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giovedì, 21 Novembre 2024

Montefalcone ieri, oggi, domani

Montefalcone

Ieri, oggi e domani

Cinquantatre anni fa, sull’indimenticato mensile Voci di Casa Nostra fondato e diretto dal prof. Giuseppe Pizzi di San Bartolomeo in Galdo, fu pubblicata una rubrica per denunciare la situazione di arretratezza, di abbandono, di marginalità del Fortore. Noi abbiamo già ripreso e trattato gli scritti dell’immenso Rev. Arricale su San Bartolomeo e del sig. Mario Del Vecchio di Alfredo su Baselice.

Il 20 marzo del 1965 per la rubrica “Sannio sotto inchiesta” venne pubblicato un articolo di Antonio Zeppa sulla situazione di Montefalcone Valfortore.

Il prof. Zeppa esordì individuando il male delle nostre zone: l’arretratezza; e le cause: fattore ambientale e ragioni economiche.

L’autore affronta e smonta una vulgata che allora era molto in voga, ma che dura ancora ai nostri giorni. Il male che affligge le nostre zone dura da secoli e diviene ogni giorno più grave e si potrebbe attribuire all’apatia degli uomini, alla loro svogliatezza, ed il paragone diventa impietoso se fatto con la gente del Nord, che in condizioni climatiche peggiori riesce a fare impresa e raggiungere quell’agiatezza a noi negata. Insomma le cause sono queste: la differente latitudine, la nostra apatia in contrapposizione all’operosità settentrionale, il clima.

Ma è un’analisi superficiale, oserei dire bossiana – salviniana, che non reggerebbe ad una osservazione ravvicinata.

Anche il prof. Zeppa, ricordiamo che era il 1965, Molfese avrebbe stampato la “Bibbia” del Brigantaggio (Storia del Brigantaggio dopo l’Unità) solo l’anno dopo e De Jaco con il suo Brigantaggio dopo l’Unità sarebbe andato in stampa solo nel 1969, gli Aprile, i Di Fiore, gli Zitara erano lungi dall’essere autori di culto.

Mettere in dubbio gli effetti positivi dell’Unità era quasi una bestemmia in quell’anno, eppure il prof. Zeppa lucidamente scrive che dall’Unità al 1965 le nostre zone hanno ottenuto meno di niente: “una strada, cosidetta, rotabile che inerpicandosi per anfrattuosità e scoscendimenti attraversa la zona da Benevento a San Bartolomeo e, successivamente, due attacchi su questa: l’uno per Baselice, l’altro per Montefalcone – Castelfranco – Ginestra. Queste strade, che in ogni tempo hanno contato più frane che chilometri, dopo un secolo sono state bitumate, senza apportarvi alcuna variante per eliminare qualcuna delle numerose e paurose curve, per evitare alcuna delle numerose e disastrose frane”.

Insomma, con i Borbone avevamo una mulattiera, dopo oltre un secolo dai fasti dell’Unità avevamo ancora una mulattiera, dopo altri 60 anni la mulattiera persiste da San Marco a San Bartolomeo e nelle strade provinciali che dovrebbero collegarci con i vari paesi della valle.

Usando ancora le parole del prof. Zeppa: “Chi dal centro vuol raggiungere la Valfortore ci pensa su e poi … vi rinuncia.”.

Noi invece per raggiungere il centro lo facciamo solo quando costretti dalla necessità, che sia per la burocrazia, la sanità o il lavoro.

In uno stato di soffocamento, nelle strettoie in cui sono costretti, questi paesi possono vivere solo di stenti”.

Mi sembra di sentirlo il De Caro o chi per lui che ripete il mantra “Bisogna smetterla con l’abitudine tutta meridionale di piangerci addosso”.

La risposta dello Zeppa è eloquente: “Non si dica che il ritornello solito degli arretrati è quello di aspettare sempre dall’alto; per noi non si può dire sempre perché non abbiamo mai avuto”.

Ieri come oggi fu la gente di Montefalcone a tentare di dare un’organizzazione ai paesi della Valfortore per chiedere il nostro. Nel 1962 fu l’allora Sindaco ad organizzare a Montefalcone il I convegno dei sindaci della zona “… per affrontare, concordi, i tanti problemi di interesse comune”.

L’adesione e l’entusiasmo faceva prevedere ottimi risultati, ma al primo incontro non seguì mai il secondo da indirsi in altro paese, qualche interferenza politica frustrò l’iniziativa e si ebbe il fallimento della stessa. I politici di ogni schieramento hanno continuato a considerare la Valfortore bacino elettorale usando come mezzo un perpetuo stato di lentissime realizzazioni e permanente speranza del meglio, perché costruire hic et nunc un ospedale, quando mettendo un paio di mattoni all’anno e lasciando sperare nella sua conclusione possiamo abbindolare i valligiani per oltre 60 anni? Ora la campagna sull’ospedale è considerata farsesca anche dagli aspiranti alla nuova Camera ed al Senato per le elezioni del 4 marzo, ma promettere la strada è considerata ancora una carta da spendere, e così via ai milioni di euro per la famigerata fortorina.

Eppure oggi come allora il prof. Zeppa, noi non chiediamo infrastrutture faraoniche per poter sopravvivere, noi chiediamo solo “strade comode, sicure e ben tenute. Saranno poi le strade che consentiranno lo sviluppo sociale ed economico non solo di Montefalcone, ma di tutta la Valfortore”.

Facciamo nostro l’invito conclusivo del prof. Zeppa: “Ci piacerebbe non sapere più la Valfortore prototipo delle zone sottovalutate, non saperla più riserva elettorale, località di funzionari in disgrazia, zona di confino per cittadini da epurare; ma centro di iniziative feconde di benessere in campo agricolo, armentizio, caseario alberghiero”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*Foto presa dal profilo facebook di Giuliano Lucarelli

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