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lunedì, 19 Maggio 2025

Sulle orme dei vecchi pellegrini. San Bartolomeo in Galdo – Monte Sant’Angelo.

Racconto di un pellegrino

Sulle orme dei vecchi pellegrini. SBiG – Monte Sant’Angelo.


Mia nonna è partita nel 1937, aveva sedici anni e ricorda di aver impiegato 8 giorni per raggiungere la Grotta e tornare.
È sempre stato un mio desiderio quello di riempire lo zaino, legare il sacco a pelo e con bordone e piuma partire da SBiG alla volta del Gargano. Ho aspettato anni per farlo. Ho percorso le strade spagnole sulla via di Santiago di Compostela, ho percorso l’appennino tosco-umbro sui passi di San Francesco, ho percorso le valli reatine, i Monti Simbruini sulle orme di San Benedetto, mi mancava però, il pellegrinaggio più importante, quello michaelita. Il nostro pellegrinaggio, dimenticato dalle popolazioni, ma confido che prima o poi qualche uomo di chiesa di buona volontà riprenderà.
Decido di partire a fine luglio, le giornate non sono eccessivamente calde, le previsioni metereologiche prevedono cielo sereno per alcuni giorni. L’ideale per percorrere i quasi 130 chilometri che ci separano dalla grotta dell’Angelo.


Non è Santiago, non è Assisi, non è Norcia, occorre necessariamente informare coloro che dovranno ospitare un umile pellegrino dopo una giornata di cammino, presentarsi all’improvviso e chiedere ospitalità metterebbe in grave imbarazzo parroci e frati. Provvedo in pochi minuti. Chiamo padre Giuseppe e chiedo ospitalità per giovedì 29 luglio presso il convento di Castelnuovo della Daunia, chiamo don Raffaele e chiedo ospitalità presso la parrocchia della Madonna SS. Immacolata di San Severo per il giorno 30, chiamo padre Mario e chiedo ospitalità presso il convento di San Matteo in Lamis per sabato 31 luglio, infine prenoto una stanza presso la Casa del Pellegrino a Monte Sant’Angelo per il 1 agosto, giorno previsto del mio arrivo.
Uso uno zaino da 35 litri, molto più piccolo rispetto a quello usato nei miei precedenti pellegrinaggi. Uso le stesse scarpe dei miei precedenti cammini, mi accorgerò in seguito di aver commesso una leggerezza, perché le scarpe sono consumate e impercettibilmente indurite. I piedi sono importantissimi per il pellegrino e non hai tempo per recuperare, nel caso in cui si formino delle vesciche, te le porti dietro per parecchi giorni. Lo zaino pesa 7 kg, acqua a sufficienza, frutta, bordone e piuma. Pronti per la partenza. Sveglia alle 5:30 del 29 mattina, colazione abbondante come tutti i giorni, prendo l’acqua e la frutta dal frigorifero, ultimo controllo allo zaino, apro la porta di casa ed inizio a salire vico D’Urso. Sono le 6:20, in giro c’è pochissima gente, tuttavia sulla strada per Marano incontro alcuni camminatori e qualche altro che fa jogging. Solo qualcuno mi chiede dove vado, io rispondo: “Sto camminando verso Monte Sant’Angelo”. Il cammino è un altro modo di viaggiare, più lento, più bello, più in simbiosi con la natura. Mi piace ricordare le parole di Erri de Luca ““Il pellegrinaggio ha senso 
se fatto a piedi;
è un avvicinamento lento,
è un tempo: 
non solo il raggiungimento della meta.
Il pellegrinaggio ha a che fare 
con la solitudine,
è perdersi per ritrovarsi”.

È talmente vero, la meta nel pellegrinaggio a piedi è un elemento secondario, è affascinante invece vagare in solitudine, avendo come unica compagnia il vorticare dei tuoi pensieri, sapere di dover contare solo ed esclusivamente su te stesso.

Dal pellegrinaggio a piedi bisogna tornare completamente cambiati, trasfigurati, d’altra parte San Giacomo (Santiago) è stato il primo apostolo presente alla Trasfigurazione di Gesù.

I tappa SBiG – Castelnuovo della Daunia

I tappa SBiG – Castelnuovo della Daunia

Arrivo sotto la m’borchia alle 7:20, la prima asperità che mi aspetta è l’ascesa del “Serrone”. Sentiero polveroso che si inerpica tra i monti della Daunia. Lo affronto lentamente, a metà delle asperità mi fermo su una roccia e mangio una pesca. Alle 9:00 sono in cima. Il sole è già alto. Dovrei mettere la crema solare, ma voglio proseguire senza fermarmi, se cammino, prima di pranzo sono a Castelnuovo. Primo errore, arriverò a Castelnuovo con faccia e braccia scottate. A 10 km dall’arrivo finisco l’acqua, mi fermo in un’area pic-nic nel bosco tra Motta Montecorvino e Volturara. Cambio la maglietta di cotone, ormai fradicia, e metto una in microfibra. Preferisco il cotone, si asciuga più lentamente, ma sulla pelle è un velluto. Passa un gruppo di ciclisti, mi vedono e si fermano, mi chiedono dove vado, e uno di loro alla mia domanda sul fontanino più vicino, mi offre la sua acqua. Questi piccoli gesti di solidarietà e bontà illuminano sempre i miei cammini. Con bottiglia di nuovo piena riprendo il passo. Raggiungo il parco eolico che domina Castelnuovo, Casalnuovo Monterotaro e Casalvecchio di Puglia, davanti a me il tavoliere, stagliati all’orizzonte i monti del Gargano, la mia meta; sembrano così lontani. Mi siedo sotto un albero, tolgo le scarpe, i piedi mi fanno male. Le scarpe sono indurite, me ne accorgo solo ora, controllate sempre attentamente l’attrezzatura prima di partire, fortunatamente non ho vesciche. Ultimo sforzo, attraverso un sentiero e plano come un rapace su Castelnuovo. Sono le 13:20 quando entro in paese, la gente è a pranzo, ci sono pochissime persone davanti ad un bar, uno di questi si offre di accompagnarmi al convento, con gentilezza declino l’invito. Raggiungo il grande convento dei francescani alle 13:30. Domina la vallata, gli ultimi frati anziani l’hanno abbandonato cinque anni fa, telefono al signor Mario, custode della casa, è a Termoli, tornerà solo verso le 17. Mi fermo vicino ad una fontana senza acqua. Quanto sono deprimenti le fontane morte. Tre ore volano, nel silenzio pomeridiano di un sonnacchioso paese del Sud. Alle 17:00 arriva il signor Mario, un “giovane” pensionato, mi racconta dei suoi due figli, il primo emigrato in Austria, la seconda si sposerà ad agosto e raggiungerà il marito al nord. Altra storia di emigrazione, di ragazzi che partono, lasciando i loro paesi in cerca di maggior fortuna.

Il convento è grandissimo, un edificio del XVI sec. recentemente ristrutturato. Vedo la chiesa, il chiostro, il refettorio, ed infine salgo al piano superiore dove ci sono le celle dei frati e molti stanzoni pieni di letti a castello. In tempi lontani era un noviziato, quando le vocazioni abbondavano e i giovani si avvicinavano a Dio. Sono l’unico ospite per questa notte. Faccio una doccia, scelgo una delle tantissime stanze vuote, srotolo il sacco a pelo e vado in paese a mangiare qualcosa. Leggo che in serata ci sarà la festa della birra, mi riprometto di uscire di nuovo, ma non ho fatto i conti con la stanchezza. Alle 20:30 crollo sul letto. Mi sveglierò alle 5 pronto per la partenza.

 

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