San Bartolomeo in Galdo, prospera cittadina della provincia di Benevento situata al confine con la Puglia e Molise, occupa un posto di rilievo tra le località più suggestive ed incantevoli del Fortore. E’ situata a m. 585 s.l.m., posta geograficamente all’estremo Nord della Regione Campania, dista km 67 dal capoluogo Benevento e conta attualmente 4644 abitanti. Il territorio di San Bartolomeo in Galdo è posto all’estremo limite della provincia di Benevento ed è limitrofo a quelle di Foggia e Campobasso. Le sue origini sono piuttosto remote e in tempi antichi fu una rocca dei Sanniti. Il territorio attuale di San Bartolomeo in Galdo, costituito da quattro ex-feudi, si ipotizza che sia stato abitato anche dai Liguri1.
Le parole “San Bartolomeo in Galdo” accoppiano due idee, di una chiesa cristiana e di un bosco: il nome del Santo ci rimanda al culto diffuso dal principe longobardo Sicardo, che, nell’838, portò in Benevento le reliquie dell’Apostolo, sottratto ai Saraceni dell’isola di Lipari; il toponimo, invece, ci ricorda l’istituzione longobarda del “gualdum”, e “galum”, unità economica agricola, ricavata dalla colonizzazione di un bosco (wald), con una sua corte rustica e le sue varie presenze umane di lavoro. I trasferimenti forzati di intere popolazioni da una parte all’altra dell’Italia incominciarono presto, e interessarono il Sannio più di qualsiasi altra area…nel 180 gli Apuani vennero là forzatamente trasferiti dall’Italia settentrionale. Complessivamente, 47.000 di essi vennero insediati sull’Agro Taurasino, dove formarono due comunità, i Liguri Bebiani e i Liguri Corneliani. Ai longobardi subentrarono i Normanni, ai Normanni gli Svevi, i gastaldati si mutano in contee. Nel 1255, allorché le truppe pontificie comandate da Iacopo Savello vi sconfissero i saraceni di Lucera, il borgo San Bartolomeo in Gualdo fu distrutto e il suo territorio dato alla badia benedettina di S. Maria a Mazzocca, di cui segue le vicende.
Con l’avvento degli Angioini (1266), i fattori di distruzione si moltiplicano. Un susseguirsi di conflitti si abbatte sulle “terre” dell’abazia, ma l’abazia resta. Nel 1326 l’Abate Nicola da Ferrazzano delibera la fondazione di San Bartolomeo in Galdo e ne chiede l’assenso al re di Napoli, Roberto D’Angiò. Nel 1327 Roberto D’Angiò ordinò la ricostruzione del borgo e all’inizio del periodo commendatario, intorno al 1498, la sua popolazione crebbe per l’aggregazione degli abitanti delle comunità di S. Maria in Castelmagno, S. Maria in Ripa, S. Angelo in Vico.
Il feudo di Castelmagno esisteva già nell’ottavo secolo ed è citato in vari documenti di epoche successive. Fu, probabilmente, sede dei Liguri Bebiani o Corneliani, che i Romani obbligarono a trasferirsi nel Sannio, come dimostrano le iscrizioni rinvenute nella zona e il “cippo funerario in onore di Giunone” risalente al 198 d.C., prezioso reperto venuto alla luce in località Castelmagno zona “Le Taverne” agli inizi del 1989 e collocato, a cura dell’Amministrazione Comunale, dapprima nella biblioteca comunale “Gianni Vergineo” e successivamente nel Museo Civico Castelmagno inaugurato il 1 ottobre 2010. A Castelmagno sono state ritrovate testimonianze di insediamenti di età preistorica, monete di epoche successive, resti di fondamenta e di mura perimetrali, statuette, epigrafi, lucerne ed ossa umane. E mentre la nuova realtà urbana di San Bartolomeo in Galdo cresce e si definisce, in posizione elevata, sul dorso di un colle subappenninico, erta sul fiume Fortore, il nucleo abitato si corona di mura e di porte, di torri e di fortificazioni. Da Porta della Croce, che segnava a Sud l’inizio del vecchio abitato, si estende verso l’alto, sino alla formidabile Rocca, che oggi forma il campanile della Chiesa Madre con la sua strana cupola moresca. Il borgo originario, ora centro storico, è ritmato da cinque porte turrite: Porta della Croce, Porta Vicaria o Portella, Porta Murorotto, Porta S. Vito, Porta Provenzana (che ha ancora nel nome il ricordo dei provenzali). Nel corso dei secoli fu feudo dei De Capitaneis, dei Guevara, dei Carafa, dei Ferrante, dei Gonzaga, dei Caracciolo e degli Spinelli. Il suo nucleo urbano si arricchisce di mura, palazzi nobiliari, porte, torri e fortificazioni. Nel 1647, durante la rivoluzione di Masaniello, la popolazione insorse come in tutti i paesi vicini, ma la sedizione fu spenta anche qui nel sangue. Il paese è messo a dura prova da flagelli di ogni genere: terremoti, epidemie, accidenti meteorologici. La peste del 1656 è una sciagura apocalittica. Nella popolazione si formano vuoti spaventosi. Da 567 famiglie nel 1595, dopo l’epidemia, se ne contano solo 274. Ma poi per fortuna la cittadina si riprende e supera la crisi demografica. Nel suo nuovo slancio espansivo, sente anche la necessità di un tempio più degno della sua importanza civile e nel 1703 fonda l’attuale Chiesa Madre. Nel 1732 risulta Signore del feudo il vescovo di Volturara Appula. Cessata la dominazione gesuitica, con la soppressione dell’ordine (1768), San Bartolomeo in Galdo diventa città regia allodiale e tutta la sua vita si svolge sotto il patronato regale.
Verso la fine del 1700 il cardinale Antonio Gurtler, abate commendatario di San Bartolomeo in Galdo per dieci anni (1782-1791) e regio governatore, confessore della regina Maria Carolina Arciduchessa D’Austria, urbanizza l’area esterna alla Porta S. Vito, creando piazza S. Vito (attuale piazza Garibaldi) con una meravigliosa fontana centrale di marmo (1791), rimossa durante il fascismo. Nel periodo “francese” di Gioacchino Murat (1767-1815) avvengono cambiamenti sconvolgenti, tra i quali l’abolizione del sistema dei feudi e la soppressione degli enti ecclesiastici non aventi cura di anime, con conseguente crescita del numero dei proprietari e l’aumento delle dimensioni della proprietà. La cittadina dà nell’insieme una testimonianza di stabilità, di benessere e di sicurezza sociale. Essa non conosce né il fenomeno migratorio né il pauperismo. Il suo destino di feudo ecclesiastico e poi di demanio regio distingue San Bartolomeo in Galdo dagli altri feudi della Valfortore, governati da feudatari laici e perciò condannati ad un’amara sorte di spregiudicata compravendita. San Bartolomeo in Galdo ha fatto parte della Capitanata per poi essere aggregata alla provincia di Benevento dal 1861, in virtù del decreto Luogotenenziale emanato il 17 febbraio dello stesso anno dal principe Eugenio di Savoia, ed è stata residenza estiva dei Vescovi di Volturara Appula, comune limitrofo della provincia di Foggia. La cittadina con la soppressione della Curia Vescovile di Volturara Appula, a cui apparteneva dal 1330, entra a far parte religiosamente della diocesi di Lucera dal 1818 per poi far parte della Diocesi di Benevento dal 1983.
1Liguri Bebiani e Liguri Corneliani. Cfr. John Patterson “Sanniti, Liguri e Romani”- Ed. Comune di Circello, 2009. Livio ci narra che la comunità dei Liguri trasferiti, era conosciuta come Liguri Bebiani e Liguri Corneliani e ciò dai nomi dei due consoli Marco Bebio Tanfilo e Publio Cornelio Cetego. Plinio in un suo scritto del primo secolo d.C., fa riferimento a loro come “Ligures qui cognominantur Corneliani et qui Baebiani” (N.H. III 105). Allo stesso modo il Liber Coloniarum cita i “Ligures Bebianos et Cornelianos”. La scoperta della Tavola Alimentare identificò la città dei Liguri Bebiani; ma dove si trovano i Liguri Corneliani? Alcuni hanno sostenuto che esisteva una città a parte dei Liguri Corneliani, sulla base della testimonianza fornitaci da un’epigrafe di Allifae del secondo secolo, che fa riferimento ad un “Curator” dei Liguri Corneliani. Diversamente l’ubicazione (o la stessa esistenza) della città dei Liguri Corneliani è un vero mistero, sebbene taluni hanno suggerito che questa si sarebbe trovata vicino Castelvetere Valfortore. Cfr. E.T. Salmon “Il Sannio e i Sanniti” – G. Einaudi Ed. Torino, 1985. Livio XL 38 e 41 “Le rovine del centro urbano dei Liguri Bebiani si trovano nel bosco situato a circa 3 Km dalla moderna Circello”. Nella regione degli Irpini vi erano… e la città vicino alla moderna Circello che fungeva da centro amministrativo dei Liguri Bebiani. Cfr. Giuseppe Procaccini “Cenni storici sulla terra dei Panni” – Ed. Napoli, 1881. Un’antica carta geografica murale presso la De Agostini di Novara illustrante la Regione II Augustea, di cui è riprodotta una copia nello stesso volume del Procaccini, situa approssimativamente i Luguri Corneliani nella Val Fortore, nei pressi di San Bartolomeo in Galdo (BN). Cfr. Prof. Gianfranco De Benedittis, docente di Topografia Antica presso l’Ateneo molisano e autore di pubblicazioni sulla storia del Molise e del Sannio.