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venerdì, 19 Aprile 2024

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Servo di Dio Padre Antonio Maria Dota OFM

Il processo di canonizzazione nella Chiesa Cattolica inizia con una domanda posta dal Postulatore alla Santa Sede affinché vengano dichiarate le eroiche virtù della persona che si vorrebbe innalzare alla gloria degli altari. Segue un iter ben definito. Se la Congregazione per le Cause dei Santi reputa la domanda fondata autorizza il Postulatore a proseguire nel suo cammino, da allora la persona in concetto di santità sarà definita “Servo di Dio”. La dichiarazione di “Servo di Dio” è il primo gradino che porta alla canonizzazione vera e propria, il secondo è la dichiarazione di “Venerabile” il penultimo è la dichiarazione di “Beato” ed infine si arriverà alla dichiarazione di “Santità”.

Non abbiamo santi nativi di San Bartolomeo in Galdo, né beati, ma possiamo annoverare alla nostra popolazione il Servo di Dio Padre Antonio Maria Dota OFM, frate minore.

Salvatore, questo era il nome al secolo del futuro Padre Antonio, nacque a San Bartolomeo in Galdo l’indomani dell’Unità d’Italia, il 4 febbraio del 1863 da Alberto e Maria Longo. La famiglia era modesta, viveva una povertà dignitosa, trasformatasi in miseria vera e propria con le riforme fiscali e l’abnorme tassazione imposta dai nuovi padroni piemontesi.

Salvatore doveva essere un ragazzino davvero intelligente e pronto ed in lui la vocazione francescana dovette essere davvero sincera, tanto che fu preso sotto l’ala protettrice di P. Luigi Cascioli OFM di Roseto Valfortore che in futuro sarebbe diventato Ministro Provinciale dell’ordine dal 1880 al 1884.

L’entrata in convento di Salvatore sembrò svanire quando morì il padre e lui divenne l’unico sostentamento per la madre vedova, una sorella, ma soprattutto un fratello disabile. Salvatore dovette industriarsi per procacciare la sopravvivenza alla famiglia. Egli diede subito prova di essere speciale, in pochi anni apprese sia il mestiere di sarto che di barbiere flebotomista, coloro che applicavano le sanguisughe, oggi ci vogliono tre anni di università per poterle applicare. Imparò a suonare il clarino e, all’epoca la tradizione bandistica era molto forte nelle nostre zone, tanto che una delle migliori bande del Meridione, e di conseguenza d’Italia, era quella di Roseto Valfortore, in breve il maestro Venturini lo nominò capobanda.

Ma la vocazione non venne mai meno, e quando il Signore chiamò a sé il fratello disabile e potendo la madre e la sorella provvedere al loro bisogno, ripresentò domanda per essere ammesso nell’Ordine francescano.

Aveva ormai 27 anni. Fu accolto nel convento di Casalbore e il 12 settembre 1889 ricevette l’abito religioso dal M.R.P. Erminio Colella da Vallata, allora Ministro Provinciale. Sebbene maturo, P. Antonio colpì i superiori per la grande Fede, la fortissima vocazione, l’immensa umiltà, tanto che quando P. Ezechia Pagliuca da Montefalcone presentò al Ministro provinciale un nuovo giovane scrisse: “Mi pare, per la vocazione, un secondo P. Antonio Maria Dota. E, avendo così detto, non aggiungerò altro”.

Padre Antonio dimostrò negli studi, una voglia di apprendere ed una capacità fuori dal comune, sebbene, data la sua età “veneranda” dovette accelerare i corsi; il 18 ottobre 1890 terminato l’anno di noviziato, consacrò la sua vita a Dio con i voti semplici. Il successivo 18 luglio 1892 emise i voti solenni ed il 4 settembre dello stesso anno fu ordinato sacerdote.

Vista l’età matura, appena ricevette il sacramento dell’Ordine, fu mandato nel convento di Montecalvo Irpino con l’incarico della formazione dei novizi. Tale incarico non lo abbandonerà più per il resto della vita: dal 1905 al 1908 lo ricoprì nel convento di Biccari, dal 1911 al 1915 nuovamente nel convento di Montecalvo, dal 1923 sino alla morte avvenuta nel 1937 nel convento di Vitulano.

La vita francescana nel Sannio assunse un’organizzazione diversa a seguito del decreto “Nulla fortassis” del 10 luglio 1899. I conventi della provincia civile di Avellino, si riunirono nella Provincia francescana del Principato, i conventi della provincia di Benevento furono aggregati alla Provincia Terra di Lavoro, San Bartolomeo, benché si trovasse nella provincia di Benevento fu annesso alla Provincia di San Michele Arcangelo di Puglia.

Dopo appena sette anni di sacerdozio, P. Antonio fu eletto Definitore Provinciale e il 2 luglio 1902, a soli dieci anni di distanza dal sacramento dell’Ordine fu eletto Ministro Provinciale. Fu rieletto Ministro Provinciale nel 1908 e rimase in carica fino al 1909, quando fu eletto nel Definitorio Generale dell’Ordine Francescano. P. Antonio in soli 17 anni, era arrivato ad un passo dall’essere eletto successore di San Francesco, sarebbe stato bello vedere il suo nome scritto sullo stesso foglio con quello di Giovanni Parenti, Fra Elia da Cortona, Bonaventura da Bagnoregio.

Ignoro, se vi siano stati religiosi di San Bartolomeo che nel corso dei secoli abbiano raggiunto tali vette nelle gerarchie ecclesiastiche, io conosco solo P. Antonio Dota.

Nel processo di canonizzazione ancora in corso, così il Postulatore racconta tale elezione: “L’umile religioso, che, venuto su dalla modestia di una povera casa, aveva desiderato vivere nel nascondimento, saliva così alle primarie cariche dell’Ordine”.

Nel 1911 il Sommo Pontefice Pio X nominò un nuovo Ministro Generale e un nuovo Definitorio e P. Dota si affrettò a tornare tra i suoi monti, nel frattempo lo stesso Pio X aveva costituito con decreto dell’8 maggio 1911 la nuova Provincia Francescana di Santa Maria delle Grazie con sede a Benevento alla quale il convento di San Bartolomeo fu annesso.

Riprese la sua missione di Maestro dei novizi, ma non trascurava mai la celebrazione della Santa Messa, che anzi, era particolarmente affollata quando era lui a presiederla.

L’ora più solenne della sua giornata era quella in cui celebrava la S. Messa. Il suo aspetto era devoto e raccolto; il suo procedere, senza fretta e senza ritardo; nessuna affettazione nel tono della voce e nei gesti; preciso negli orari di inizio e negli impegni assunti con il popolo. Ma attraverso tutta questa sobrietà esterna, si percepiva l’eccezionale fede e amore interno. Molti fedeli, immancabilmente, affollavano il suo altare, conquistati dalla sua pietà”.

Aveva un naturale amore per il prossimo e si prodigò soprattutto per gli umili ed i semplici. La sua conoscenza musicale lo portò a dirigere il coro dei novizi e a farne strumento perfetto di lode a Dio. Non ebbe cedimenti sulla via della castità ed accettò con serafica rassegnazione le malattie che lo colpirono negli ultimi anni della sua vita. Perse l’uso della vista e soffrì di forti dolori reumatici che gli impedirono al tramonto della sua esistenza terrena una sufficiente mobilità.

Affetto da malattia prostatica il medico gli consigliò una visita in una clinica napoletana, egli per non dar fastidio ai suoi confratelli, ormai settantaquattrenne, si allontanò da Vitulano, solo e senza chiasso, sottoposto ad un intervento chirurgico il suo fisico già provato subì un aggravamento.

Ricevuti gli ultimi sacramenti dal P. Guardiano di Vitulano “si addormentò nel bacio del Signore il 19 novembre 1937 all’età di 74 anni”.

Il Ministro Provinciale dell’Ordine ricevette le condoglianze dall’allora Podestà di San Bartolomeo in Galdo l’avv. Ignazio Saccone e in risposta scrisse: “È stata una amara perdita quella del veneratissimo P. Antonio Dota: il lutto nostro è stato anche lutto dell’intera cittadinanza di San Bartolomeo. Il M.R.P. Dota onorava con la sua grande bontà ed elevatezza intemerata della sua vita il nostro ordine e il suo paese natio al quale era santamente attaccato e di cui auspicava sempre dal Signore il progresso civile e insieme la fermezza antica per la religione e la pietà cristiana. Possa ora egli benedire dal cielo la patria sua e ispirare sentimenti come i suoi a tutti i frati natii di codesta cittadina.”.

Il 18 aprile del 1940 le mortali spoglie del venerato P. Dota furono traslate da Napoli alla chiesa del convento di Vitulano.

Molte le grazie che vengono attribuite alla sua intercessione: il cantoniere Marco Rapuano di Cacciano aveva il figlio malato di bronco-polmonite e dichiarato dai medici in pericolo di vita, si affidò a P. Dota e la mattina il figlio guarì; il medico Michele Pacelli certificò che il bambino Gennaro Viglione di mesi 5 presentava sintomi di una grave intossicazione alimentare e disperava di poterlo salvare, i genitori pregarono P. Dota e il dott. Pacelli con meraviglia di medico attestò che il bambino era misteriosamente guarito.

Pace e Bene et Santa Fede Ariadeno

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