Circa due mesi fa, abbiamo letto un piccolo libro scritto dall’avv. Gianfilippo Mignogna ex sindaco di Biccari, politico e persona molto attenta alle dinamiche dello spopolamento e dei suoi possibili rimedi. Il libro si intitola: “Dalla parte dei paesi” sottotitolo: “Appunti contro lo spopolamento”, ed è dedicato: “A chi tiene accesa la luce d’inverno”.
Il libro è interessante e chi ha a cuore le tematiche sullo spopolamento e suoi possibili rimedi dovrebbe averlo in libreria, anzi nel suo ebook, perché non c’è una versione cartacea. Lo abbiamo citato perché tra le sue pagine abbiamo letto che nel paese di Biccari sono riusciti a vendere ad italiani e stranieri 40 case. Case vuote, non più abitate, senza futuro che probabilmente sarebbero crollate poiché i proprietari le hanno ereditate dai nonni e non avevano nessuna intenzione di tornarci a vivere o trascorrerci qualche giorno in estate.
40 case possono sembrare poche, ma invece è un segnale di resistenza dal valore, non solo simbolico, altissimo. Su Famiglia Cristiana n° 12 del 23 marzo 2025 lo stesso Mignogna parla di 30 case riaperte, 30 luci accese, a cui si aggiungeranno le altre 10 e qualche altra che verrà venduta, il progetto è in continua evoluzione.
Siamo andati sul sito visitbiccari dove il progetto sulla vendita delle case è illustrato e abbiamo visto alcune case vendute, probabilmente sono state restituite a nuova vita o lo saranno. Case, non ce ne vogliano i proprietari, absit iniuria verbis, che se non fossero passate di mano, il passo successivo sarebbe stato il crollo del tetto ed il definitivo abbandono ed invece hanno un nuovo proprietario ed una nuova vita.

Noi non siamo stati così lungimiranti, il centro storico sta crollando sotto i nostri occhi. Qualche mese fa è crollato un altro tetto. Si rimuovono i calcinacci, si transenna per qualche periodo e si va avanti aspettando il prossimo crollo. Uno dei centri storici più vasti e meglio conservati della provincia di Benevento, secondo solo al centro storico di Sant’Agata dei Goti che si sta letteralmente sgretolando.
Crepe e rovina la fanno da padrone. Qualche anno fa, ci fu un intervento di ripavimentazione e di ripristino dei sottoservizi, troppo poco per salvarlo.
Vi sono case crollate che è impossibile salvare, un danno enorme, una ferita sanguinante a quel dedalo di stradine strette ove per secoli si è svolta la vita di San Bartolomeo.
Non ci vuole una sfera di cristallo per capire cosa succederà. Uno stillicidio di crolli che stravolgerà per sempre il cuore di SBiG. È già successo a Foiano, dove le ruspe hanno infierito sui resti delle case lesionate dai crolli dovuti al terremoto. È successo ad Africo dove a seguito di una frana il paese è stato abbandonato; è successo ad Apice a seguito del terremoto del 1962; è successo a Craco in Lucania. Roberto Pellecchia nel suo libro fotografico: “Borghi e centri storici abbandonati in Campania” censisce ben 43 abbandoni, tra borghi e centri storici. Leggiamo dell’abbandono del Rione Terra a Pozzuoli a causa del bradisismo, quasi 400 anni di storia terminati improvvisamente nel marzo del 1970. Castellammare della Brusca, abbandonato dopo la peste del 1656, peste che mise in serio pericolo anche la sopravvivenza di San Bartolomeo. Romagnano al Monte, abbandonato dopo il terremoto del 1980. San Giovanni del Tresino, abbandono spontaneo nel 1960; San Severino di Centola Vecchia, abbandono spontaneo durante gli anni ’70; Montecalvo Irpino, rione Trappeto abbandono spontaneo dal 1960 al 1980; Roccabascerana, centro storico, abbandono spontaneo dalla metà del ‘900; Circello, centro storico, abbandono spontaneo durante la metà del ‘900.
Gli abbandoni hanno cause naturali come terremoti, frane, sanitarie come una pestilenza, oppure antropologiche come un’invasione normanna o piemontese. E alla fine riusciamo a farcene una ragione, non si può andare contro forze molto più grandi e potenti di noi. Poi ci sono gli abbandoni spontanei, dovuti a una pluralità di cause che vanno dall’incuria da parte dell’uomo, a scelte politiche come spostare i servizi in zone più comode e facilmente raggiungibili per i tempi odierni, fatti di velocità, automobili e parcheggi, a scelte personali, perché è indubbio che potendo scegliere si costruisca o si è costruito in zone pianeggianti e spaziose. Il centro storico con il suo groviglio di viuzze strette e in salita paga dazio. Si è andato verso un impoverimento qualitativo e quantitativo del centro. E’ sotto gli occhi di tutti la quasi scomparsa di attività primarie ed anche secondarie. Chi non ricorda la miriade di attività commerciali lungo via Leonardo Bianchi, l’ultimo forno a paglia, che bisognava preservare ad ogni costo. Possiamo chiamarlo: progresso, scelte miopi, scelte lungimiranti, scelte comode, miglior qualità della vita, necessità di spazi maggiori. A prescindere dalla motivazione il centro storico muore. Lo stato di abbandono sembra irreversibile e totale, la natura si sta infiltrando con vigore negli spazi aperti dai crolli. Alcune case dirute contengono ancora oggi il mobilio e oggetti dell’epoca in cui c’era vita, in quella casa pulsavano dei cuori. Aggirandosi nei vicoli si vedono case integre e belle, sempre meno, accanto ad altre in procinto di diventare poco più che un rudere. È una morte lenta e forse per questo più dolorosa.
Forse sarebbe ora di intraprendere un’onesta riflessione sul futuro del nostro centro. Capire di che morte debba morire o se provare a salvarlo. Attuare un vero e proprio piano di rigenerazione urbana, effettuare una ricognizione dello stato dei luoghi, coinvolgere i proprietari degli immobili e progettare un serio risanamento. Sappiamo che non sarà semplice, ma l’alternativa è un lento crollo dello stesso, una situazione di pericolo permanente che si aggraverà sempre di più nel tempo, un disagio costante per quei pochi residenti che ancora vi abitano e che devono far fronte a infiltrazioni d’acqua sempre crescenti ad ogni crollo.
Oppure, ed è una soluzione draconiana, evacuiamo totalmente il centro storico e trasformiamolo in un nuovo cretto di Burri: il Cretto di San Bartolomeo in Galdo.

Siamo ben consci che non ci sarà più il centro storico della nostra infanzia, quei vicoli sovraffollati, dove la promiscuità con gli animali, sebbene al termine, il medioevo stava finendo anche a SBiG, era ancora visibile, dove le gattaiole erano ancora aperte, dove le porte erano spalancate in estate ed in inverno e chiuse al massimo da una mezza porta. Ed è meglio così, a volte i tempi andati sono considerati belli, soprattutto perché sono andati. Ma è pur vero che vederne la fine così repentina, è un colpo al cuore.
Forse non è tardi per agire e provare a far qualcosa, ma è bene sapere se si vuol far qualcosa.
Muore il centro storico, viva il centro storico.
Ad Maiora Ariadeno