’era un abisso: Lazzaretti amava un Dio… Battaglia odiava una persona Vincenzo Bianchi; Lazzaretti cadde ferito a morte, immolando se stesso per un’idea, il Battaglia per puro caso non uccise per la sua smania di trionfare su un uomo.

Col Catalano in camera di sicurezza, i suoi discepoli, aderenti a Partito Popolare Italiano, cominciarono ad alzare i toni, ed affissero un manifesto dove le autorità diventarono “teppa assolata”, i RR. CC. “sbirraglia”, la Prefettura “connivente”, i funzionari “scherani”, tutti “delinquenti” che avevano manomesso la libertà del loro capo il Battaglia e contro i quali bisognava reagire, il testo completo così recita: “Sbirri e teppisti, unico corteo che seguiva Vincenzo Bianchi, si fermarono sotto i balconi della famiglia Catalano, avversaria decisa del Bianchismo, e cominciarono ad inveire ed insultare i sacerdoti appartenenti ad essa, invitandoli a scendere in piazza e minacciandoli di far loro la pelle… Alla provocazione continuata e crescente, Francesco Catalano, contro il quale fu lanciato dalla strada un bastone, rispose dal balcone ritorcendo dignitosamente gl’insulti, al che gli agenti provocatori contrapposero colpi di pistola… e di moschetto. Nessuno della famiglia Catalano ha sparato. Il corrispondente del Mattino e tutti quelli che dicono diversamente sono dei mentitori venduti.”.

In realtà, il Procuratore Generale permise al Battaglia, nonostante il parere contrario del Sottoprefetto, di tornar libero dopo qualche giorno e come il Cristo dell’Amiata, appena fu circondato dai suoi seguaci il Catalano esclamò: “…quanti vi sono carabinieri e militi, sono tutti miei, ed alla mia dipendenza, e non vi sono più ferri per potermi legare”.

Il Sottoprefetto interrogato su don Ciccio depose: “Mi è stato segnalato come il più astioso, ed il più esaltato del partito avversario di Bianchi: Cosa dettami anche dai suoi compagni di partito, che va sempre armato, che poco va in Chiesa, e molto si cura degli interessi del partito, e molto di altro”.

In quel “molto di altro” c’è una prima allusione alla vita boccaccesca del prete Catalano.

Nell’archivio diocesano di Lucera, è conservato sul prete Battaglia un piccolo dossier pieno di accuse sulla sua vita licenziosa e rissosa.

La seconda allusione sulla vita poco santa del prete Catalano è dedotta dall’avv. Cocchia dalle dichiarazioni del testimone D’Onofrio e dall’arciprete Saccone. L’arciprete conferma che il Catalano fa poca vita di Chiesa e anche il giorno della sparatoria non si presentò per recitare i Sacri Uffizi in Chiesa Madre, il D’Onofrio affermò che spesso per poter mangiare svolgeva dei servigi in casa del prete Musolino ove c’era la di lui perpetua moglie di un emigrato che esaudiva qualunque desiderio del sacerdote, inoltre come ancora afferma il D’Onofrio, il Catalano aveva molte “compagne di fede”. L’accusa di licenziosità colpì Padre Pio con le sue figlie spirituali, immaginate cosa potevano fantasticare su un sacerdote che non aveva mai fatto nulla per negare il suo “amore” per il gentil sesso. Il Catalano era un ibrido tra don Trajella di Cristo s’è fermato ad Eboli e il padre Ralph di Uccelli di rovo. L’avv. Cocchia accusò senza mezzi termini il Catalano di essere un manipolatore, poiché queste donne, anche a rischio della prigione, combattevano con lui la battaglia contro il Bianchismo.

Per corroborare la tesi di un prete Catalano bugiardo, subdolo, istigatore, violento, l’avvocato Cocchia raccontò l’episodio svoltosi poco prima della sparatoria che vedeva coinvolto insieme con il Battaglia, il D’Onofrio e il commendator Angelo Catalano (Di tanto, nella sfera sociale, superiore al prete suo omonimo).

Il commendator Catalano si apprestava a scendere all’ingresso del paese per accogliere il Bianchi, appena don Ciccio lo vide passare, rivolto al D’Onofrio gridò: “Attacca ‘o cane”, ingiuriando così il commendatore, considerandolo alla stregua di un cane, fedel servitore del Bianchi.

In realtà i fatti non erano proprio chiari. Il prete Catalano confermò di aver pronunciato tale frase, ma voleva significare al D’Onofrio di tener legato il proprio cane per evitare che potesse recar molestia al Commendator Catalano.

Noi crediamo che il prete Battaglia per sua indole i due colpi dal balcone li abbia esplosi, lo afferma il comm. Catalano, che però parla solo di alcune esplosioni senza far nomi, ma lo afferma anche il Consigliere Fusco, il D’Ariano, il cav. Pizzuti, il comm. Giella, l’avv. Campanella, l’Augelletta, considerati dal Cocchia la crema del paese.

Il dott. Rosa, amico di partito del Catalano, con la sua deposizione gli diede manforte poiché affermò di aver sentito i primi colpì di un revolver leggero, mentre gli altri erano più forti. Nella perquisizione in casa del Catalano fu trovato solo un revolver di cavalleria, oltre a cinque fucili, ma nessun revolver di piccolo calibro come ad esempio una Glisenti, arma molto in voga nel primo dopoguerra, ma che il Catalano non possedeva più poiché l’aveva venduta al tenente Buono qualche tempo prima.

Forse in tale deposizione troviamo la spiegazione della mancata costituzione del Bianchi quale parte civile nel processo contro il Prete. Forse chi sparò per prima furono i suoi seguaci e il Catalano si limitò a rispondere al fuoco, pertanto è possibile che il Bianchi non abbia voluto infierire sull’avversario politico per un episodio scatenato dai suoi fedelissimi, oppure semplicemente per proteggere i suoi fedelissimi da un’ulteriore indagine necessaria per accertare realmente i fatti e coinvolgere così anche i suoi seguaci nel processo.

L’avv. Cocchia lo spiega così: “Dall’alto della sua stirpe, egli (Bianchi)seppe compiangere e perdonare”.

Da ciò che abbiamo letto, crediamo che l’avv. Cocchia non si sia molto impegnato nel difendere l’Agostinelli ed il Del Re, e siamo contenti che a distanza di un secolo i tempi siano cambiati e benché accese, le competizioni politiche locali non sfociano in sparatorie.

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