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Il Galantuomo

Era un donnaiolo. Pagava i favori delle donne con prebende pubbliche. Aveva un debole per le minorenni, era triviale e sboccato, definito da Carlo Dossi “violentatore di vergini” ed irrefrenabile “chiavatore”.

Eppure è considerato un uomo che ha fatto la Storia, un Genio, un Padre della Patria, e gli sono state dedicate ben 350 strade in Italia, soprattutto al Sud che lui ha maltrattato così tanto, ma che gli è rimasto fedele, tanto che lo votarono in massa quando furono chiamati a scegliere tra la sua famiglia e la Repubblica.

L’orazione funebre su Vittorio Emanuele II tenuta dal Segretario Comunale nella Chiesa Madre di San Bartolomeo in Galdo il 19 gennaio 1878 ne è un lampante esempio.

In morte di Vittorio Emanuele II

Flaiano scriveva che “L’italiano è bravissimo a correre in aiuto del vincitore”, il sanbartolomeano lo è di più.

Vittorio Emanuele II era persona gretta e meschina ed è stato, come tutti i Savoia un pessimo re d’Italia.

Ebbe la buona ventura di sfruttare in modo quasi coloniale l’allargamento del Piemonte durante il 1860. Ma di ciò non vogliamo scrivere, vogliamo invece sorridere insieme a voi della piaggeria del segretario comunale Giovan Vittorio D’Onofrio, probabilmente tifoso borbonico fino al 1860, convertitosi in un fiat a cantore delle gesta savoiarde.

L’orazione funebre, di cui riporteremo i passi più divertenti, passateci l’ossimoro funebre e divertente, ci è stata fatta leggere da Cristina Giuliani, erede Catalano, alla quale va come sempre il nostro immenso ringraziamento, perché attingendo dalla biblioteca Catalano possiamo far luce su molti aspetti della piccola storia del nostro paese.

Il segretario comunale aprì la sua orazione con una frase ad effetto: “Grave ed inaspettata sventura ha colpito l’Italia! …Un grido di terrore che ancor ci rimbomba negli orecchi, scoppiò in tutta Italia”.

Crediamo che in molte famiglie del Meridione d’Italia la morte del sovrano piemontese sia stata accolta con la stessa tristezza con la quale è stata accolta la notizia della morte di Elisabetta II in Argentina.

Il D’Onofrio proseguì con una breve biografia del sovrano, elencando le sue innumerevoli vittorie che portarono all’Unità italiana. Sappiamo invece, che l’esercito piemontese collezionò una serie lunghissima di sconfitte sul campo di battaglia e forse l’unica vittoria sanguinosa fu contro un branco di “straccioni” male armati dopo il 1860 nel Sud dell’Italia, quell’esercito di “straccioni e cafoni” che comunque diede filo da torcere per oltre 3 anni a quasi 200000 soldati.

Sfidando il senso del ridicolo il Segretario D’Onofrio descrive il piccolo sovrano piemontese come un novello Alessandro Magno, Carlo Magno e Pietro il Grande, un po’ come paragonare Mastella a De Gasperi, roba da TSO.

Ma il ridicolo Segretario va oltre; afferma che le guerre di Alessandro, Carlo e Pietro furono guerre di sangue, di stragi, di rapina, mentre le guerre del nobile Vittorio Emanuele furono guerre d’indipendenza, di libertà, se i primi “erano guidati dal demone dello sterminio”, il secondo era guidato dal “Genio benefico della civiltà”.

Sprofondando nel ridicolo vero e proprio il Segretario comunale declama dal pulpito della Chiesa Matrice che l’arrivo di Vittorio Emanuele II al Sud “segna le orme di civiltà e progresso; favorisce con ferrovie, strade e porti il commercio di dentro e di fuori… Ricostruire un vecchio edifico crollato e malagevole, e il Re Galantuomo lo rialza con rapidità meravigliosa”.

La domanda è d’obbligo: Dove viveva il D’Onofrio? Le strade, le ferrovie le stiamo ancora aspettando oggi. A San Bartolomeo nel 1878 si era ancora in pieno medioevo, quel medioevo che abbandonerà il borgo solo dopo il secondo dopoguerra, con l’arrivo degli Alleati. Con l’arrivo dei tanto vituperati “americani”.

Senza conoscere vergogna il D’Onofrio continua affermando che l’Italia prima del 1860 viveva sotto la mano ferrea della Tirannide, eppure basti pensare che ci furono più condanne a morte durante i primi due mesi di occupazione dei Savoia che non nei 170 anni di regno dei Borbone, ma tant’è… hanno vinto loro. Prima del 1860 l’Italia era un “doloroso ostello, un’aura morta-bujo d’inferno”, dopo con Vittorio Emanuele è divenuta “una madre accarezzata da tutti i suoi figli, una donna raggiante di vita novella” innalzata da Vittorio Emanuele stesso al “seggio delle grandi Potenze”.

L’Italia dei Savoia, in particolar modo l’Italia Meridionale è rimasta misera e stracciona, ha subito una vera e propria invasione, ormai acclarata, è stato applicato un regime colonialista che dura tutt’oggi, ma per il D’Onofrio Vittorio Emanuele “vivrà nelle sue opere, nelle sue gesta, nelle sue virtù”.

Carlo Dossi in alcune sue note scrive: “Si dice che una contessa B(…) di Udine, immiserita per la sua prodigalità, abbia prostituito una sua figlia di 13 anni a quel re viziatore di vergini che ha nome Vittorio Emanuele. Sta di fatto che la contessa oggidì spende e spande- e trae in carrozza la sua infamia pei pubblici passeggi di Udine”.Appunto 4595, pag. 616. Mi avvarrò, per questa nota, di molti omissis. Sarei imbarazzato a trascriverla integralmente.“Vittorio Emanuele fu uno dei più illustri … contemporanei. Il suo budget segnava nella rubrica donne un milione e mezzo all’anno, mentre nella rubrica cibo non più di 600 lire al mese. A volte, di notte, svegliatasi di soprassalto, chiamava l’aiutante di servizio, gridando “una fumna, una fumna!”

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