Ho comprato un libro di Jelardi e Borrillo delle “Edizioni Realtà Sannita” nel quale gli autori narrano con buona maestria l’epopea del Cavalier Innocenzo Borrillo, creatore del famosissimo torroncino “bacio”.
Per rispondere alla domanda che mi son posto e che probabilmente vi starete ponendo anche voi, vi dico che il ben più famoso, ma non altrettanto buono “bacio perugina”, riconosciuto da un sanbartolomeano per un sammarchese è un attestato di stima che dovrebbe valere più di ogni premio che il grande Cavaliere ha ricevuto in giro per il mondo con la bontà della sua creazione, nascerà ben trent’anni dopo la delizia sammarchese.
Non è dell’affascinante nascita dei “baci” che voglio scrivere in queste poche righe, se qualcuno fosse interessato potrà ordinare il libro dal sito delle “Edizioni Realtà Sannita”, ma vorrei riportare alcuni spunti incrociati nel libro che in un modo o nell’altro riguardano il nostro borgo.
Molte sono le ipotesi sulla nascita del torrone, quella a parer mio più attendibile riportata dagli autori è attribuita allo storico Elio Galasso che in un articolo del 2011 sulla Gazzetta di Benevento scrive: “Sono stati gli arabi, più di mille anni fa, a insegnare la qubbat – la cupola – a tutti i popoli del Mediterraneo. Era un dolce impasto che, addensato dalla cottura e versato sulla tavola, prendeva appunto la forma di una cupola. In Oriente la facevano un po’ scura, con poca farina di carrube e nocciole frammentate, affogate in molto miele e albume di uova. Siccome diventava subito durissima, la frantumavano in pezzettoni, facilmente conservabili e trasportabili dovunque. Si diffuse così tanto che ogni paese fini di ritenerla di propria invenzione riservandola alle ricorrenze importanti. In Sicilia la chiamarono e la chiamano tuttora cubaita, a Benevento cupèta. È facile notare che entrambe queste parole mantengono la – u – dell’arabo qubbat. […] Non conosciamo il nome che gli arabi davano al torrone, però sappiamo che si trattava di una qubbat assai più delicata, che si scioglieva in bocca, destinata in particolare alle loro famiglie nobili nei Califfati di Baghdad in Persia, del Cairo in Egitto e di Cordova in Andalusia.
L’impasto di albume e miele, bianchissimo perché senza farina né nocciole frantumate ma con pregiate mandorle intere, veniva versato bollente sulla tavola, subito appiattito col matterello e tagliato a piccoli pezzi di forma quadrata, poi rivestiti di ostia per non appiccicare le dita dei signori.
Gli spagnoli dell’Andalusia, che ne copiarono la ricetta, chiamarono e chiamano tuttora quel dolce pasta turrada de almendras, cioè pasta tostata di mandorle, abbreviandolo poi in turrun. Insomma, ambedue di origine araba, la cupèta è casareccia e il torrone è la sua versione raffinata con nome spagnolo”.
E qui veniamo a noi, tra le più antiche famiglie di cupetari di cui si ha notizia nel Sannio ad inizio ‘800, primeggiavano per la bontà del loro prodotto i Zanchiello e i Ficociello. I primi forse sono estinti, o almeno, loro notizie in campo dolciario non se ne hanno, i secondi continuano l’attività degli avi con il loro laboratorio in via Costa a San Bartolomeo in Galdo.La ditta “Ficociello” è indubbiamente l’attività artigianal-commerciale più antica di SBiG. Se anche da noi esistesse un registro di botteghe storiche, l’iscrizione numero uno gli spetterebbe di diritto.
I sanbartolomeani sparsi per il mondo ci danno grandi soddisfazioni, si affermano nei più svariati campi dando gloria e onore alla loro terra natìa, noi nel nostro piccolo possiamo ricambiare con una deliziosa confezione di “Bartolomotti” o con la tradizionale “cubbet” della ditta Ficociello, alla quale auguriamo almeno altri 200 anni di attività.
Nel libro anzidetto è riportato un passo tratto dal Dizionario Corografico dell’Italia di Amato Amati del 1869 ove l’autore scriveva che “San Marco dei Cavoti capoluogo del Comune è una grossa terra fabbricata in luogo ameno a 18,500 metri da San Bartolomeo in Galdo”. In quell’epoca SBiG era capoluogo di circondario. Sic transit gloria mundi, un secolo e mezzo fa, per individuare la posizione geografica di San Marco dei Cavoti si scriveva che era un paese vicino a SBiG, 150 anni dopo, non è infrequente che si conosca più il paese del torrone che non il nostro San Bartolomeo in Galdo. Proseguendo nella lettura mi sono imbattutto nelle grandi famiglie proprietarie terriere di San Marco, fra queste vi era quella antica degli Jansiti. Non so quanto possa essere collegato con l’omonima contrada di SBiG sulla quale è sorto la neapolis post sisma, ma sulle antiche carte topografiche è riportato un antico casale appartenente alla famiglia medesima, che probabilmente è la stessa di San Marco che aveva anche proprietà nel nostro territorio.
Infine è riportata una locandina pubblicitaria del “Molino e Pastificio in San Marco dei Cavoti” di proprietà dell’avv. N.H. Giuseppe Cocca che recita: “Le paste fabbricate a 700 metri sul livello del mare, in clima salubre e temperato e impastate con acqua risultata ottima all’analisi chimica batteriologica eseguita dal celebre prof. De Giasca della R. Università di Napoli, sono tra le pochissime che possano sostenere il confronto con le migliori della riviera napoletana”.
L’avv. Cocca a SBiG divenne il notaio Cocca, morto nel 1954 e ora seppellito nella cappella della famiglia Campanella, ma questa è un’altra storia.
Editing: Brigante Lobonero