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ZIBALDONE SULLA PERLA DEL FORTORE Omaggio a San Bartolomeo in Galdo Parte prima

Un popolo che ignora il proprio passato

                                                    non saprà mai nulla del proprio presente

                                                                                         (Indro Montanelli)    

Originale: marzo 2015

Aggiornamento: aprile 2020

Questo scritto è un lavoro di approfondimento e di verifica rispetto a quanto già riportato nelle mie precedenti ricerche (vedi in speciale modo Dai Sanniti ai Romani e Dai Longobardi all’Unità d’Italia, ndr) che prende spunto dalla necessità di tornare a raccontare i fatti narrati alla luce di validi argomenti da me raccolti in questi ultimi anni. Questa mia nuova conclusiva storiografia, scritta in questi lunghi giorni di isolamento a causa del Covid-19, è indirizzata in particolar modo ai giovani, con l’augurio che, oltre a soddisfare qualche curiosità sul proprio paese natale, possano riflettere sul passato vissuto da chi li ha preceduti, per comprendere meglio anche le radici di quelle storiche arretratezze che rientrano nella cosiddetta “Questione meridionale”. L’auspicio è che questi scritti contribuiscano a stimolare un rinnovato interesse per la storia locale, in modo che tale conoscenza possa anche contribuire ad accrescere la formazione civica delle nuove generazioni. In sintesi: attraverso il culto della memoria, riscoprire la storia del paese e valorizzare la cultura locale.

PILLOLE DI STORIA ANTICA 1) Cenni storici sull’origine  

Come è noto, l’attuale comune di San Bartolomeo in Galdo in provincia di   Benevento nacque nel 1327 per volontà del monastero di Sancta Maria de Gualdo in Mazzocca. In quei tempi, l’abate fra Nicola da Ferrazzano (in ordine terzo abate fino al 1345) ebbe l’idea di inviare a Roberto d’Angiò detto il Saggio (1275-1343, eletto nel 1309 alla morte del padre Carlo II, con il nome di Roberto I re di Napoli) una supplica in latino nella quale auspicava e chiedeva l’autorizzazione di poter ripopolare un vasto territorio privo di abitanti (habbitatoribus total iter derelictum) denominato Sancti Bartholomei, in un’area posseduta in proprietà libera e situata a poca distanza dal monastero. Come sappiamo, il re accolse tale supplica e acconsentì con un diploma alla nascita del nuovo feudo. Nel giro di pochi anni, questo nuovo agglomerato finì col diventare, per le popolazioni dei dintorni, un centro di forte attrazione, tanto che nel 1330il citato abate e il vescovo di Volturara, ordinario del luogo, decisero di erigere sopra i ruderi di una cappella rurale una chiesa parrocchiale dedicata all’apostolo san Bartolomeo (verosimilmente nel luogo ove sorge la nostra “Chiesa Madre”) sotto la giurisdizione della diocesi di Volturara.

Chiesa di San Giovanni a Mazzocca (Foiano Valfortore)

Nota Bene In merito a tale costruzione, il sacerdote di Roseto Valfortore  (provincia di Foggia), prof. don Michele Marcantonio (deceduto il 23 maggio 2009), ha scoperto presso l’archivio vescovile di Lucera un documento molto interessante di cui riporto il testo completo: «Nell’anno della nostra redenzione 1330, l’Abate Nicola del Monastero di S. Maria a Mazzocca, col consenso di tutti i suoi monaci, al tempo del re Ruberto (Roberto I, re di Napoli, ndr), sottopose alla cura vescovile la Chiesa di S. Bartolomeo, col popolo e col clero, ad un Vescovo di Volturara nomato Pietro, (non si fa menzione del cognome). Di ciò ne abbiamo notizia da un istromento (sic) fatto nella città di Volturara con l’Abate e i monaci predetti, al nomato Vescovo e ad Archidiacono e canonici di Volturara e ne fu rogato istromento (sic) per notar Marino Di Pietro di Campobasso, nel prefato anno 1330 alli sei di 9mbre, col quale istromento (sic) ricevé la canonica giurisdizione sopra la Chiesa, sopra il clero e sopra il popolo e li furono assegnati per dote li terreni di detta Chiesa». Questo documento è la riprova che in origine la comunità parrocchiale di San Bartolomeo in Galdo fu posta sotto la giurisdizione della diocesi di Volturara; successivamente, nel 1818 passò alle dipendenze della curia vescovile di Lucera fino all’agosto del 1983, quando, a seguito della razionalizzazione delle diocesi dell’intero territorio nazionale, entrò a far parte dell’arcidiocesi di Benevento.

Un anno dopo la costruzione della chiesa parrocchiale,l’8 maggio1331 il citato abate Nicola da Ferrazzano e il procuratore del monastero Nicola da Cerce, alla presenza del notar Raone del fu Simone de Camelis, di Nicola Pietro de Reinaldo (giudice) e di tredici testimoni, con atto del menzionato notaio concessero immunitates, franchitias et libertates (immunità, franchigie e libertà) a tutti gli abitanti del menzionato casale di San Bartolomeo del Gualdo (Apud casale Sancti Bartholomei de Gualdo in Mazzocca), che da poco si erano lì trasferiti come fedeli vassalli del monastero, nonché a tutti coloro che in seguito vi si sarebbero ugualmente trasferiti ad abitare con i loro beni «qui nuper ad dictum casale Sancti Bantholomei ad abitandum in eodem ut fideles vassalli  monastereij supradicti jurati eorum transtulerunt  incolatum et aliis in posterum ad  abitandum similiter in eodem Casali se cum bonis suis dexerint transferendos». (Cfr. Archivio dei Canonici Regolari Lateranensi, Fondo Benevento, S. Maria del Gualdo Acta Capituli Conventualis, 1331, A 925, f.2). E fu così che Terrae (termine spesso usato per indicare un feudo) di San Bartolomaeus del Gualdo, o San Bartholomaei in Gualdo o altri ancora San Bartholomei de Gualdo, inizia a essere citato nei documenti di quel tempo (Cfr. A.S.N., Pergamena de’Monisteri Soppressi, vol.36, n.3089, Inv. del Gualdo, anni 1331/32;  Cf. A.S.N., Pandetta Negri, fascio 220, I, 279/3, Copia Capitulorum Terrae S. Bartholomaei, f. 41).

Ebbe così i suoi “veri natali” la cittadina di San Bartolomeo del Gualdo, cioè nel bosco di Mazzocca (Gualdo dal tedesco Wald, termine che svela le origini del paese un tempo circondato da quell’estesa area boschiva), oggi San Bartolomeo in Galdo, in provincia di Benevento, capoluogo dell’alta Valfortore, nodo stradale ai confini di Puglia e Molise, centro di primaria importanza tra il Sannio e la Puglia, dalle «bellissime pianure, e colline dolcemente ondulate, e verdi valli, adatte ad ogni specie di coltura», come scriveva Antonio Jamalio (La Regina del Sannio, Ardia, 1918, p. 234).

Giovannino (Gianni) Vergineo ci tramanda così l’inizio di questa meravigliosa avventura: «Le comunità della Valle del Fortore, già presenti ed operanti da secoli, sorte intorno alle chiese arcipretali di Castelmagno, di Ripa, di Sant’Angelo, tutte consacrate alla Madonna, sentono la forza di gravità del nuovo Centro, dotato di una identità potente, dalle mani abaziali: immunità, franchigie, esenzioni, capitoli, privilegi, incentivi di ogni genere. È facile intuire il flusso migratorio delle parrocchie circostanti verso il nuovo bacino di confluenza demografica, segno di speranza. La conclusione del processo è un pactum che costituisce l’unione delle parti nel tutto di una Chiesa Madre collegiata, in cui le comunità di origine si distinguono, sul piano rappresentativo, con l’interpretazione di una dignità capitolare: a Ripa spetta la dignità del “primicerio”, a Castelmagno la funzione del sacrista maggiore, a Sant’Angelo il compito di tesoriere. Lo spazio iniziale si dilata e si specifica. Una sola Chiesa. Una sola Università (ovvero tutti gli abitanti – universi cives –  del feudo, ndr). Un paesaggio sociale differenziato a cominciare dal vertice: da una parte la giurisdizione civile pertinente al monastero; dall’altra la giurisdizione criminale spettante a un signore laico di fiducia».

Gianni Vergineo

È l’inizio di una lunga storia che coinvolge il nostro territorio e la nostra comunità e ne determina i tratti più caratteristici. Mi permetto di riassumervela, suscitando l’interesse che merita. Con la speranza di riuscirci, ringrazio gli illustri studiosi (tra cui Bartolomeo Capasso, Pandetta Negri, Nicola Falcone, Fiorangelo Morrone, Alfonso Meomartini, Lorenzo Giustiniani e Giovannino Vergineo) che con i loro scritti hanno contribuito ad approfondire la conoscenza di questo angolo d’Italia, ripercorrendone la parabola… Amara terra mia!

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