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martedì, 3 Dicembre 2024

Castelmagno: le fortificazioni sannite

E’ ancora possibile trovare a Castelmagno resti di fortificazioni che sottolineano l’antica presenza dei Sanniti in questa località

Le fortificazioni sin dalla sua remota comparsa hanno rappresentato il rimedio ad una presunta carenza di combattenti in relazione al nemico di turno realizzata quasi sempre tramite movimenti di terra, o interposizioni di ostacoli di svariata natura ma realizzata con materiali reperibili in loco. Essa forniva una superfìcie interna non raggiungibile da eventuali aggressori, penetrabili unicamente attraverso un varco di ridotte dimensioni. L’inviolabilità, si stimò in funzione dell’altezza. Grazie ad ingegnosi schemi planimetrici divenne possibile ai pochi ad aver ragione dei molti. Questo rientrava in uno schema difensivo regionale, od etnico, alla stregua di strutture che fiancheggiavano e osteggiavano il vano d’ingresso vuoi di un castello, vuoi di una città. La coesione strutturale era fornita dalla sola massa di scheggiosi in pietra, che al crescere di quella aumentava la stabilità della costruzione. Alla presenza di concavità del terreno si conseguiva sbarrando i pochissimi accessi meno impervi, con muragliette a secco. Il trascorrere dei secoli, e forse dei millenni non produsse significative alterazioni ne concettuali ne formali negli arcaici “ricetti”. In realtà quello che alla logica militare romana sembrò uno schieramento difensivo esterno alle mura, demenziale per qualsiasi forza armata altro non fu che l’ennesima riproposizione dello schieramento offensivo tattico in funzione del quale i sanniti innalzavano le cerchie gradonate. Il perché, a sua volta, dipendeva quasi certamente dalla loro arma più temuta e micidiale: la sannia. I romani, infatti, si vantavano esplicitamente di mutare molti componenti del loro armamentario d’ordinanza da quando di più valido in quello nemico, ne ottimizzavano soltanto l’affidabilità migliorandone la qualità dei materiali standardizzandone le caratteristiche. E pertanto credibile che il pilum, o meglio la versione originale la sannia costituisce l’arma etnica degli irriducibili montanari sanniti pentri. Certamente i romani conoscevano la lancia ma quella sannita era di tipo diverso per l’adozione sistematica del propulsore flessibile, la correggia di cuoio. I rozzi pastori, scagliando dall’alto delle loro cime, munite di apposite piattaforme di lancia, le famose fortificazioni gradonate avevano inflitto gravissimi tributi di sangue agli atterriti assalitori, accreditando ad un contempo all’arma una terribile efficacia. La sannia e quindi il pilum non riceveva pertanto l’impulso motore tramite presa diretta, ovvero dal palmo della mano al suo rilascio analogamente alle usuali lance, ma attraverso la violenza sferzata dell’amentum, concludente la rapida traiettoria del braccio. La sollecitazione così impressagli costava di due componenti, delle quali una equivalente alla tradizionale traslativa, e l’altra, assolutamente inedita, rotativa. Entrambe in ultima analisi, contribuivano ad un vistosissimo ad un incremento di gittata e di stabilità, fornendo a quel singolare giavellotto le impressionanti doti di mortifera validità funestamente sperimentata dai romani. Questo ci consente che, la rotazione longitudinale del giavellotto fu perseguita per il sensibile aumento di gittata, valutabile superiore al 50% unitamente alla regolarità di traiettoria. Immaginando i guerrieri sanniti, schierati lungo le loro piattaforme di lancio, nell’atto di brandire la lancia attraverso l’amentum, aspettando solo che le formazioni ne- miche si portassero a tiro. Nel preciso istante in cui gli attaccanti penetravano all’interno della gittata, la fila più bassa scagliava una salva di dardi mortiferi, seguita a breve inter- vallo da quella più in alto, che completava la strage. Nessuna possibilità per i nemici di controbattere i lanci e per la notevolmente minore portata delle proprie lance e per esse- re il loro controtiro diretto verso l’alto. In caso di entità attaccanti particolarmente nume- rose per la rilevanza del caposaldo, la procedura trovava reiterazione lungo le successive cerchie con esiti globali facilmente intuibili.

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