L’eolico è stata una grande occasione persa per le nostre zone. Qualcuno blatera ancora di energia pulita e ritorno economico, ma i numeri sono impietosi. Focalizziamo l’attenzione alla sola Valfortore: gli addetti diretti all’eolico sono circa un centinaio, la cifra che viene sbandierata quale royalties è di circa 2 milioni di euro, derivante dalla vendita di energia prodotta e dalla cessione di titoli energetici, a questi 2 milioni, bisogna aggiungere 1 milione di euro quale affitto che queste multinazionali pagano ai proprietari dei terreni ove sono ubicate le torri eoliche. Una elemosina. Pochi spiccioli per deturpare le nostre colline. Ma almeno l’energia elettrica la paghiamo meno, un ristoro economico sostanzioso dovremmo meritarcelo? La domanda sembrerebbe retorica, ma non lo è. Le imprese energetiche che operano su tutto il territorio nazionale vendono 1 Mwh al nord a € 54,91, al Sud a € 59,19.
Facciamo un esempio, secondo Terna, una piccola e media impresa (circa 15 dipendenti), ha un consumo annuale di 1500 MWh, se io a SBiG e Tizio a Conegliano in Veneto apriamo due fabbriche simili, io avrò un consumo energetico di € 88.785 (tralasciando oneri di sistema etc etc), il mio competitor di Conegliano a parità di consumo pagherà € 82.365. Tra tasse, Iva etc, il mio competitor settentrionale risparmierà oltre € 10000 sull’energia rispetto a me.
Eppure io ho le colline devastate dall’eolico, che “tanto benessere ha portato alle nostre terre” e gli abitanti di Conegliano, provano ripetutamente e senza fortuna a far entrare le colline del prosecco nel Patrimonio UNESCO.
Avremmo potuto cambiare le cose se avessimo agito come un unico soggetto e non andare come singoli comuni a contrattare con le grandi multinazionali del vento? Forse si, forse no. Ma questa è un’altra storia. Ora voglio raccontare qualcosa di simile successo oltre 50 anni fa a pochi chilometri da noi. Una brutta pagina di storia patria, sconosciuta ai più.
Tutto iniziò, anzi, tutto divenne manifesto il 13 maggio 1962 con un articolo su’ La Gazzetta di Foggia che recitava: “Una fonte di ricchezza – Metano in Capitanata – Importanti giacimenti sarebbero stati individuati a 20 km da Foggia – Concrete prospettive per la provincia”.
Questa fortuna capitata ad una zona depressa della penisola italica diede corpo a dei sogni per l’utilizzazione del gas: Usi tecnici e industriali, industria termoelettrica, usi domestici e civili, trasformazione chimica, trazione. In una parola più lavoro per tutti, blocco dell’emigrazione e benessere per le nostre zone.
Non bisogna mai fare i conti senza l’oste, passare dal sogno alla realtà a volte può far molto male. Non sappiamo quando il metano per usi civici è stato distribuito a Candela, Troia, Biccari, paesi direttamente interessati dall’estrazione del gas metano, ma possiamo dire che in alcuni paesi dei Monti Dauni, il metano ha impiegato 50 anni per percorrere poche centinaia di metri. San Marco la Catola festeggiò l’arrivo del gas metano per usi civici solo nel 2012, Alberona e Volturara solo nel 2017.
Scoperti i giacimenti di metano inizierà una guerra tra ENI sponsorizzata dall’on. Russo (DC) che offrirà come contropartita una fabbrica di caprolattame da ubicarsi a Manfredonia e la SNIA Viscosa e la Montecatini poi Montedison sponsorizzata dai socialisti che offrirà una fabbrica di catalizzatori e combustibili nucleari da ubicare a Biccari.
Frattanto la gente capisce che potrebbe essere la svolta per le nostre zone, ed aiutata da alcuni politici locali manifesterà a Foggia il 23 febbraio 1967.
I maggiorenti dei partiti, definiranno la manifestazione poco più che una scampagnata. Ricorda un po’ la definizione che i nostri politici locali diedero della manifestazione pro strade provinciali del febbraio dello scorso anno davanti agli uffici della prefettura dal comitato Viabilità Negata.
Nell’ottobre del 1967 qualcosa si muove: il CIPE annuncia che il petrolchimico sarà insediato a Manfredonia.
Nel dicembre dello stesso anno si inizia ad intuire cosa succederà. Il Presidente della SNIA annuncia al politico DC De Meo l’arrivo di un tecnico che dovrà studiare i terreni per l’insediamento industriale. Ma mentre comunica ciò, dà ordine di smobilitare gli uffici SNIA di Foggia.
Nel gennaio del 1968 il gas stimato in 40-50 miliardi di metri cubi di metano si avvia ad essere incanalato del tutto nei gasdotti ENI o Agip – SNAM.
Intanto il verbo costruire per le popolazioni locali sarà coniugato al futuro: l’ENI costruirà la piccola fabbrica di plastica a Biccari; l’Agip costruirà il suo IV Centro Petrolchimico a Manfredonia; la SNIA-Viscosa costruirà una fabbrica di pantalon press nella zona dell’Incoronata di Foggia.
Non succederà nulla per oltre un anno. Non un mattone verrà posizionato. I cacicchi locali hanno ottenuto promesse vane da rivendere alle popolazioni e le popolazioni sono ormai disilluse e scoraggiate per combattere.
Si registra però, una vasta mobilitazione nel maggio del 1969, mediante la formazione di “Comitati popolari unitari”.
La nascita dei “Comitati popolari unitari” e di ciò che avvenne dopo è un misto di umorismo, caso, determinazione, ferocia, disillusione. I personaggi che reciteranno una parte saranno molti e lo Stato mostrerà la faccia cattiva. E mi raccomando, dopo aver letto questa storia, non dovrete più parlare di indolenza meridionale, ma di impotenza meridionale.
Nei paesi, come anche il nostro, la gente si riuniva in due luoghi, il Circolo dei “Signori” da noi nominato “Frentano” e il Salone del barbiere; quest’ultimo come sappiamo, nell’Italia meridionale, è luogo di socialità, punto di incontro e ritrovo, scambio di idee, di dicerie, insomma dal barbiere c’era il vero fermento “culturale” dei nostri borghi.
Ora la politica la fanno gli uomini, nel dopoguerra la facevano le idee, c’erano i democristiani cattolici, i comunisti, i liberali, i repubblicani, i fascisti, i socialisti, i socialdemocratici, e quando la conversazione cadeva sulla politica, si accendevano gli animi.
Tutto questo successe anche la sera della nascita dei “Comitati popolari unitari” avvenuta as Ascoli Satriano nel Salone Cipolla di Michele Aliazzo, barbiere e forse musicista. Anche quella sera si discuteva di tutto, anche di Amministrazione comunale e non certo per dirne bene, finché qualcuno buttò lì una frase: “E quella questione del gas come è andata a finire?”. Non si sa chi fece la domanda, ovvero la storia lascia il campo alla leggenda, ma l’uditorio quella sera era composto da Cipolla alias Michele Aliazzo, “Lucio Moscano, giovane disoccupato tuttofare, vivacissimo; Potito Moscato, “il brigadiere”, piccolo coltivatore diretto dalla prorompente vitalità, “ammoinatore” per istinto e professione, nove figli, più qualche parente a carico; Giuseppe Salsarulo, emigrante di ritorno dalla Francia e disoccupato; Salvatore Rescigno, altro piccolo coltivatore, forse qualche altro ancora: tutti democristiani regolarmente iscritti e … regolarmente ai margini del partito”.
Si decise quella sera nella bottega del Cipolla di costituire il primo Comitato Popolare Unitario con una decisione che ha reminiscenze risorgimentali: non ci si può fidare dei signori politici e degli istruiti, hanno la tendenza sospetta all’arrendevolezza, a quella predisposizione al compromesso per il singolo e non per la comunità che secondo i fautori del primo Comitato hanno portato al fallimento della prima protesta.
Significativa la composizione socio-politica e lavorativa del primo Comitato: 12 democristiani, ovviamente quelli relegati ai margini, perché i sindaci DC fin da subito iniziano a vestire le divise dei pompieri, 6 comunisti, 2 socialisti, un social proletario e un liberale. Bisogna dire che il liberale è un operaio disoccupato e si ritrova ad essere liberale per quelle strane vicende politiche paesane che rendono meno monotona la vita nei borghi. Per quanto attiene al lavoro, abbiamo 7 coltivatori diretti, 6 disoccupati e 4 braccianti, da considerare disoccupati, 2 piccoli commercianti ambulanti, un muratore, un barbiere e un sindacalista. L’“intellettuale” del gruppo è Lucio Moscano fornito di licenza media inferiore.
Dal momento della scoperta dei giacimenti al 1969, le popolazioni locali avevano ottenuto dall’ENI, dalla SNIA e dalla Montedison solo promesse e nessun fatto concreto. Sotto la spinta dei Comitati Popolari Unitari, nel frattempo nati in ogni paese interessato dal Metano, si organizzò una imponente manifestazione volta a occupare pacificamente i pozzi metaniferi. Il 16 maggio 1969, ben quindicimila persone si diressero verso i pozzi, il capitano Cagnazzo dei carabinieri, consegnò ai capi della protesta le chiavi del centro di raccolta. Se uno ti consegna le chiavi della sua casa e tu entri, tecnicamente e legalmente non stai occupando niente. Tenete a mente questo episodio, perché è sintomatico di come lo Stato quando vuol fare la faccia cattiva non tien conto di nessuna norma.
All’occupazione pacifica dei pozzi, sono presenti cinque parlamentari, 4 comunisti e un democristiano Donato De Leonardis, il quale ha la mala ventura di rilasciare alla Gazzetta del Mezzogiorno, questa dichiarazione empatica verso la folla e critica verso le istituzioni e le società private e pubbliche che sfruttano già da tempo il metano: “[…] esistere nell’insieme una tensione anche psicologica, in quanto le popolazioni si sentono defraudate in una loro legittima aspirazione e considerano un vero e proprio furto il fatto che il metano trovato nella loro terra debba essere utilizzato esclusivamente in altre contrade, senza che ci sia stato finora alcuna contropartita… e, in più, l’esasperazione di aver ottenuto, specie dalla SNIA, solo promesse”.
Come sempre succederà quando un deputato meridionale prova a fare il bene delle popolazioni locali, l’on. De Leonardis, dopo una vigorosa strattonata dai vertici del suo partito e una voce non confermata di essere stato deferito ai probiviri del suo partito, sparì per un bel pezzo dalla circolazione, e non si occupò più di metano, ma solo di olio, vino e granaglie.