In alto a destro sulla pagina iniziale del nostro sito, campeggia un banner che scandisce il un conto alla rovescia, segna il tempo che manca per il compleanno di San Bartolomeo.
Il paese nasce nel 1327, fra 380 giorni circa compirà 700 anni. Ci arriverà acciaccato, con intere via disabitate, con case che crollano, ma insomma, ci arriverà e sarebbe bello festeggiarlo tutti insieme, perché si può dire qualunque cosa di SBiG, ma non che ci abbia dato meno di quanto ha ricevuto da noi.
Sperando che l’idea dei festeggiamenti faccia breccia in tutta la popolazione residente e non, nell’Amministrazione comunale, nelle associazioni, noi continuiamo a portarci avanti e porgiamo un altro tributo alla storia di San Bartolomeo.
Nell’Archivio diocesano di Lucera, intenti a cercare altro, ci è capitato tra le mani un foglio del 1853 e un altro del 1873.
Nel primo foglio viene descritto lo stato delle cappelle urbane particolari e la loro frequenza.
Le cappelle urbane particolari erano piccole chiese vere e proprie all’interno dei palazzi dei cittadini più benestanti, che a modo dei nobili cittadini, avendone la possibilità, avevano costruito una cappella interna al proprio palazzo e potevano permettersi anche un cappellano.
Oggi sono tutte scomparse ad eccezione della cappella interna nel palazzo dei Catalano, ma circa 170 anni fa ce n’erano ben 6.
C’era una cappella interna nel palazzo Martini, e non poteva essere altrimenti visto che il palazzo era un convento dei Gesuiti. La cappella è andata perduta, all’epoca il cappellano della famiglia del Barone Martini era il canonico don Pietrantonio Iafaioli e celebrava messa nella cappella solamente “nel trattenimento della famiglia in Sambartolomeo”.
Il Barone Martini aveva le sue proprietà a San Bartolomeo, ma la sua vita la svolgeva a Napoli dove c’era maggior fermento culturale e non dimentichiamolo la Napoli borbonica era una delle città più importanti e vivaci d’Europa, anche se nel 1853 la tempesta stava avvicinandosi.
Un’altra cappella particolare era quella di Don Gaetano Martini, il cappellano era don Giuseppe D’Andrea.
I Catalano il cui paterfamilias era don Leonardo avevano al loro servizio quale cappellano don Saverio Braca.
La famiglia di Don Beniamino Braca aveva al proprio servizio per la loro cappella interna il canonico don Giuseppe Dota.
In casa della famiglia di Don Basilio Ziccardi il cappellano era il figlio don Michele Ziccardi e la messa veniva celebrata solo poche volte all’anno.
Nella casa della famiglia De Matthaeis il cappellano era don Antonio Pannone, ma la messa veniva celebrata solo quando la vedova dimorava in San Bartolomeo.
Alle cappelle urbane particolari si aggiungevano le cappelle rurali, nel foglio da noi trovato mancano molte cappelle rurali. Nei 150 anni che seguiranno ne scompariranno altre due.
Vi è la cappella di Santa Lucia che apparteneva alla Congrega della Carità i cui arredi sacri sono conservati nella Chiesa Madre e ad essa appartengono.
La cappella di Santa Maria ad Nives sempre di proprietà della Congrega di Carità ed anche in questo caso gli arredi sacri sono conservati in Chiesa Madre e ad essa appartengono.
La chiesa di Santa Maria ad Nives è crollata, ma è ancora visibile la sua pianta in cima al toppo Catalano. L’effigie della Madonna della neve giace all’interno del Palazzo Catalano, sarebbe bello ricostruire la chiesola come moderni San Francesco.
La cappella dell’Incoronata di diritto padronato, anche in questo caso gli arredi sacri sono conservati nella Chiesa Matrice e ad essa appartengono.
Infine la cappella delle carceri, in buono stato tranne “nello stipone dove è conservato l’altare, di che si è postato avviso al Sindaco”. Probabilmente il sindaco dell’epoca non dovette interessarsi molto della segnalazione e ciò non stupisce, visto che della cappella delle Carceri si è persa memoria.
Ancora auguri SBiG, per ora.
Ad Maiora Ariadeno
@ Foto di copertina di Aurelio Picciuto a cui va il nostro grazie

