Ero nel campo sportivo di San Bartolomeo in Galdo, in un primo pomeriggio dei miei 13 anni e mentre mi apprestavo all’uscita, sentii provenire un vagito da una grande radio, inforcata dalle mani di un signore: “Prova….prova…” In tale epoca, le emittenti radiofoniche erano stentoree, perentorie, con voci baritonali che leggevano radiogiornali, oppure emanavano dialoghi compiuti. Eppure sentivo frasi dinoccolate.
Chiesi lumi al signore e di rimando mi rispose: ” È la radio di San Bartolomeo”. Rimasi perplesso, incredulo. Ebbi poi modo di informarmi che l’emittente radiofonica del paese, c’era.
Siamo nel novembre del 1976, a meno di 4 mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale, che aveva sancito di fatto la nascita delle cosiddette “radio libere”. Ebbene, un comune dell’entroterra campano, per giunta in un punto impervio dell’Appennino, con quella radio, si era uniformato ad un fenomeno che proliferava soprattutto nelle più aree più significanti della nazione.
Un fatto quasi relegato all’oblio e che merita attenzione e riconoscimento. Un evento mai approfondito e spesso relegato a marginalità.
Allora mi sono fatto buon carico di raccontarne la storia, ascoltando la voce dell’autore di quel progetto e di molti dei partecipanti
Lo faccio io, coinvolto prima da ascoltatore poi come speaker, in quel “volo magico di una farfalla”, che è stata Radio Onda Fortore.
Opero da decenni nel campo culturale, sono uno scrittore professionista, ma in questa circostanza, metterò da parte i tecnicismi, i crismi linguistici e narrativi, per lasciare spazio ad una libertà, ad un agio di racconto, pari all’entusiasmo di quegli anni.
Tornando a quei vagiti, dopo qualche settimana, tentai un contatto con quel mondo. Ed iniziai ad esplorare l’austera radio di famiglia, in cerca della modulazione di frequenza (Fm), vieppiù sconosciuta. Ero scettico che vi fosse, invece la individuai tra varie righe prodighe di numeri. Ma mi avvidi che copriva la captazione dei segnali dagli 88 ai 104 Mhz. Radio Onda Fortore era sui 106. Allora chiesi a mio padre di comprare una radio nuova. E lui mi fornì di una modernissima Grundig.
Dopo aver effettuato ascolto per qualche tempo, più che altro di mera musica, appena intercettai un programma in voce, pensai fosse giunto il momento di recarmi nella sede dell’emittente. Atto ardito perché, appunto, non conoscevo nessuno in quel contesto. E tramite qualche domanda, scoprii che essa era fuori dalla cinta del paese, in una delle prime abitazioni che timidamente s’incuneavano verso il rione Ianziti. Così un pomeriggio mi recai ivi, bussando inopinatamente alla porta. Mi aprì un giovane di circa venti anni e gli chiesi se potevo visitare la radio. Così m’introdusse nella stanza che si apriva al mio sguardo. Francamente mi aspettavo che le radio fossero strutturate in due ambienti: uno dedicato alla parte tecnica e l’altro allo speakeraggio. Ma quel vano risultò essere il contenitore di tutto. Con a destra una costruzione in legno, dove si ergevano due giradischi e uno strumento a me sconosciuto e sulla sinistra tanti piccoli scaffali, che contenevano dischi.
Abituato alle pompose telecamere Rai dell’epoca, che comparivano nelle pieghe dei programmi, con l’operatore assiso in alto, munito di cuffia e con il camice bianco, avevo proiettato tanta complessità nel mondo delle radio libere. Esse invece erano l’opposto: semplici, immediate, efficaci, versatili, allegre, simpatiche. Quelle ideologizzate erano rare.
Lo speaker che mi accolse, era un giovane garbato. Alternava con speditezza un disco ad un breve intervento. Mi disse di chiamarsi Erminio e che compiva studi giurisprudenziali nella capitale.
Gli chiesi se potevo tornare all’indomani. Acconsentì. E così ogni pomeriggio mi presentai all’appuntamento, ben accetto. Perdurò per circa due settimane.
Ma mettiamo da parte, per il momento, il mio rapporto con la radio e veniamo alla sua genesi.
Il realizzatore del progetto si chiama Piero Ruggiero, classe 1956, quindi all’epoca di soli 20 anni. Ho principiato le numerose domande che gli ho posto, con la curiosità cardine, ovvero quando è nata l’idea di aprire una radio. E la sua risposta è stata analoga alla mia circostanza sui vagiti nel campo sportivo.
Era militare in quel di Viterbo ed un giorno ascoltò dall’apparecchio ricevente di un signore, una voce non aderente a quell’italiano geometrico degli speaker Rai. Anzi gli era parsa una parlata con un eccesso di rimarcanza dialettale. Rimase sorpreso e gli venne detto che era una radio locale. Quella circostanza gli fece scattare una scintilla. E quando venne trasferito a Foggia, individuò l’unica radio presente in città ed andò a visitarla.
Fu il suo primo contatto con una radio libera. Una fulminazione. E chiese speditamente agli astanti dove avevano comprato l’attrezzatura. Il negozio era proprio in tal città e quando vi si recò iniziò a porre le basi per l’acquisto di un trasmettitore. Quello si può definire il momento zero: nasce Radio Onda Fortore.
Finito il sevizio di leva, comprato il trasmettitore, con un socio con cui si separò dopo pochi mesi, era pronto ad impostare tutto a San Bartolomeo. Piero Ruggiero era già un esperto di elettronica e sapeva far tutto da sé. Un notevole vantaggio.
Si avvalse però di un alfiere, che lo aiutò manualmente nella composizione della stazione e di un secondo volenteroso, che comunque profuse molto impegno. Ne faccio volentieri i nomi: il primo è Michele Castello e il secondo è Tonino Picciuto, che poi divenne: “Tonino Tuttanapoli”.
Quindi, antenna e trasmettitore, piatti-giradischi e quello strano aggeggio che avevo notato e che poi diventò un must delle radio e delle discoteche: il mixer.
Nel 1976, l’etere radiofonico captabile a San Bartolomeo in Galdo, era composto dalla Rai e Radio Capodistria, in Am e da Radio Luna Campobasso e Radio Campobasso International in Fm. Panorama risicato. Radio Onda Fortore s’introduceva in tal contesto. Aveva quindi tutte le caratteristiche per affermarsi nel circondario, con grande eco.
Il paesaggio che si protaeva dallo studio radiofonico, era l’immensa valle del Fortore. Una natura selvaggia, aspra, brulla ma a sprazzi colorata, con distese a perdita d’occhio e strapiombi mozzafiato. Con alberi sghembi, avvinghianti ad un terreno poco ospitante.
I paesi che la ricamavano, si “guardavano” ancora con un po’ del circospetto risalente ai secoli passati. Castelvetere in Valfortore, Baselice e Foiano. Un pezzo di Campania che si saldava mirabilmente alle Puglie ed al Molise. Ebbene, la prima considerazione d’uopo, è che tale radio ebbe il merito di sintetizzare culturalmente tre regioni. Mi riferisco a paesi che orbitavano in poco più di venti, trenta chilometri in linea d’aria, ma che si erano ignorati per la loro eterogenea appartenza burocratica.
I primi programmi, dove spopolavano le dediche, una carattistica basica delle radio libere, ponevano in un solo contenitore, realtà vicine ma lontane. Carlantino, Macchia Valfortore, San Marco La Catola, Castelfranco in Miscano, Castelvetere in Valfortore, Gambatesa, San Giorgio La Molara, Roseto Valfortore, Baselice, Foiano, Celenza Valfortore, Tufara, Decorata. Un aspetto sociale riassuntivo e che nei pomeriggi della radio, dava una reinterpretazione di territorialità e quindi di comunità, inedita.
San Bartolomeo in Galdo, grazie alla radio, ebbe in quegli anni una visibilità che sfociò in una centralità. Perché ai primordi le radio avevano un irresistibile fascino, rendendo per la prima volta partecipe e protagonista la gente, di un fenomeno percepito sempre lontano quanto solenne. Poter sentire il proprio nome alla radio, aveva un aspetto di protagonismo insperato e vi era una lotta strenua acché avvenisse. Si passava anche mezz’ora al telefono, per cercare di far entrare la propria dedica in un programma.
Radio Onda Fortore aveva dato involontariamente, al paese da cui trasmetteva, una supremazia che sconfinava nel culturale. Una primazia che suggellava il ruolo di capo del circondario, andando ben oltre i suoi confini.
In un epoca che usciva da un monopolio Rai durato dagli anni ’20 del secolo scorso, avere un radio del posto voleva dire avere i requisiti di tecnologia, modernità, avanguardia. È un concetto che meriterebbe di essere ampliato sociologicamente, ma il racconto perderebbe la sua vis emozionale e narrativa.
Come un elastico temporale, derivante da quella libertà che mi sono imposto, torniamo ai primi passi.
Se crei una radio dal punto di vista tecnico, poi c’è da costruire il resto. Palinsesti, speaker, musica. E dunque arrivò il nodo degli speaker. Problema non da poco. Il ruolo professionale non esisteva (eccetto alla Rai), nemmeno in realtà come Roma e Milano. Basta riascoltare i programmi dell’epoca rintracciabili sul web.
Chi far parlare?
Era difficile affrontare un microfono, che sino ad allora era stato appannaggio esclusivo della qualità di Tito Stagno, Mario Pastore, Sergio Zavoli, Andrea Barbato, Gustavo Selva, Maurizio Barendson, e nello spettacolo: Mario Riva, Mike Buongiorno, Corrado, Lelio Luttazzi, Enzo Tortora, Raffaella Carrà. Alcuni giovani si prestarono a tale avventura. Con quali caratteristiche? A volte una buona voce, a volte competenza musicale, ma a volte la simpatia. Anche se le caratteristiche di fondo erano l’empatia ed una dose di audacia.
Ricostruire la temporalità non è stato semplice. Ho parlato, come testé scritto, con tanti protagonisti della storia della radio. Ho costruito con un filo un tracciato per identificarli e poi contattarli. Volevo capire anche chi fosse stato il primo in assoluto ad andare in voce. Ho cercato chi era quel “prova…..prova”, intercettato da me nel campo sportivo. Ed ho appurato essere Celestino Agostinelli, attuale giornalista de Il Mattino, che mi ha “confessato” essere uno degli autori delle prove tecniche di trasmissione. Dico “confessato” perché considerata la minimalità, ne avrebbe fatto a meno, ma la stima intellettuale che ha sempre dimostrato nei miei confronti, lo ha fatto intuire che avrei scritto in un contesto letterario. In tali ambiti nulla sconfina nella banalità.
Dopo le prove – giunti nell’imminenza del Natale – tutto era pronto e i dipoli dell’antenna di Radio Onda Fortore, aprirono le trasmissioni ufficiali.
Ho ricostruito il primo staff di speaker, con non poche difficoltà. Parliamo di circostanze di ben oltre quarant’anni fa. La sede, come già specificato, era nel rione Inaziti, in una mansarda di una costruzione a più piani. Ed ha ospitato le voci di Celestino Agostinelli, Lucia D’Urso, Lucia Palumbo, Michele Castello, Tonino Picciuto, Angelo Colarusso, Rino Colarusso, Salvatore Grumiro e concilarmemte con gli studi, Erminio Pacifico. I nomi dei programmi: “Quadrifoglio”, per Lucia D’Urso, per Angelo Colarusso “Il minestrone” condotto con Salvatore Grumiro e “Tutto fa brodo”, “Speedy Gonzales” per Michele Castello, “Fortissimo” per Erminio Pacifico, “Tutta Napoli” per Tonino Picciuto. Parliamo di un fase pioneristica, dove l’incertezza del nuovo mezzo, dovuta alla mancanza della conoscenza delle potenzialità, rendeva tutto un po’ surreale.
Ritornando alla mia persona, quelle visite pomeridiane mi sono parse di maggior peso, dopo aver stagliato i contorni degli inizi. Ho così scoperto di essere stato in quella radio, prima della partenza della sua avventura, quando era vieppiù sconosciuta. Quindi in qualche maniera testimone dei primi momenti.
Infatti il periodo di Radio Onda Fortore a Ianziti, è durato poco. Qualche mese. A marzo la radio si trasferì al centro del paese, in Corso Roma, di fronte alla chiesa parrocchiale. Metaforicamente aveva vinto la timidezza ed era pronta ad immergersi nella popolarità, che poi la investì prepotentemente.
Infatti con il “passo” verso il centro del paese, inizia una cavalcata trionfale che porta la radio, nelle case di tutta la gente, scavalcando agilmente i confini del comune ed iniziando a divenire un oggetto-soggetto da scoprire.
Concettualmente, la radio locale era l’espressione di una realtà immaginifica, l’etere, che diventava d’emblée tangibile e cooptante. Quindi vi era il coinvolgimento diretto del radio ascoltatore e quello dei giovani del posto che entusiasti, si avvicinavano a quello staff di speaker, per rendersi in qualche modo partecipi dell’evento. Così Radio Onda Fortore iniziò a innescare un coinvolgimento generale, che interessò anche me, quattordicenne già molto attento ai fenomeni di comunicazione di massa.
Nei fatti, quelle che chiamiamo radio libere, sono state un fenomeno sociale che ha cambiato l’Italia di quegli anni. La musica nazionale pop è nata e cresciuta tramite tali radio, che hanno lanciato i Renato Zero, Pino Daniele, Vasco Rossi. Tutti grandi artisti che nel 1976 facevano il giro di queste emittenti, per promuovere i loro dischi. Ed anche chi affermato già lo era, capì che il suo destino passava per le radio private. Così tutti gli artisti intrattenevano buoni rapporti con esse e le etichette discografiche solevano mandare le anteprime dei brani musicali.
In una riflessione più ampia, possiamo affermare che la radio libera ha cambiato parte del sistema sociale italiano, operando una rivoluzione culturale. La libertà di espressione fu amplificata, le comunità divennero più interconnesse, molte potenzialità hanno avuto modo di tradursi in azione. Nelle grandi città, degli sconosciuti divennero delle star, che dopo anni troviamo essere i protagonisti del grande schermo televisivo. Sono tutti figli delle radio libere, giovani che hanno poi costruito l’ossatura della musica e del mondo dello spettacolo. In più si aggiunge l’aspetto commerciale, con la possibilità di piccole realtà di pubblicizzare i loro prodotti e acquisire nuovi mercati. Sono nati in quell’epoca dei mini-brand, che poi hanno fatto il salto di qualità affermandosi in ambito nazionale.
Per questo pensare che San Bartolomeo in Galdo avesse partecipato a tale processo, pur essendo in un luogo fuori dalle traiettorie dei fenomeni imperanti in Italia, deve far capire l’importanza di quel progetto. Perché molte realtà radiofoniche, attualmente leader in Italia, e che vantano antiche radici, con una ricerca molto accessibile, si può notare essere nate dopo Radio Onda Fortore.
Tali considerazioni non sono eufemistiche ne’ vagamente tali, perché supportate dalla cronologia e dalla letteratura sociologica. E anche in questo caso taccio l’ulteriore sviluppo di esse, per non affievolire il racconto.
Quindi, tante novità: nuova sede, nuova postazione dell’antenna, nuovi studi per le trasmissioni. Tutto professionale, con il meglio che la tecnologia metteva a disposizione in quei tempi. E da allora iniziò a strutturarsi lo staff storico degli anni d’oro della radio. Alcuni speaker lasciarono, altri si aggiunsero.
Non è utile costruire la cronologia degli ingressi, perché volgerebbe in una sequenza farraginosa. Possiamo riunirli tutti così come appaiono in alcune fotografie del marzo del 1977. Possiamo anche abbozzare l’impostazione dei loro programmi.
Ho avuto modo d’interloquire con Guido De Lillo, uomo di notevole spessore umano, che mi ha indicato la sua collocazione in radio. Ovvero un programma del mattino, dalle 6.30 sino alle 7.30, dove proponeva dei brani di suo gradimento. “A me non importava se erano sempre gli stessi. A quell’ora mettevo ciò che mi piaceva sentire. Soprattutto un brano di Renato Zero, che ormai era diventato un tormentone per chi mi ascoltava. Poi la sera, con Gerardo Iandolo, mio collega d’ufficio, facevamo programmi più impegnativi.”
Dallo staff embrionale di Ianziti, perpetuava Angelo Colarusso. A tal proposito vorrei raccontare ciò che è successo nella testimonianza. “Sono Gianvito Pizzi….da Pescara. Tre secondi di silenzio. Poi un guizzo di entusiasmo. Mi sono trovato al cospetto della sua meraviglia. Non si aspettava una mia telefonata. Parlare della radio e stato difficile. Siamo cascati in una vasca di ricorsi della memoria. Per ambedue, quel periodo è stato l’inzio del periodo d’oro delle nostre giovinezze. Mi è bastato riportare dei flash di situazioni e lui si è commosso. Non me lo aspettavo e mi ha reso felice. Non credevo di aver lasciato questo ricordo. Io ed Angelo eravamo due persone carismatiche ed ognuno chiuso nel suo mondo. Ma ci intersecavamo negli stessi luoghi. È stata una telefonata densa di umanità, entusiasmo, ma anche di malinconia. Per confluire sull’argomento radio, ho dovuto fare uno sforzo. E mi ha confermato il periodo di Ianziti, mi ha specificato il nome dei suoi programmi e la presenza anche di suo fratello. Gli ho chiesto della sua personale grande raccolta di dischi, mi ha confermato di esserne in possesso.
Mi sono concesso questa digresione, perché impossibile da occultare.
Poi ho parlato con Lucia D’Urso, che non ho mai conosciuto personalmente. Ma che comunque identificavo in un quadro di idee. Ho trovato una persona intellettualizzata, che mi ha portato alla mia fase dialettica. Ha raccontato che Radio Onda Fortore aveva un grande gruppo che orbitava intorno allo staff. Ho trovato così spiegazione di quelle foto del 1977, dove compaiono molte persone che non parlavano in radio. “Si facevano molte feste. La radio viveva culturalmente quel momento di transizione tra i valori tradizionali e quelli in via di evoluzione”. E mi ha proposto un interessante parallelismo. “Si stava bene insieme tra gente sostanzialmente trasversale, con età e vissuti diversi, ma la radio era un potente mezzo di coesione. E quelle feste continue, quel ritrovarsi dopo i palinsesti, ad andare a mangiare insieme, sino a tardi, ricordavano quei periodi di coesione e di solidarietà, vissuti per secoli, per esempio alla mietitura del grano. Dove ogni famiglia aiutava l’altra, a turno. Un momento di forte socialità”. Sono pienamente d’accordo con Lucia. Trovo la sua visione calzante. Nel 1977, nelle nostre contrade fortorine, coabitavano due modelli. L’ancoraggio al passato era ancora molto forte. Lo ricordo tramite i miei nonni, che vivevano a loro agio in una società che ancora riconoscevano e li conteneva. Il decennio successivo, la metamorfosi si compì e li metteva al cospetto di situazioni meraviglianti e difficili da comprendere. La radio è vissuta a cavallo tra due epoche sociali. Ed ha contribuito comunque a proseguire la tradizione ed a fare evolvere le nuove tendenze.
Ora una considerazione. Raccontare Radio Onda Fortore mi ha portato a parlare con tante persone: quarant’anni dopo. Esperienza interessante, quasi unica, perché ho parlato – usando una titolazione da romanzo – “dopo una vita trascorsa”. Non un’intera vita, ma tutto il periodo che va dalla giovinezza, fino a ridosso dell’età dove è giusto rallentare e riflettere. Questo forse è stato un ulteriore stimolo per un excursus, che comunque ha assorbito molte energie e mi ha portato ad impegnarmi come quando devo mandare un mio scritto in prima linea. Cioè quando “non puoi sbagliare”.
Da Lucia ad Erminio Pacifico.
L’ho sorpreso sul lavoro. Era mattina, intorno alle 10.00. Era lui il giovane che mi aveva aperto la porta quella prima sera. Inevitabilmente siamo finiti a parlare di mio padre e poi della città che mi ospita, da più di trent’anni. Pescara. Una città avanguardista, elegante, anche un po’ snob. Ma c’è stato spazio per la radio. Ed ho scoperto la sua saltuarietà nel contesto, dovuta al suo trasferimento a Roma. Dove aveva avuto confidenza con un’altra emittente, Radio Onda Sound. Comunque ricordava il nome del suo programma, che conduceva preceduto dalla sigla: Disco Duk. Brano del 1976.
Da Erminio a Giovanni Buccione. Anche a lui era al lavoro. Anche con lui qualche secondo di muta sorpresa. Ma io e Giovanni ci conosciamo. E l’ho incontrato più volte a Pescara. Sulla sua presenza nello staff della radio vi era un po’ di confusione: chi lo aveva confermato e chi il contrario. Ha fatto chiarezza: lui c’era, ma con saltuarietà. Anche con lui si è divagato. Si è parlato di Pescara, del passato, di fede. Argomenti eterogenei. L’ultimo più toccante e sentito. Una testimonianza diretta di un cammino. Che è il seguito di un discorso intrapreso circa sette anni fa, ai tavoli dello storico bar Campione di Pescara. Quel cammino di cui mi accennava in quei tempi è confluito in una positività, in una significanza piena. Ci siamo salutati con affetto.
Trovandomi davanti alla seconda presenza ad intermittenza, si è posto il poblema di trovare gli “strutturali”, ovvero lo staff stabile cristallizzato nell’anno d’oro di Radio Onda Fortore: il 1978.
Perché un anno in cui la radio ha raggiunto il suo massimo fulgore vi è stato. Ed oltre ad essere stato segnato da una grande componente di organizzazione, è dovuto ad una circostanza tecnica che ne ha cambiato le sorti. Tramite essa Radio Onda Fortore divenne una realtà radiofonica importante, perché operante in un raggio territoriale ampio, oltre l’immaginazione.
Tutto è cominciato quando Piero Ruggiero decise di fare il salto di qualità. Perché perennemente alla ricerca di una crescita. Ha utilizzato il vantaggio che San Bartolomeo in Galdo gli offriva. Quale? Il paese è stato edificato in un luogo strategico. Testimonianza ne è la presenza della torre del campanile. Le cui origini, ovvero la posa delle prime pietre, sono avvolte nelle tenebre. Ma se qualcuno un millennio fa, operava simil poderosa costruzione in quel posto, con un dispendio considerevole di mezzi, un motivo vi doveva essere. Ed era legato indissolubilmente al controllo del territorio.
Quindi San Bartolomeo, luogo strategico. E se tale era, vi doveva essere un avamposto da altra parte, dove ponendovi l’antenna della radio, si sarebbe beneficiato di tale potenzialità.
Ciò ha spinto Piero a porre l’antenna in luogo alto e magistrale del paese. L’unico punto sovrastante, dotato della possibilità di ricevere tutto ciò che serve ad alimentare un trasmettitore. Ovvero il Santuario della Madonna Incoronata.
Quando ha fatto quella scelta non sapeva dei confini che avrebbe raggiunto la radio. Comunque, aiutato dai due collaboratori succitati, situò l’antenna sopra la costruzione religiosa.
Per una questione di circa centocinquanta metri d’aumento d’altezza, la radio acquisì una copertura di segnale straordinaria. San Bartolomeo in Galdo iniziava ad essere presente in luoghi remoti alla sua ubicazione.
Parliamo di un centinaio di chilometri in linea d’aria, anche duecento in linea stradale. E sono testimone diretto di questo eccezionale irradiamento di segnale. Infatti racconto ciò che mi successe una sera d’inverno di quel 1978, nella mia casa di Roccaraso. Ero intento a monitorare le radio che si captavano in quel luogo. Ed era una bella scoperta, vi erano le grandi emittenti napoletane già molto famose, qualche radio di Roma, altre radio di difficile decodificazione. Ad un certo punto, ho pensato di controllare la frequenza riservata a Radio Onda Fortore. Tentativo per me inutile, considerata la lontananza. Compivamo con la famiglia due ore e venti minuti di viaggio per oltre 150 chilometri di strada da percorrere. Passando per Campobasso, Isernia e poi prendendo la strada per Colli al Volturno, Castel di Sangro, Roccaraso, Piano dell’Aremogna.
Ero lì a puntare la sintonia intorno ai 104 MHz, nuova frequenza di trasmissione dell’emittente. Nulla. Poi andai in altra stanza, come facevo nella stessa casa da bambino, con la radiolina a transistor, che mi permetteva solo in alcuni punti di sentire le frequenze Radio Uno.
Ebbene calibrando la manopola, sentii fievolmente l’inconfondibile voce di Tonino Picciuto, alias Tuttanapoli. Rimasi sbalordito. Non credevo alle mie orecchie. Allora scesi nella hall del residence dell’abitazione. Si tratta di una sala immensa, di più di mille metri quadri. Mi piazzai in vari punti, volevo captarla anche lì. E ricordo che vi riuscìi nella sala della televisione. Radio Onda Fortore arrivava stabilmente.
La distanza tra San Bartolomeo e Roccaraso dà la dimensione del raggio d’azione raggiunto dalla radio. Se arrivava lì, arrivava in tutti i luoghi che vi erano di mezzo. Quindi tracciando con il compasso su una cartina, la stessa distanza partendo da San Bartolomeo, viene fuori un bacino che comprende quattro regioni.
Ed infatti, tutta questa potenzialità si riscontrò in radio tramite le telefonate delle dediche. Mi ha riferito Michele Castello, che dopo il cambio di posizione dell’antenna, iniziarono ad arrivare telefonate da centinaia di comuni. Molti sconosciuti.
Insomma il paese si trovò in una grande dimensione radiofonica. Il suo nome venne pubblicizzato in varie regioni, capillarmente. Un mezzo di visibilità che poi non ha mai più avuto. Nemmeno marginalmente.
Quindi era tracciabile in tutti i comuni del Molise, alcune aree d’Abruzzo anche interne (come Atessa), tutta l’Irpinia ed oltre (a scendere verso la Basilicata), la provincia di Foggia ( anche oltre in quella direzione), la Campania in tante aree. Un bacino molto importante. E nelle telefonate che arrivavano, quando la radio iniziò ad essere captata, oltre a chiedere di che emittente si trattasse, chiedevano anche San Bartolomeo dove si trovasse.
I paesi limitrofi, sia molisani che pugliesi, accrebbero ancora di più la percezione di “centralità” di San Bartolomeo. E soprattutto la sua potenzialità commerciale. Infatti, tramite i comunicati pubblicitari, la gente iniziò a venire in paese per gli acquisti più specifici. Abitudine sopravvissuta alla radio. Abitudine radicatasi negli anni.
Ma torniamo al racconto, dopo questi costanti sconfinamenti negli aspetti sociali.
Dopo la rivoluzione tecnica e dopo l’affermazione dovuta ai due anni di trasmissioni, gli speaker assunsero una loro popolarità. Lo staff era invitato agli eventi, alle feste, in ogni situazione.
Ma da chi era composto lo staff quando la radio divenne una realtà ben definita?
Se vuol compiersi una ricostruzione più stringente si possono enucleare: Lucia Palumbo, Angelo Colarusso, Rino Colarusso, Angela Picciuto, Tonino Picciuto, Celestino Agostinelli, Lucia d’Urso, Giuseppina Ruggiero, Guido De Lillo, Alberto Castello, Michele Castello, Salvatore Grumiro. E per un certo periodo, Lorenzo Agostinelli. Poi vi erano i saltuari. Quelli che parlavano pro tempore. E quindi Erminio Pacifico, Giovanni Buccione, Maria Palumbo in accompagnamento ad altro speaker, Sergio Schiavone (che leggeva fiabe per i bambini), Rino Parletta che svolgeva l’attività professionalmente in quel di Napoli, Vincenzo Braca, Gerardo Iandolo. Forse ne ometto qualcuno, e mi scuso, ma non si poteva far di meglio nella ricostruzione.
Ho raggiunto telefonicamente Lucia Palumbo, chiamata in radio “Lucia la bionda” (per distinguersi da Lucia D’Urso), in provincia di Arezzo. Mi ha confermato alcune circostanze, in merito agli speaker di via Ianziti e del periodo di Corso Roma, e di essere stata presente a Radio Onda Fortore, dagli Inizi fino alla sua chiusura. Inoltre, partita per la Toscana 38 anni fa, ha continuato a fare la speaker per altri quattro anni, in un’emittente chiamata Radio Onda Blu.
Credo che Lucia sia stata la speaker più popolare della radio. Perché presente in ogni fase e sempre carica di entusiasmo. Ma ricordo che in quanto a popolarità i Picciuto sono stati molto significativi. Angela aveva un programma di dediche, “Dai microfoni al vostro cuore”, talmente ascoltato, che era difficile trovarvi posto. Così Tonino, con il suo Tuttanapoli. Sembrava una radio nella radio. Aveva un suo pubblico di appassionati del genere napoletano, con un’interlocuzione personale. Un filo diretto.
Molto ascoltato per l’eccellente timbrica della sua voce ed una buona proprietà di linguaggio era Celestino Agostinelli. Una sorta di idolo delle radio-ascoltatrici. Con i suoi 16 anni.
Molto competenti in campo musicale i fratelli Colarusso. Che avevano un proprio archivio musicale. Angelo era un esperto di un nascente genere, che poi colonizzerà il mondo: la disco music. Non dimentichiamo che il 1978 era l’anno di “Saturday Night Fiver” di John Travolta e l’anno di affermazione di due fenomeni musicali come Micheal Jackson e Prince.
Radio Onda Fortore navigò in questo contesto. Una rivoluzione del panorama musicale – un momento di esaltazione globale e voglia di divertirsi. Un momento di leggerezza, dopo le tensioni sociali del 1968 e del 1977. E tutto ciò a ridosso dell’edonismo reganiano, che fu la sintesi di tutti quei fermenti.
La radio sambartolomeana si distingueva nell’etere radiofonico, che gradualmente andava riempiendosi, per la specificità di avere a disposizione le novità musicali. Va precisato a tal proposito, che in generale, le radio libere avevano un grande limite nel seguire l’andamento della musica. Perché comprare dischi era molto costoso. La differenza tra una radio e l’altra, corrispondeva molto nel potenziale musicale a disposizione. Radio Onda Fortore, eccelleva per la sua disponibilità di musica. E per tale motivo, nell’ampia area territoriale in cui era ascoltata, godeva di grande considerazione.
Ma torniamo al racconto.
Nel pieno del successo a Piero Ruggiero viene l’idea di aprire una televisione. Una tv libera di San Bartolomeo. Una nuova sfida e un nuovo passo in avanti per l’etere del paese.
Forte dell’espernza della radio, iniziò a mettere insieme il mosaico per costruire la tv. E dunque: l’acquisto del trasmettitore e la costruzione di uno studio di messa in onda. Il percorso viene compiuto in pochi mesi e Tele Radio Onda Fortore inizia le sue trasmissioni di prova.
Venuto a sapere dell’apertura, mi misi a cercarla sul mio televisore, senza risultato. Ma parlando in giro, incappavo in persone che la vedevano nelle sue prime trasmissioni. Si parlava anche del filmato di una santa messa della chiesa parrocchiale.
Dopo oltre quarant’anni ho chiesto a Piero Ruggiero lumi sulla vicenda della tv. E mi ha detto che la sua strada è stata intersecata da un problema tecnico. La tv trasmetteva in larga banda e non tutti avevano l’antenna adatta. Poi sui televisori, vi era da compiere la sintonia, non agevole per tutto il pubblico. In più, il paese aveva una composizione morfologica per cui la Rai usava due diverse postazioni per far arrivare il segnale in ogni parte. Quindi comunque non si poteva “coprirlo” tutto con una sola antenna di trasmissione. Mi ha inoltre confermato che varie riprese erano state compiute. Tutte In giro per il paese, filmando vari contesti. E poi che vi sono state trasmissioni in studio di prova, di carattere divertente, tipo gag. Ma il progetto non si portò a compimento per il motivo di cui sopra e così Tele Radio Onda Fortore fu trasferita a Benevento. Qui era più agevole essere captata, per via delle diverse potenzialità di una città. E venne posta nei locali di una nota radio. Ma anche lì l’esperimento durò qualche mese. Ruggiero non aveva il tempo di seguirlo.
Così si chiuse questa parentesi di Tele Radio Onda Fortore, comunque interessante.
Quando ho riferito di essa a delle persone comunque attente alla storia del paese, erano assolutamente all’oscuro della circostanza di un tv di San Bartolomeo. Provocando meraviglia.
Ci avviamo alla conclusione di questa narrazione e procederemo speditamente.
Piero Ruggiero mi ha detto che nonostante l’impegno di Radio Onda Fortore, la sua messa in opera di progetti continuava in altri campi. La radio iniziava ad essere, quindi, uno dei tanti e non più centrale. Ciò ne innescò la fase calante, accompagnata dallo sdilinguire del fattore novità. Per continuare c’era da compiere altri investimenti, ma Piero mi ha detto che lo sviluppo commerciale era difficile. C’era bisogno di costruire un settore della radio specifico, per un’utenza di centinaia di comuni, dove bisognava essere presenti per cercare sponsor e per poi curare le relazioni. E poi, qualora la radio si fosse sviluppata, chi l’avrebbe seguita? Lui era in giro per l’Italia e all’estero e non poteva. Quindi in radio rimasero i suoi genitori e la sorella Giuseppina, a curare il funzionamento.
Personalmente arrivai in radio in quel periodo. Ricordo che un pomeriggio mi recai in sede e che mi aprirono la porta proprio i genitori di Piero. Parlai della mia esperienza in altra radio del paese, della mia dimestichezza con il mezzo. Mostrarono di conoscermi. Mi dissero: “Vuoi provare a fare un programma?” Alle 16.00 ero in onda.
Iniziò così la mia collaborazione con Radio Onda Fortore, durata circa due anni. E rifacendomi a tutta la mia esperienza radiofonica in paese, iniziata nel maggio del 1978, mi faccio un regalo e riporto volentieri le parole di Celestino Agostinelli pronunciate più volte negli anni: “Tu eri la più bella voce, la persona che aveva la migliore proprietà di linguaggio.” E aggiungo ciò che dicevano a mio padre in quei tempi: “Quando parla tuo figlio la sera, sembra di essere sulla Rai”. Complimenti che serbo con cura nella mia memoria. Ma nulla era casuale, avevo fatto un corso di dizione e mi stavo preparando a frequentare una scuola di giornalismo televisivo a Roma. E quelle radio, sono state per me un ottimo rodaggio. Ma poi, con il tempo, dal giornalismo radio-televisivo sono passato al campo degli studi e quindi ad operare nel mondo culturale, che trovavo più conformi al mio essere. Ma questa è altra storia.
Sono rimasto a Radio Onda Fortore in tutta la fase del suo ridimensionamento, fino alla chiusura. Gli studi vennero posti in via Regina Margherita, l’antenna delle meraviglie tornò in paese, riportando il bacino d’utenza a quello della prima fase. E degli speaker ricordo solo Lucia Palumbo, che mi ha confermato la circostanza.
Il ciclo di Radio Onda Fortore era terminato. Il trasmettitore venne venduto a quella che poi divenne Radio Standard, di Castelvetere in Valfortore, ed il paese per circa un anno rimase orfano di radio. Ci volle Radio Dimensione Suono, aperta da Angelo Colarusso, per riprendere la saga. Con altre due radio successive che ne ricalcarono il nome ed una radio che durò qualche mese: Radio Gulliver. Poi sono andato via dal paese e non ho più seguito.
Dopo quarant’anni, qualcuno, intercettando le mie opere umanistiche, mi ha contattato e mi ha convinto gradualmente a scrivere qualcosa per il sito del paese. Ed io ho principiato con quello che reputo un vulnus, cioè l’assenza nella memoria collettiva di San Bartolomeo, di quello straordinario colonialismo dell’etere, prodotto da una radio del proprio territorio, che ha riguardato quattro regioni. Quel soave volo di una farfalla che è stata Radio Onda Fortore.
Gianvito Pizzi
Contatto WhatsApp con l’autore al numero 3935263733